ALBERTO MINGARDI – Lettera Ad Un Amico No-Global

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Due pungenti saggi sulla globalizzazione e la scuola

Edizioni: Rubbettino   Anno: 2003   pag. 168

COD: 018-229 Categoria:

Descrizione

 

Un testo che lancia il guanto della sfida a quella parte del mondo giovanile che ha costruito la propria fortuna su una critica radicale e massimalista dell’economia di mercato. L’autore “per dialogare coi giovani e con chiunque lo legga ha scelto due temi che più giovanili di così non si trovano: la globalizzazione e la scuola”. Ma questo saggio è soprattutto una riflessione sulle ragioni morali che militano a favore della ferrea limitazione del potere burocratico e contro l’arroganza del ceto politico. Passando poi ad analizzare il sistema di istruzione italiano l’autore esalta la libertà educativa, mette sotto accusa ogni intrusione statale in tale ambito e propone la più netta “separazione” tra Stato e scuola.

1 recensione per ALBERTO MINGARDI – Lettera Ad Un Amico No-Global

  1. Guglielmo Piombini

    src=http://www.store.rubbettinoeditore.it/media/catalog/product/cache/1/image/9df78eab33525d08d6e5fb8d27136e95/l/e/lettera-a-un-amico-no-glob.jpg

    Recensione di Dario Antiseri

    «LETTERA a un amico no global» di Alberto Mingardi (Rubettino) è un bel libro: ricco di argomentazioni, fortemente polemico e insieme rispettoso delle altrui convinzioni < è un libro leggibilissimo, le cui pagine ricevono linfa da autori che hanno scavato nelle ragioni della libertà: Spencer, Mises, Hayek, Friedman, Rothbard, Block, Salin, Ricossa e altri ancora. Chiede Mingardi all¹amico no global: «Tu sollevi problemi, questo è certo. Ma sei sicuro di affrontarli nel modo giusto? Sei certo che il tuo aggrapparti alle sottane dell¹autorità, domandare più Stato, (più "aiuti", più imposte, più regole: tutti sottoprodotti del Potere) sia una soluzione davvero affidabile? Mi ha lasciato basito il fatto che tu da una parte rinfacci a un fenomeno, "la globalizzazione", di spingerci verso un mondo in bianco e nero, costretti ad un¹omologazione innaturale, mentre dall¹altro difendi una particolare istituzione, la scuola pubblica, che per coltivare consenso è stata espressamente concepita». Ecco dunque i motivi di contrasto con l¹amico no global. «Da parte mia < dichiara Mingardi < spero nella globalizzazione per lo stesso motivo per cui diffido della scuola pubblica: mi piace la differenza, la concorrenza, la libertà di scegliere tra possibilità diverse».

    «Per globalizzazione < annota l¹Autore < si intende quel processo in cui s¹è reincarnato un ideale politico liquidato in tutta fretta: il libero scambio, agitato come una bandiera da tutta una scuola di economisti sette-ottocenteschi e seppellito con disprezzo da numerosi becchini nel corso del Novecento». Va fatta in ogni caso una distinzione tra libero scambio e globalizzazione: «Per libero scambio si intende la possibilità per un Paese di commerciare con uno o più Paesi in assenza di barriere protezionistiche. Per globalizzazione si intende invece la libertà di commercio in quasi tutti i settori con un numero pressoché illimitato di controparti attive in un numero "abbastanza elevato" di Paesi ». Ciò premesso Mingardi precisa che la globalizzazione è un fatto e un ideale, che noi viviamo in un mondo «in via di globalizzazione»; che senza «la globalizzazione noi non potremmo godere dei comfort che hanno cambiato la nostra vita da così a così» che «la divisione del lavoro è un modo per mettere in comune le conoscenze»; che la moralità del mercato affonda le sue radici «nel fatto che esso lascia intatta la libertà di scelta degli individui e anzi l¹amplifica, facendosene megafono e grancassa». Dibattuto è oggi il tema del lavoro minorile, visto dai più come una piaga fa estirpare. Si tratta ovviamente di un giusto sentimento morale. Ma con la realtà i conti vanno fatti e noi, «nella nostra opulenza di occidentali, falliamo miseramente nel comprendere come l¹azione di quelle imprese multinazionali (il grande Satana del movimento no global) che danno lavoro ai bambini costituisce per loro un¹opportunità. Un¹opportunità indubbiamente imperfetta, ma un¹opportunità, in una situazione nella quale sembrava non esservene alcuna».

    Inoltre, nessuno può negare i benefici del libero scambio. Jeffrey Sachs e Andrew Warner < ricorda Mingardi < hanno dimostrato come tra il 1970 e il 1980 i Paesi in via di sviluppo con una economia aperta («globalizzata») siano cresciuti con un tasso annuo del 4,5%; mentre quelli con una economia chiusa solo con un tasso dello 0,7%. E ai sostenitori del diffuso pregiudizio, stando al quale la «modernizzazione dei paesi in via di sviluppo implica una «occidentalizzazione» se non una «americanizzazione» obbligata del loro way of life, Mingardi fa presente che pensarla così equivale ad avere una ben scarsa considerazione della cultura altrui; e che non bisogna stancarsi di ripetere che «il mercato non ha una sua cultura». E «se è da evitare una prospettiva euro o americano-centrica, è anche vero che non è difficile comprendere come chi vive ancora in condizioni primitive cerchi di emanciparsene». Emancipazione non equivale affatto ad omologazione della cultura: il Giappone è un classico esempio.

    Nell¹orizzonte di questi pensieri liberali risultano comprensibili le ragioni a favore della scuola libera. Per Mingardi «l¹istruzione pubblica comunque la si rigiri, somiglia ad un ipotetico calzaturificio di Stato che produce distribuisce un solo modello di scarpe». A mio avviso, gli argomenti addotti da Mingardi contro una scuola monopolisticamente gestita dallo Stato sono ineccepibili. Meno convincente sull¹argomento risulta, secondo me, la sua posizione anarco-capitalistica. La libertà degli individui come la verità nella scienza sono ideali regolativi. La libertà concreta come le effettive teorie scientifiche sono conquiste progressive, storiche, soluzioni di problemi reali. Un liberalismo senza storia sarebbe come una scienza senza storia: pura e semplice utopia. Un liberalismo realistico, data l¹attuale situazione della scuola e della politica in Italia, mi pare più ragionevole e consistente di un liberalismo costruttivistico e utopico. Di conseguenza, mi sento ancora di dover difendere la proposta del buono-scuola.

     

    Recensione di Carlo Stagnaro

    "La mia dottrina è, innanzitutto, questa: il padre si prenda cura della sua casa, l'artigiano della sua arte, l'ecclesiastico dell'amore reciproco; e la polizia non disturbi la festa". E' in queste parole rubate alla penna di Johann Wolfgang Goethe che si riassume il senso dell'ultimo libro di Alberto Mingardi, Lettera a un amico no global (Rubbettino).

    Il volume non vuole essere "un confronto tra le convinzioni tue e le mie ma più semplicemente uno sfogo. Ti vesti da clandestino, ma sei ormai quasi abituato a cavalcare le onde della pubblica opinione. Il destino delle nuove generazioni, la loro voglia di partecipare, sembra appeso al filo delle sorti del movimento di cui tu fai parte. Da parte mia, mi riconosco in idee più appartate, meno di moda. In idee di altri, a dire il vero: non c'è un pensiero originale, nelle pagine che seguono, e quasi quasi me ne vanto. Questo non è un libro di ‘pensiero': è un tentativo di divulgazione".

    Gli argomenti scelti da Mingardi per lanciare il guanto della sfida al "popolo di Seattle" sono due, di quelli che più tosti non si può.

    In primo luogo, la globalizzazione. Oggi, scambiare beni e capitali, informazioni e servizi è immensamente più facile che in passato. L'aumento generalizzato della ricchezza – figlio della maggiore produttività e della divisione del lavoro – ha consentito di produrre di più spendendo (e inquinando) meno. Paradossalmente, l' "impronta ecologica" che l'uomo lascia sul pianeta tende a ridursi, nonostante la vertiginosa crescita dei consumi.

    Questo non significa che viviamo nel giardino dell'Eden, o che tutti i problemi siano scomparsi. La povertà e la fame sono ancora minacce incombenti. Quasi un miliardo di persone vive oltre la soglia della denutrizione. Però vive: un secolo fa sarebbe stato impossibile. Per giunta, il trend è verso un miglioramento, non verso un peggioramento. Se però si vuole affrontare seriamente (e la gravità lo richiede) questi fatti, allora bisogna interrogarsi altrettanto seriamente sulle loro cause.

    "Dire che viviamo già oggi in un mondo globalizzato è un'esagerazione – nota Mingardi – Viviamo, più in piccolo, in un mondo in via di globalizzazione: siamo a cavallo di un'epoca nella quale lo sviluppo, davvero senza precedenti, d'alcune tecnologie rende il libero scambio un'alternativa più appetibile e, se vogliamo, ‘più comoda' di quanto non fosse in passato. Oggi è più facile toccarne con mano i benefici: senza globalizzazione noi non potremmo godere dei comfort che hanno cambiato la nostra vita da così a così".

    Non a caso, il capitolo si conclude con un elogio di McDonald's: esso non piace perché "rappresenta il trionfo del modello capitalista, proprio in quei frangenti sui quali i comunisti scommettevano per il suo fallimento". Esso, insomma, "ha avuto successo, laddove il comunismo, avarissimo di pane e companatico per farci i panini, ha invece fallito".

    La seconda parte di Lettera a un amico no global è dedicata al tema della scuola. La tesi dell'autore è, con Giovannino Guareschi, che "l'istruzione pubblica è una conquista del progresso, ma l'educazione dei ragazzi è una faccenda che riguarda non il progresso, bensì la civiltà e perciò è di carattere privato. Ogni volta che lo Stato interviene nel campo morale, i genitori rinunciano a un pezzetto dei propri figli". La riflessione di Mingardi, in breve, è un j'accuse nei confronti della scuola pubblica.

    I genitori, infatti, devono aver diritto di stabilire l'educazione dei propri bambini; ma perché questo avvenga, è necessaria una molteplicità d'istituti scolastici in concorrenza tra di loro. "Se l'educazione deve prepararci al futuro – sostiene Mingardi – essa non può che essere dinamica, non statica. Cangiante, non ‘una volta per tutte'. Plurale, non monolitica. L'esistenza della scuola pubblica assottiglia le nostre speranze di arrivare, pronti, all'incontro col futuro". Da qui nasce l'esigenza di privatizzare il sistema scolastico. Un primo passo in questo senso può venire dall'esempio di molte famiglie americane, che ormai da anni ricorrono all'homeschooling (con risultati eccellenti). Nel 2000 tale fenomeno ha riguardato, negli USA, ben 850.000 giovani: e si tratta d'un numero in crescita.

    Il volume (pubblicato nella collana "Metodi Storie Teorie" diretta da Dario Antiseri) esce in occasione del ventesimo compleanno della ditta "Effegieffe" di Franco Forlin. "Questa operazione culturale – scrive l'imprenditore piemontese – tende a chiarire e dimostrare alcuni concetti di base del pensiero e della cultura liberali".

    Si fa garante della purezza degl'ideali un nome storico del liberalismo italiano, Sergio Ricossa, artefice di un'affettuosa prefazione: "Anche e soprattutto da qui deriva l'importanza eccezionale del libro, raro nel suo genere, a causa della giovinezza dell'autore: un libro scritto non da un docente, ma da un discente. Segno che vi sono situazioni particolari in cui cade la distinzione tra docente e discente". Merito, anche questo, della globalizzazione.

     

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