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MURRAY N. ROTHBARD – Lo Stato Falsario

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Cosa ha fatto lo Stato con i nostri soldi?

 

Edizioni: Facco   Anno: 2005   pag. 112

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Descrizione

La distruzione del “sistema aureo” e la progressiva appropriazione della politica monetaria da parte degli Stati hanno condotto all’inflazione ed erosione continua del potere d’acquisto delle valute, con gravi ripercussioni sulla vita economica di tutti i giorni. L’ingerenza governativa sulla moneta sta già dimostrando, con l’euro, i suoi effetti peggiori.

1 recensione per MURRAY N. ROTHBARD – Lo Stato Falsario

  1. Guglielmo Piombini

    Introduzione di Piero Vernaglione e postfazione di Fabio Gallazzisrc=http://shop.movimentolibertario.com/wp-content/themes/shopperpress/thumbs/ROTHBARD-SIM-201x300.jpg

    Recensione di Carlo Lottieri

    È un libro quanto mai originale, controcorrente e fuori dagli schemi questo che le edizioni Leonardo Facco hanno di recente mandato in libreria, traducendo per i lettori italiani What Has Government Done to Our Money?, uno degli scritti più “corrosivi” del padre della teoria libertaria, Murray N. Rothbard.

    Opera di un giovane economista allora poco conosciuto e meno che quarantenne, questo volume del 1963 (che in italiano porta il titolo Lo Stato falsario. Ecco cosa i governi hanno fatto ai nostri soldi) rappresenta una delle denuncie più spietate e teoricamente rigorose che mai siano state indirizzate verso le monete di Stato e, in particolare, verso i processi inflazionistici che hanno segnato il ventesimo secolo.

    L’età dei totalitarismi e degli stermini di massa, in effetti, è stata anche l’età in cui le monete si sono dissolte come neve al sole; ed è ben nota la situazione in cui versava ad esempio Germania degli anni ‘20, quando nei negozi la cartamoneta veniva talora perfino “pesata” (ignorando le cifre riportate sulle banconote). E sebbene gli storici siano concordi nel sottolineare gli stretti rapporti tra l’iperinflazione di Weimar e l’avvento del regime nazista, le migliori analisi sul carattere fraudolento del monopolio statale sulla moneta continuano ad essere trascurate: un po’ per ignoranza, un po’ per complicità.

    Come molti altri economisti liberali, Rothbard avversa in primo luogo l’inflazione. Ma ai suoi occhi il venir meno della capacità d’acquisto è soprattutto conseguenza del cosiddetto corso forzoso: ossia, dell’obbligo di utilizzare le monete di Stato, un tempo recanti il volto del sovrano e ancora oggi incaricate di simboleggiare le istituzioni pubbliche. La moneta statale, infatti, è un bene del tutto “artificiale”: nient’altro che carta emessa dalla Banca centrale, prodotta in grande quantità ogni volta che il ceto pubblico ha bisogno di soldi per pagare i dipendenti pubblici, finanziare le guerre o comprare le clientele elettorali.

    Mentre i monetaristi alla Milton Friedman s’illudono che sia possibile porre “limiti costituzionali” alla produzione di moneta e seguitano a ritenere che esista e sia anche conoscibile una crescita ottimale della moneta circolante, Rothbard è assai più radicale e rivendica il diritto di combattere alla radice il monopolio della classe politica sulla moneta.

    Per giunta, egli ricorda a più riprese come l’inflazione sia una forma (subdola, mascherata, spesso non percepibile) d’imposizione fiscale. Così, se la tassazione irrita i sudditi e il ricorso al debito rinvia nel tempo le difficoltà (ma non le risolve), è chiaro che i governanti sono costantemente indotti a togliere ricchezza ai loro sudditi ricorrendo all’inflazione, che trasferisce risorse dai vecchi ai nuovi possessori di monete. Essa svuota di contenuto le banconote già in uso, progressivamente “vampirizzate” dalla moneta di più recente immissione.

    Consapevole di ciò, Rothbard propone il ritorno a valute di mercato, sottratte al controllo esclusivo dei soggetti pubblici. La proposta, che oggi può apparire provocatoria, in realtà non suggerisce altro che la rinascita di pratiche un tempo assai usuali. Le cose sono andate in tal modo, d’altra parte, per periodi anche molto lunghi della storia occidentale, quando la concorrenza dei conii conduceva tutti i banchieri a restare ancorati alla stessa medesima moneta: l’oro.

    La proposta di “tornare all’oro” è al cuore del volume di Rothbard, che vede nel metallo prezioso non soltanto una valuta per sua natura “internazionale”, ma soprattutto una moneta sottratta all’arbitrio dei politici e dei banchieri centrali. In effetti, quando le sterline e i dollari mantenevano un rapporto di cambio fisso con l’oro, per poter emettere nuove banconote era necessario depositare una corrispettiva quantità di metallo prezioso. A quel tempo, in effetti, le monete erano “pagabili al portatore”, ovvero in ogni momento tramutabili in metallo prezioso.

    Per questo motivo ancora durante l’Ottocento le società d’Europa e del Nord America disponevano di monete piuttosto solide. Ma il Novecento è stato segnato, anche negli Stati Uniti, dalla volontà delle classi politiche di “affrancare” la moneta da ogni riferimento all’oro. Significativo, in tal senso, il fatto che nel 1933 Franklin Delano Roosevelt abbia deciso che possedere oro era divenuto un crimine e, soprattutto, che fosse proibito usare l’oro come mezzo di pagamento. Sganciato il dollaro dal metallo prezioso (allungo, il rapporto era stato di 20 dollari per un’oncia), il governo americano innescò una fortissima inflazione, che trasferì risorse dai creditori ai debitori e rese persistente quella Grande Depressione da cui l’America uscirà veramente solo alla fine degli anni Quaranta.

    In questo senso è assai significativo, come rileva Piero Vernaglione nell’introduzione al volume, che Rothbard contesti il sistema monetario attuale – quella della Fed, della Bce, e via dicendo – tanto con argomenti economici che con argomenti etici.

    In pagine di grande efficace, egli sottolinea che la rinascita della società occidentale esige “un sistema economico costruito solidamente sul diritto inviolabile alla proprietà privata, sul diritto di ogni persona a disporre di ciò che guadagna ed a scambiare i prodotti del suo lavoro. E per compiere questa impresa dobbiamo ancora una volta avere denaro che sia prodotto sul mercato, che sia d’oro e non di carta, basato su di un’unità monetaria che corrisponda ad un certo peso d’oro invece che al semplice nome di una banconota prodotta a tiratura illimitata dal governo. Dobbiamo avere investimenti determinati dai risparmi volontari raccolti sul mercato e non da una moneta contraffatta e dal credito generato da un sistema bancario fraudolento e protetto da privilegi statali”.

    Per questa ragione lo studioso americano invita ad “abolire la banca centrale ed imporre ai singoli istituti bancari di rispettare i loro impegni ogni volta che qualche cliente lo pretende. Il denaro e il sistema bancario sono stati fatti apparire processi arcani e misteriosi che devono essere guidati e gestiti da una aristocrazia tecnocratica. Non si tratta di nulla di tutto questo”.

    Da fautore dell’economia di mercato, Rothbard considera che l’inflazione sia l’effetto diretto di un ordine giuridico illiberale. Sottratte alla competizione, le monete hanno smesso di svolgere in maniera efficace ed onesta la loro funzione. E come in ogni monopolio la conseguenza è il moltiplicarsi di comportamenti parassitari e fraudolenti.

    La riflessione economica scivola subito, allora, nell’invettiva morale. Il sistema valutario contemporaneo lede la libertà d’iniziativa dei singoli e costringe a fare ricorso a monete controllate coercitivamente da pochi soggetti, che quasi sempre finiscono per abusare del loro potere e, in particolare, fanno lievitare la massa monetaria. Una parte significativa del libro, così, è dedicata a mostrare le aberrazioni del sistema detto “a riserva frazionaria”, nel quale viviamo ormai da molti decenni senza neppure avere consapevolezza di ciò che esso comporta e dei guai che da tale sistema quasi fatalmente derivano.

    Contro le tesi di Rothbard viene talora evocata la cosiddetta “legge di Gresham”, in virtù della quale la moneta cattiva scaccerebbe la moneta buona, con il risultato che in un mercato libero di valute indipendenti la moneta inflazionata prevarrebbe su quella buona. Tale legge è spesso tirata in ballo contro ogni ipotesi di libertà valutaria e concorrenza tra monete da quanti ritengono che in un’economia libera vi sarebbe il trionfo delle monete malgestite su quelle affidate ad amministratori saggi. Ma ciò è assai controintuitivo, come lo sarebbe sostenere che in un libero mercato automobilistico i consumatori tenderebbero ad acquistare vetture costose e di pessima qualità…

    Evocare la legge di Gresham, infatti, significa conoscere la storia solo a metà. Nell’Inghilterra del sedicesimo secolo, infatti, la circolazione delle monete auree era caratterizzata dal fatto che quelle che passavano di mano in mano erano le più leggere (poiché limate da furbastri e truffatori), mentre tutti tesaurizzavano le monete più pesanti. Ma questo non fu per nulla la conseguenza della libertà valutaria, ma al contrario l’effetto dell’obbligo di accettare come legali anche quelle monete che, sebbene “taroccate” (di minor peso), recavano l’effige del sovrano. Già allora, insomma, erano le logiche stataliste che avevano prodotto le disfunzioni del sistema monetario.

    Le monete, come ogni altro bene, devono essere quindi proposte e accettate entro un quadro pluralistico e concorrenziale. In questo senso, Rothbard è assai eloquente nel mostrare l’urgenza di chiudere le banche centrali e affidare alla più libera competizione il futuro dei nostri soldi. Poiché, come i recenti fatti di cronaca stanno a dimostrare, la moneta è un qualcosa di troppo serio per essere lasciato nelle mani di politici e burocrati di Stato.

    (L'Indipendente, 9 ottobre 2005)

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