Per conoscere l’ecologia di mercato – Guida alla lettura

Il capitalismo viene spesso accusato dagli ecologisti di essere responsabile dei maggiori problemi ecologici, come l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, l’esaurimento delle risorse naturali, la deforestazione, la desertificazione, l’estinzione delle specie animali e vegetali. Questa idea è servita a giustificare un intervento massiccio dello stato nel campo ambientale, sotto forma di collettivizzazione dei beni, minuziose regolamentazioni, tasse sulle imprese “inquinanti” e altre misure restrittive.

L’ecologia di Stato, che ha moltiplicato le burocrazie ambientali affidando a politici e burocrati quelle decisioni che un tempo erano di esclusiva competenza dei proprietari e delle comunità, non ha dato però buoni risultati. L’estensione della proprietà pubblica ha spesso favorito il degrado del territorio e degli ambienti naturali. È facile accorgersi, infatti, che ad essere inquinate o abbandonate all’incuria sono solitamente le risorse pubbliche come l’atmosfera, i mari, i laghi, i fiumi, le spiagge, le foreste: quelle cioè prive di un proprietario. Le risorse private, al contrario, risultano generalmente ben conservate.

L’ecologia di mercato parte da questa constatazione per proporre una nuova forma di gestione dell’ambiente, basata sui diritti di proprietà, sul libero mercato e sull’associazionismo privato. Quasi sempre la presenza di un proprietario assicura una miglior protezione, una miglior cura e un incremento di valore dei beni naturali. Si spiega così perché sono le specie animali in proprietà pubblica, come i bisonti, le tigri, gli elefanti, le balene o i pesci nei mari aperti che rischiano l’estinzione. Al contrario le mucche, i maiali, le galline o i pesci in acquacoltura proliferano meravigliosamente, perché i proprietari sono interessati alla loro proliferazione.

Il problema dello statalismo ambientale è che i beni pubblici sono spesso trattati come beni di nessuno, dato che i politici e i burocrati non hanno alcun incentivo personale a tutelarli. Nei paesi comunisti si sono verificati delle catastrofi ambientali molto peggiori che in Occidente (si pensi alla desertificazione del Lago d’Aral), perché la gestione burocratica dei beni era molto estesa, la proprietà privata assente e i prezzi di mercato completamente distorti.

Queste considerazioni vengono spiegate in una serie di libri che affrontano i problemi ecologici da un punto di vista liberale, contestando l’attuale impostazione statalista e centralista delle politiche ambientali.

Il primo libro in lingua italiana sull’ecologia di mercato è stato pubblicato nel 1996 dall’editore Leonardo Facco. Si intitola Privatizziamo il chiaro di luna! Le ragioni dell’ecologia di mercato (€ 7,75), e raccoglie una serie di saggi di Carlo Lottieri, Guglielmo Piombini e altri autori. Ancora oggi costituisce il testo più indicato per chi voglia conoscere gli argomenti fondamentali dell’ambientalismo liberista.

Il testo introduttivo più completo sull’argomento è Proprietari di sé e della natura. Un’introduzione all’ecologia liberale (Liberilibri, 2004, € 14,00). Novello Papafava, discendente diretto di una illustre famiglia di liberali padovani, ha scritto in maniera chiara e brillante un libro fondamentale, che rappresenta il miglior seguito e approfondimento dei temi affrontati in Privatizziamo il chiaro di luna!

La fattoria dei capitali. Quando è l’imprenditore a salvare l’ambiente di Robert J. Smith.  (Facco, 2003, € 6,00) presenta alcuni esempi di successo di gestione privatistica e associazionistica dell’ambiente, grazie all’opera di imprenditori e club privati. Questi “eco−capitalisti” hanno rimediato al fallimento della protezione statale degli animali selvatici e marini creando delle eccellenti aree private protette.

Il caso particolare degli elefanti africani è stato studiato da Giorgio Bianco nel saggio Elefanti al guinzaglio. Una soluzione di mercato per evitarne l’estinzione (Facco, 2001, € 3,58). Bianco mette a confronto il fallimento del Kenya, dove gli elefanti sono proprietà dello Stato, con il successo dello Zimbabwe, che ha assegnato la proprietà dei pachidermi ai villaggi. In Kenya gli elefanti hanno rischiato l’estinzione perché le guardie forestali non riuscivano a contrastare il bracconaggio; al contrario, sotto la tutela degli allevatori, lo Zimbabwe è diventato esportatore dei suoi elefanti in eccesso!

Nel libro Perché l’ambientalismo fa male all’ambiente (Rubbettino, 2007, € 10,00) l’economista americano George Reisman, allievo del grande Ludwig von Mises, utilizza le idee della scuola austriaca dell’economia per demolire, in maniera devastante, gli aspetti socialisti e statalisti dell’ideologia ambientalista.

Terry L. Anderson e Donadl R. Leal sono due pionieri americani dell’ecologismo liberale. Il loro libro L’ecologia di mercato. Una via liberale alla tutela dell’ambiente (Lindau, 2007, € 28,00) rappresenta un classico, ma si tratta di un testo di livello accademico piuttosto complesso, consigliabile solo a chi abbia già letto prima altri testi introduttivi.

Secondo gli ecologisti liberali la gestione privatistica produrrebbe dei benefici effetti anche nel settore idrico, a dispetto della forte propaganda ideologica collettivista. Frederik Segerfeldt spiega tutti i vantaggi della privatizzazione dell’acqua nel libro Acqua in vendita? Come non sprecare le risorse idriche (IBL, 2011, € 15,00).

Gli ecologisti liberali accolgono spesso con scetticismo le tesi ambientaliste sul riscaldamento globale e le politiche che vengono proposte per combattere questo presunto fenomeno. Nel libro Pianeta blu, non verde. Cosa è in pericolo: il clima o la libertà? (IBL, 2009, € 19,00) l’ex presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klaus, un liberale seguace di Hayek, ritiene che le misure volte alla riduzione delle emissioni, oltre a non essere scientificamente giustificate, sono incompatibili con l’economia di mercato e la libertà d’impresa, e costituiscono quindi una grave minaccia alla nostra libertà e prosperità.

In definitiva, l’ecologia di mercato rappresenta il miglior antidoto alla propaganda ambientalista, perché dimostra che la gestione statale e burocratica dell’ambiente è destinata al fallimento per gli stessi motivi per cui è fallita miseramente la pianificazione centralizzata dell’economia nei regimi socialisti.

(Guglielmo Piombini)