CHAFUEN, ALEJANDRO A. – Cristiani Per La Liberta’

 14,46

Radici cattoliche dell’economia di mercato

Liberilibri – 1999, Pagine 211

I tardoscolastici medievali della scuola di Salamanca come brillanti precursori della Scuola Austriaca

COD: 018-146 Categoria:

Descrizione

“Cristiani per la libertà: radici cattoliche dell’economia di mercato” restituisce alla conoscenza dei cultori delle scienze sociali, e del grande pubblico, una corrente del pensiero cristiano che la cultura cattolica, nel corso degli ultimi tre secoli, ha relegato nel fondaco dei materiali esplosivi. Esso «si rivolge a tutte quelle persone, cattoliche e non, che credono il libero mercato incompatibile con il cristianesimo, e anche a tutti coloro che vedono nella libertà economica una componente essenziale della libertà umana». Il lavoro di Chafuen mostra quanto le idee economiche dei tardoscolastici abbiano influenzato i fisiocrati e autori liberali classici quali Ferguson e Smith. Mette anche in luce le sorprendenti analogie con le teorie che su proprietà privata, finanza pubblica, moneta, commercio, valore e prezzo, salario, profitto e interesse sono state successivamente proposte da esponenti di prestigio della Scuola austriaca di economia. Questo libro – come sottolinea Novak – è prezioso per il mondo cattolico, spesso dimentico dei tesori della sua tradizione. Se è vero che per essere buoni cristiani non si deve essere necessariamente liberali, è altrettanto vero che, se il benessere del nostro prossimo e la libertà sono finalità iscritte nel codice genetico del cristianesimo, il liberalismo – nonostante l’avversa opinione di tanti cattolici – è lo strumento più adatto per conseguirle. Un’analisi illuminante che strappa definitivamente dalle mani degli statalisti d’ogni colore l’usurpato e spesso malinteso vessillo della solidarietà.

1 recensione per CHAFUEN, ALEJANDRO A. – Cristiani Per La Liberta’

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Alberto Mingardi e Guglielmo Piombini

    Sono passati quasi cento anni da quando Max Weber, uno dei fondatori della sociologia moderna diede alle stampe “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. In questo suo celebre lavoro, uscito nel 1905, Weber sostenne l’esistenza di uno strettissimo legame causa-effetto fra il substrato religioso calvinista – o, per meglio dire, puritano – e l’economia capitalistica. La tesi è divenuta nel corso degli anni quasi un luogo comune. Peccato che, come molti luoghi comuni, ad un più attento esame essa si riveli falsa. A dimostrarlo è il documentato saggio di Alejandro A. Chafuen Cristiani per la libertà, recentemente tradotto Liberilibri, un piccolo quanto combattivo editore di Macerata.

    In questo agile volumetto di duecento pagine ricche di spunti e citazioni, Chafuen riscopre i contributi economici della tarda “Scolastica” (la scuola di pensiero che, sulle orme di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, cercò di fondere insieme cristianesimo e aristotelismo), dimostrando l’esistenza di radici autenticamente cattoliche dell’economia di mercato. Una testimonianza importante, che ha spinto Hector M. Robertson a dichiarare che “non sarebbe sbagliato sostenere che è stato il gesuitismo, e non il calvinismo, a favorire lo spirito del capitalismo”.

    C’è molto di vero in quest’affermazione: il “capitalista” descritto, o forse immaginato, da Weber era essenzialmente un grigio accaparratore, del tutto privo dell’amore per il rischio, per l’avventura e, più in generale, per il genere di vita che contraddistingue la figura dell’imprenditore che noi conosciamo. Non solo: la tesi weberiana, identificando erroneamente capitalismo e Rivoluzione Industriale, risultava del tutto inadatta a spiegare il grande fiorire dell’economia di mercato nel Medioevo cattolico in paesi quali l’Italia comunale o la Svizzera. Al contrario, l’elaborazione degli Scolastici sembra più avanzata tanto sul piano strettamente economico quanto su quello, per così dire, “psicologico”: se già Tommaso aveva intuito che “ciascuno è più sollecito nel prodigarsi a vantaggio di ciò che appartiene a lui esclusivamente piuttosto che per ciò che appartiene a tutti”, Tomàs de Mercado va ben oltre, argomentando che “la gente ama di più le cose che le appartengono. Se io amo Dio, è il mio Dio, creatore e salvatore, che amo… L’amore implica sempre la parola “mio” e il concetto di proprietà è fondamentale per la natura e l’essenza dell’amore”.

    La proprietà privata, in barba ai luoghi comuni dei catto-comunisti, viene ampiamente legittimata da parte di questi pensatori cristiani: come già San Tommaso, i suoi discepoli sottolineano il carattere controproducente del collettivismo, ed evidenziano il modo in cui la proprietà privata possa essere un efficace strumento per arginare il problema della scarsità e, dunque, della povertà (sempre Mercado: “se l’amore universale non induce la gente a prendersi cura delle cose, lo farà l’interesse privato. Quindi i beni privati si moltiplicheranno. Se essi fossero rimasti proprietà comune, sarebbe vero il contrario”). L’interesse personale ed egoistico è dunque una “molla” che spinge l’uomo ad agire, e rappresenta quindi non la negazione, ma il presupposto della felicità e della ricchezza dell’intera società.

    Anche da un punto di vista più strettamente scientifico, l’elaborazione dei tardoscolastici appare perfettamente in linea con il più recente pensiero della Scuola Austriaca d’Economia: il francescano Pietro Giovanni Olivi e San Bernardino, ad esempio, avevano anticipato le scoperte della dottrina marginalista individuando il valore dei beni nella loro utilità “soggettiva”. San Bernardino aveva infatti affermato che “può ben succedere che l’acqua sia valutata più dell’oro, perché in quel posto l’oro è più abbondante dell’acqua”.

    Strenui difensori dei due pilastri dell’economia liberale – la proprietà privata e, appunto, la teoria marginale del valore – i tardoscolastici proponevano delle ricette di politica economica non lontane da quelle reaganiane o thatcheriane: “le tasse alte hanno originato povertà”, notava Pedro Fernàndez de Navarrete, aggiungendo che “chi impone tasse elevate riceve da pochi”. Allo stesso modo, pensatori come Juan de Mariana o Bartolomé de Albornòz non esitavano ad attaccare con vigore l’irresponsabile amministrazione religiosa dei beni comuni. De Mariana, per esempio, intuì in maniera fondamentale che in politica la cosa più importante non era tanto il sistema istituzionale (monarchia-repubblica ma, potremmo dire oggi, proporzionale-maggioritario), quanto il complesso di diritti e garanzie di cui poteva godere la gente di una data società. Mariana (secondo il quale il potere è come “il cibo per lo stomaco: troppo o troppo poco può indebolire”) fu critico severo di molti governanti entrati nella leggenda e lodati nei secoli, come Ciro, Alessandro o Cesare, visti come tiranni senza scrupoli desiderosi di vampirizzare a loro favore le risorse degli individui.

    Ed è sempre Mariana a notare “quanto è triste per la repubblica, e quanto è odioso per la gente, vedere coloro che entrano nella pubblica amministrazione senza un centesimo diventare ricchi e grassi col servizio pubblico”. Per questo motivo, secondo i tardoscolastici, i sovrani avrebbero dovuto eliminare ogni spesa superflua, moderare le tasse e mantenere le spese di bilancio inferiori alle entrate. Consiglio, si sa, non molto seguito in epoca moderna…

    Incisiva anche la critica alla burocrazie e ai cortigiani che andrebbero, secondo Navarrete ( “Cappellano Canonista e segretario di Sua Maestà”, re di Spagna), licenziati in gran numero, onde evitare che le loro eccessive spese conducano a uno spropositato debito pubblico e che essi, da perfetti “squali”, si facciano largo nella selva di leggi ed imposte, utilizzandole a proprio favore.

    Il pensiero dei tardoscolastici sembra oggi ben più adatto della fatalista etica protestante a fondare le basi morali della società di mercato: non sono un caso, infatti, le numerose assonanze con le teorie liberali più recenti, quali quelle di un Friedrich von Hayek o di un Murray Rothbard. Fra i riconosciuti maestri di Hayek, infatti, ci fu anche Lord Acton, il cui debito nei confronti della Scolastica è evidente.

    A Rothbard, uno dei maggiori economisti del ‘900 e autentico fondatore del pensiero libertarian (il liberismo radicale americano), bisogna invece attribuire il merito di essere stato fra i primi a cogliere, nella sua monumentale Storia del pensiero economico, l’importanza delle elaborazioni teoriche della tarda scolastica.

    Un pensiero, questo, che vale la pena di riscoprire in un mondo che, nel conflitto tra la globalizzazione dei mercati e l’invadenza dei governi, è più che mai alla ricerca di un riconoscimento del valore dell’agire dei singoli in tutti i campi della vita umana.

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