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DE MARCHI, LUIGI – O Noi O Loro!

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 12,91

Produttori contro burocrati

La vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale

Edizioni: Bietti   Anno: 2000   pag. 177

Esaurito

COD: 018-155 Categoria:

1 recensione per DE MARCHI, LUIGI – O Noi O Loro!

  1. Guglielmo Piombini

    Recensione di Guglielmo Piombini

    Nel suo ultimo libro O noi o loro! Luigi De Marchi, uno dei più coraggiosi studiosi italiani di psicologia, da sempre osteggiato dalla cultura di regime per le sue idee anticonformiste, si propone di spiegare, in un’ottica psico-politica, i grandi rivolgimenti politici che hanno caratterizzato l’Italia e l’Occidente negli ultimi decenni.

    La tesi centrale del saggio, argomentata con notevole forza polemica, è che lo spostamento “a destra” (in senso liberista) dell’opinione pubblica mondiale verificatosi a partire dalla fine degli anni ‘70 rappresenta l’avvisaglia di una epocale lotta di classe tra ceti produttivi (imprenditori, impiegati e operai occupati nel settore privato, artigiani, commercianti, lavoratori autonomi) e ceti parassitari (politici e politicanti, burocrati, clientele assistite, grandi industrie e corporazioni protette dallo Stato, ecc.) che si svilupperà con un’intensità ancora maggiore nel prossimo millennio ormai alle porte. Questo conflitto, per De Marchi, non è solo uno scontro economico e sociale, ma anche e soprattutto un antagonismo psico-politico tra due tipi psicologici ben precisi: il Produttore, realista, dinamico, fiducioso, aperto alla modernità e alle innovazioni; e il Burocrate, insicuro, affamato di sicurezza e di autorità delegata dall’alto, incapace di leadership naturale, formalista, inerte e conformista.

    Fin dal suo lavoro Psicopolitica del 1975 e poi in numerosi articoli successivi Luigi De Marchi va ripetendo infatti che “è da tempo evidente, per chiunque sappia guardare la storia contemporanea con un minimo di oggettività, che la vera classe dominante, parassitaria e sfruttatrice del mondo intero è la classe burocratica». Anche all’interno dei paesi occidentali, con l’Italia in testa, si è andata formando una nomenklatura del tutto simile a quella “Nuova Classe” al potere nei paesi comunisti magistralmente descritta da Milovan Gilas; solo l’esistenza di spazi di mercato parzialmente sottratti al soffocante controllo statale ha salvato l’Occidente dagli abissi di terrore e di miseria sperimentati da quei sistemi che hanno burocratizzato integralmente la società.

    La prima cosa che salta all’occhio in questa analisi di De Marchi è il completo rovesciamento della tradizionale impostazione marxiana della lotta di classe, simboleggiato anche nell’immagine di copertina, dove il filosofo di Treviri viene messo senza tanti complimenti a testa in giù, mentre compare in primo piano Franz Kafka. Quest’ultimo, ricorda De Marchi, aveva colto con chiarezza l’essenza della tirannia statalistico-burocratica quando, assistendo nel 1919 ad un corteo che manifestava per le strade di Praga in favore della nazionalizzazione delle imprese, osservò: «Poveretti! Non hanno ancora capito che oggigiorno le catene dei popoli sono fatte con le carte dei ministeri».

    Il vero sfruttamento non è allora (come la storia ha dimostrato) quello capitalistico teorizzato da Marx, ma quello politico-burocratico, che in Italia raggiunge dimensioni enormi, nell’ordine del 60% del reddito prodotto. In termini concreti, l’impiegato in azienda o l’operaio di fabbrica non è sfruttato dal datore di lavoro, con il quale anzi instaura una relazione reciprocamente vantaggiosa, ma dallo Stato, che gli estorce più della metà dello stipendio per mantenere legioni di clientes o di inutili scaldasedie, portaborse e passacarte. La spoliazione sistematica dei ceti produttivi a vantaggio della classe politico-burocratica è potuta crescere indisturbata fino ad oggi, spiega De Marchi, grazie al sostegno delle ideologie stataliste elaborate dagli intellettuali-cortigiani, che hanno demonizzato i lavoratori autonomi e idealizzato la funzione della burocrazia statale (vista da Hegel e Weber addirittura come l’incarnazione della razionalità pura), spacciando come identici gli interessi in realtà opposti dei dipendenti delle aziende private e di quelli del settore pubblico.

    L’analisi di De Marchi è molto vicina alla teoria sociale sviluppata da Franz Oppenheimer e da Albert Jay Nock (Il Nostro Nemico lo Stato, Liberilibri, 1995) secondo cui l’azione fiscale dello Stato divide inevitabilmente la società in due classi, una sfruttata, i produttori di tasse (tax-payers), e una sfruttatrice, i consumatori di tasse (tax-consumers), i quali vivono sulla ricchezza prodotta da altri. Se applichiamo queste considerazioni al caso italiano, è facile accorgersi che il malessere delle regioni più produttive del Nord Italia si spiega col fatto che qui, a differenza che nel Sud, risiedono per la stragrande maggioranza membri della prima classe.

    Se esiste quindi una contrapposizione di classe nelle attuali società, questa non è tra capitalisti e proletari, o tra lavoratori autonomi e dipendenti, ma tra coloro che ricevono il proprio reddito tramite strumenti consensuali (scambi, contratti, ecc.), e coloro che lo ottengono coercitivamente, attraverso l’imposizione fiscale. Come ha sottolineato il grande libertario americano Murray N. Rothbard, i membri dello Stato sono gli unici individui delle nostre società che si procurano le entrate non perchè qualcuno li paghi volontariamente per i loro servigi, ma con la costrizione, ovverosia con la minaccia di sanzioni penali.

    In effetti, per quanto siano stati soprattutto i partiti di destra, come i repubblicani di Reagan o i conservatori della Thatcher, a farsi paladini della rivolta antistatalista, le idee di Luigi De Marchi non sono conservatrici, ma radicalmente liberali. Negli Stati Uniti egli sarebbe senza dubbio considerato un “libertario”, cioè un antistatalista estremo sia nel campo economico che in quello civile, vicino alle posizioni anarco-capitaliste di Murray N. Rothbard o di David Friedman. I libertarians americani infatti, proprio come De Marchi, accusano d’incoerenza sia la sinistra progressista, favorevole all’estensione dei diritti civili ma nemica della libertà economica, sia la destra conservatrice, che, al contrario, difende la libertà in economia ma non la libertà nel campo etico (ad esempio sulle scelte religiose, il servizio militare o la droga).

    Nell’ultimo capitolo De Marchi esorta i movimenti partitici più innovativi del panorama politico italiano, il Polo e la Lega, cui non vengono risparmiate critiche, a portare avanti con maggior decisione la battaglia liberista e libertaria. Quello che è certo è che sulla sfida indicata da De Marchi si gioca il destino dell’Occidente: come la storia ricorda, l’eccesso di statalismo e burocratizzazione è sempre stato causa di rovina e crollo di civiltà ed imperi.

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