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FRIEDRICH A. VON HAYEK – Prezzi e Produzione

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Il dibattito sulla moneta

Il testo di economia monetaria che nel 1931 diede ad Hayek la fama internazionale

Edizioni: ESI   Anno: 1990   pag. 210

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COD: 018-47 Categoria:

Descrizione

Recensione di Carlo Zucchi

Quest’opera del 1931 si colloca nella produzione hayekiana meramente economica risalente al periodo compreso tra il 1924 e il 1941, periodo dopo il quale, Hayek dedicherà i suoi maggiori sforzi nel campo della filosofia politica. Se l’Hayek filosofo politico è ormai conosciuto in Italia, non altrettanto si può dire dell’Hayek economista, i cui lavori vennero presto oscurati dalla vulgata keynesiana allora tanto di moda.

Sulla falsa riga di Mises, Hayek difende l’individualismo metodologico e la teoria soggettiva del valore e addotta un approccio di tipo macroeconomico a problemi quali il valore della moneta, la teoria del ciclo e del capitale; e “Prezzi e produzione” costituisce, forse, la sintesi più significativa dell’economista austriaco su questi argomenti. Secondo Hayek, le variazioni della quantità di moneta in circolazione hanno effetti sui prezzi relativi, sulla distribuzione tra salari e profitti e, di conseguenza, sull’allocazione delle risorse produttive e sulle quantità di beni prodotte.

Questa considerazione pone Hayek in netto contrasto con i sostenitori della teoria quantitativa della moneta nella sua forma più meccanica e primitiva, così come con quelle teorie monetarie del ciclo che pongono al centro dell’analisi il problema delle fluttuazioni del “livello generale dei prezzi” o del valore della moneta. E per gli stessi motivi Hayek contesta anche la teoria dell’equilibrio economico generale di stampo walrasiano, allora dominante, nella quale la moneta non ha alcuna influenza sulla determinazione delle grandezze reali dell’economia. Hayek rifiuta la separazione tra teoria monetaria e teoria dei prezzi. Entrambe concorrono a formare un unico corpus disciplinare, in quanto la realtà economica è fortemente influenzata dalla presenza della moneta e dal sistema bancario.

Secondo Hayek, le teorie basate sull’equilibrio economico generale sono inadeguate a fornire una spiegazione del ciclo economico in quanto statiche. Esse ipotizzano che i prezzi forniscano un meccanismo automatico per equilibrare domanda e offerta, ma il ciclo economico, al contrario, è caratterizzato da uno sviluppo eccessivo di beni capitali nella sua fase ascendente e dall’eliminazione di quella quantità eccessiva di capitale nella sua fase discendente. Lo specifico compito della teoria del ciclo, quindi, è quello di spiegare per quali motivi, contrariamente ai risultati della teoria pura, durante la fase del boom “le forze che normalmente tendono a ripristinare l’equilibrio diventano temporaneamente inefficaci, e per quali motivi esse rientrano in azione solo quando è troppo tardi”.

Per Hayek l’economia monetaria differisce da un’economia di baratto (sulla quale la teoria pura fonda i suoi presupposti), non per via dello scambio indiretto in quanto tale, bensì grazie all’esistenza di un moderno sistema bancario capace di “creare credito nuovo” così che l’offerta di fondi per l’investimento possa essere “molto maggiore e in larga parte indipendente” dall’offerta di prestiti provenienti dall’attività di risparmio del pubblico. Diviene a questo punto inevitabile la divergenza tra saggio di interesse sui prestiti concessi dal sistema bancario (saggio di interesse monetario) e il saggio di interesse che “nell’ipotetico mercato della teoria pura” porterebbe all’uguaglianza domanda e offerta di risparmio intenzionale (saggio di interesse di equilibrio). Secondo Hayek, pertanto, il saggio di interesse rilevante ai fini dell’equilibrio del sistema (sia esso un’economia monetaria o di baratto) è lo stesso saggio che, nell’ipotetica economia di baratto, porta all’equilibrio domanda e offerta di risparmio volontario. L’unica differenza è che in una economia monetaria, in cui esistono due saggi di interesse distinti e generalmente divergenti, la condizione di equilibrio richiede, in aggiunta alle altre, che questi due saggi coincidano.

Nell’ambito del dibattito che si svolge negli anni Venti e Trenta, in virtù delle enormi potenzialità del sistema bancario, acquista rinnovato vigore la dottrina del “risparmio forzato”, una dottrina di antica origine che nel corso della storia dell’analisi economica è comparsa a più riprese in contesti teorici anche molto diversi e che, fin da quando fu inizialmente formulata, risultò in netto contrasto con qualsiasi teoria che facesse dipendere il valore della moneta dalla sua quantità. Hayek si distingue tra gli altri per la lucidità con cui coglie i problemi che la nozione del risparmio forzato solleva rispetto alla definizione di saggio di interesse di equilibrio:

“Si è spesso sostenuto che il risparmio forzato provocato da una riduzione artificiale del saggio di interesse alla fine accrescerebbe l’offerta di capitale nell’economia tanto da far cadere il saggio di interesse naturale al livello del saggio di interesse monetario, così da creare un nuovo stato di equilibrio. […] Questo punto di vista è strettamente connesso alla tesi che […] il livello del saggio di interesse dipende direttamente dall’intero stock di capitale reale esistente. Ma il risparmio forzato accresce soltanto lo stock di beni capitali esistenti, e non necessariamente l’offerta corrente di capitale libero disponibile per gli investimenti, ossia quella porzione del reddito totale che non è consumata, ma viene utilizzata per il mantenimento e l’ammortamento degli impianti fissi”.

In “Prezzi e Produzione” Hayek sostiene che l’espansione del credito, pur potendo temporaneamente far aumentare la quantità di capitale, non potrà mai avere l’effetto di accrescere in misura adeguata il volume di risparmio volontario e, dunque, non potrà mai portare a una nuova posizione di equilibrio.

Nella seconda parte del libro, la dottrina del risparmio forzato viene ulteriormente sviluppata, e assieme ad essa, è di estremo interesse il capitolo relativo al consumo di capitale, nel quale, alcuni passi sembrano profetizzare scenari dell’Italia di oggi.

La terza parte, infine, è dedicata al dibattito sulla moneta con altri autori. Particolarmente aspro è quello con Piero Sraffa, a cui seguono un capitolo di Alvin H.Hansen e Herbert Tout su “Investimento e risparmio nella teoria del ciclo economico” e un capitolo dello stesso Hayek sul Capitale e le fluttuazioni industriali.

1 recensione per FRIEDRICH A. VON HAYEK – Prezzi e Produzione

  1. Guglielmo Piombini

    src=http://www.edizioniesi.it/images/stories/virtuemart/product/0890097000.jpg

    Recensione di Carlo Zucchi

    Quest’opera del 1931 si colloca nella produzione hayekiana meramente economica risalente al periodo compreso tra il 1924 e il 1941, periodo dopo il quale, Hayek dedicherà i suoi maggiori sforzi nel campo della filosofia politica. Se l’Hayek filosofo politico è ormai conosciuto in Italia, non altrettanto si può dire dell’Hayek economista, i cui lavori vennero presto oscurati dalla vulgata keynesiana allora tanto di moda.

    Sulla falsa riga di Mises, Hayek difende l’individualismo metodologico e la teoria soggettiva del valore e addotta un approccio di tipo macroeconomico a problemi quali il valore della moneta, la teoria del ciclo e del capitale; e “Prezzi e produzione” costituisce, forse, la sintesi più significativa dell’economista austriaco su questi argomenti. Secondo Hayek, le variazioni della quantità di moneta in circolazione hanno effetti sui prezzi relativi, sulla distribuzione tra salari e profitti e, di conseguenza, sull’allocazione delle risorse produttive e sulle quantità di beni prodotte.

    Questa considerazione pone Hayek in netto contrasto con i sostenitori della teoria quantitativa della moneta nella sua forma più meccanica e primitiva, così come con quelle teorie monetarie del ciclo che pongono al centro dell’analisi il problema delle fluttuazioni del “livello generale dei prezzi” o del valore della moneta. E per gli stessi motivi Hayek contesta anche la teoria dell’equilibrio economico generale di stampo walrasiano, allora dominante, nella quale la moneta non ha alcuna influenza sulla determinazione delle grandezze reali dell’economia. Hayek rifiuta la separazione tra teoria monetaria e teoria dei prezzi. Entrambe concorrono a formare un unico corpus disciplinare, in quanto la realtà economica è fortemente influenzata dalla presenza della moneta e dal sistema bancario.

    Secondo Hayek, le teorie basate sull’equilibrio economico generale sono inadeguate a fornire una spiegazione del ciclo economico in quanto statiche. Esse ipotizzano che i prezzi forniscano un meccanismo automatico per equilibrare domanda e offerta, ma il ciclo economico, al contrario, è caratterizzato da uno sviluppo eccessivo di beni capitali nella sua fase ascendente e dall’eliminazione di quella quantità eccessiva di capitale nella sua fase discendente. Lo specifico compito della teoria del ciclo, quindi, è quello di spiegare per quali motivi, contrariamente ai risultati della teoria pura, durante la fase del boom “le forze che normalmente tendono a ripristinare l’equilibrio diventano temporaneamente inefficaci, e per quali motivi esse rientrano in azione solo quando è troppo tardi”.

    Per Hayek l’economia monetaria differisce da un’economia di baratto (sulla quale la teoria pura fonda i suoi presupposti), non per via dello scambio indiretto in quanto tale, bensì grazie all’esistenza di un moderno sistema bancario capace di “creare credito nuovo” così che l’offerta di fondi per l’investimento possa essere “molto maggiore e in larga parte indipendente” dall’offerta di prestiti provenienti dall’attività di risparmio del pubblico. Diviene a questo punto inevitabile la divergenza tra saggio di interesse sui prestiti concessi dal sistema bancario (saggio di interesse monetario) e il saggio di interesse che “nell’ipotetico mercato della teoria pura” porterebbe all’uguaglianza domanda e offerta di risparmio intenzionale (saggio di interesse di equilibrio). Secondo Hayek, pertanto, il saggio di interesse rilevante ai fini dell’equilibrio del sistema (sia esso un’economia monetaria o di baratto) è lo stesso saggio che, nell’ipotetica economia di baratto, porta all’equilibrio domanda e offerta di risparmio volontario. L’unica differenza è che in una economia monetaria, in cui esistono due saggi di interesse distinti e generalmente divergenti, la condizione di equilibrio richiede, in aggiunta alle altre, che questi due saggi coincidano.

    Nell’ambito del dibattito che si svolge negli anni Venti e Trenta, in virtù delle enormi potenzialità del sistema bancario, acquista rinnovato vigore la dottrina del “risparmio forzato”, una dottrina di antica origine che nel corso della storia dell’analisi economica è comparsa a più riprese in contesti teorici anche molto diversi e che, fin da quando fu inizialmente formulata, risultò in netto contrasto con qualsiasi teoria che facesse dipendere il valore della moneta dalla sua quantità. Hayek si distingue tra gli altri per la lucidità con cui coglie i problemi che la nozione del risparmio forzato solleva rispetto alla definizione di saggio di interesse di equilibrio:


    “Si è spesso sostenuto che il risparmio forzato provocato da una riduzione artificiale del saggio di interesse alla fine accrescerebbe l’offerta di capitale nell’economia tanto da far cadere il saggio di interesse naturale al livello del saggio di interesse monetario, così da creare un nuovo stato di equilibrio. […] Questo punto di vista è strettamente connesso alla tesi che […] il livello del saggio di interesse dipende direttamente dall’intero stock di capitale reale esistente. Ma il risparmio forzato accresce soltanto lo stock di beni capitali esistenti, e non necessariamente l’offerta corrente di capitale libero disponibile per gli investimenti, ossia quella porzione del reddito totale che non è consumata, ma viene utilizzata per il mantenimento e l’ammortamento degli impianti fissi”.

    In “Prezzi e Produzione” Hayek sostiene che l’espansione del credito, pur potendo temporaneamente far aumentare la quantità di capitale, non potrà mai avere l’effetto di accrescere in misura adeguata il volume di risparmio volontario e, dunque, non potrà mai portare a una nuova posizione di equilibrio.

    Nella seconda parte del libro, la dottrina del risparmio forzato viene ulteriormente sviluppata, e assieme ad essa, è di estremo interesse il capitolo relativo al consumo di capitale, nel quale, alcuni passi sembrano profetizzare scenari dell’Italia di oggi.

    La terza parte, infine, è dedicata al dibattito sulla moneta con altri autori. Particolarmente aspro è quello con Piero Sraffa, a cui seguono un capitolo di Alvin H.Hansen e Herbert Tout su “Investimento e risparmio nella teoria del ciclo economico” e un capitolo dello stesso Hayek sul Capitale e le fluttuazioni industriali.

     

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