PHILIPPOVIC, EUGEN VON – Compito E Metodo Dell’Economia Politica

 8,00

Con un saggio di Ludwig von Mises

Un importante economista viennese d’inizio secolo si schiera con il metodo dell’austriaco Menger contro il metodo della scuola storica tedesca

Edizioni: Rubbettino   Anno: 2004   pag. 57

COD: 018-392 Categoria:

Descrizione

 

Nato nel 1858 e scomparso nel 1917, Eugen von Philippovic è considerato tra i maggiori scienziati sociali austriaci. Questo libro, preceduto da un saggio di Ludwig von Mises che fornisce un inquadramento storico e teorico dell’opera di Philippovic, rappresenta un utile documento storico, una testimonianza delle delicate questioni metodologiche che stanno dietro allo sviluppo delle scienze sociali in generale e dell’economia politica in particolare. Pur avendo come punto di partenza la Scuola storica dell’economia, egli ha condiviso infatti l’idea di Carl Menger del primato teorico nella costruzione della scienza e con la sua opera ha favorito l’introduzione del marginalismo austriaco in Germania.

1 recensione per PHILIPPOVIC, EUGEN VON – Compito E Metodo Dell’Economia Politica

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di di Carlo Lottieri

    Quella di Eugen von Philippovic (1858-1917) è stata una figura intellettuale ‘di frontiera’, sospesa tra Vienna e Berlino: uno di quegli studiosi che traggono almeno una parte della loro originalità dal muoversi sul crinale di tradizioni differenti, e che comunque si sforzano di coniugare ciò che trovano di buono da una parte e dall’altra. Vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, egli fu esponente di punta della Scuola storica tedesca dell’economia e, al tempo stesso, si sforzò di immettere taluni temi ‘austriaci’ all’interno di quella tradizione.

    Autore che in Italia rimane assai poco noto, Philippovic è ora al centro di un’iniziativa culturale meritoria. A cura di Lorenzo Infantino, l’editore Rubbettino ha recentemente dato alle stampe Compito e metodo dell’economia politica, una ‘prolusione’ del 1886 che in tale prima edizione italiana viene fatta precedere da un saggio di Ludwig von Mises dedicato proprio all’economista che era stato allievo di Lorenz von Stein.

    La consuetudine con la cultura austriaca è conseguente al fatto che Philippovich ha studiato e insegnato per molto tempo a Vienna. È in quel contesto che egli trae da Carl Menger e Eugen Böhm-Bawerk l’idea che l’economia – contrariamente a quanto volevano i maggiori teorici tedeschi, riuniti attorno Gustav Schmoller e al suo circolo (i cosiddetti ‘socialisti della cattedra’, che giocarono il ruolo di autentica ‘guardia intellettuale’ dell’Impero guglielmino) – non può limitarsi a descrivere la semplice realtà storica.

    Se per gli storicisti della Germania del tempo le scienze sociali avevano il compito di osservare fenomeni unici e irripetibili, senza pretendere di ricavarne leggi, Philippovich è d’altro avviso. Per capire l’universo della produzione e degli scambi, egli ritiene che l’economista debba elaborare teorie astratte, individuando ‘pure forme’ in grado fare astrazione dai casi specifici. Come rileva Infantino nella Prefazione al volume, è stata proprio la sintonia con gli austriaci che “ha spinto Philippovich lontano dalle posizioni della Scuola storica tedesca che, nel rifiuto delle scienze sociali teoriche, trovava il varco attraverso cui affrancare il potere politico da ogni vincolo”.

    Così, mentre Schmoller riteneva che le regole della teoria “assomigliano piuttosto ai fuochi fatui che alle lanterne che indicano la strada”, egli difende la razionalità umana e la scienza stessa: “i principi della teoria non sono né fuochi fatui né lanterne. La teoria non detta nessuna massima all’azione; si limita a constatare regolarità e nessi”.

    Ma se da un lato è vicino a quello che il filosofo inglese Barry Smith ha chiamato “l’aristotelismo” di Menger e dei suoi allievi, sul piano delle sceltepolitiche Philippovich si discosta dalla tradizione liberale austriaca, dato che si fa fautore di una forte presenza dello Stato nella vita economica: concordando quindi con Schomoller, Lujo Brentano e il mainstream tedesco.

    Illuminante è dunque il commento di Ludwig von Mises. Secondo l’austriaco, Philippovich interpreta l’aspirazione (irragionevole) di quanti intendono coniugare le leggi del libero mercato con politiche volte a ‘creare artificiosamente solidarietà’. In un’età influenzata dall’avvento di logiche interventiste e – sul piano del dibattito metodologico – dominata dalla figura di John Stuart Mill, egli quindi si allontana almeno in parte dal nazionalismo statalista bismarckiano, ma non riesce ad approdare ad una vera comprensione della logica liberale.
    In questo senso, l’esperienza di tale studioso è davvero paradigmatica e certo ha ragione Mises quando afferma che “ciò in cui Philippovich sbagliò fu l’errore generale di tutta un’epoca storica, la iattura degli ultimi decenni del XIX secolo e dei primi del XX secolo”. Egli scriveva queste parole nel 1926, e di sicuro non poteva immaginare che proprio tale fascinazione per il potere – nei decenni successivi – sarebbe cresciuta ulteriormente, scatenando un hybris di dominio ben al di là delle aspettative di questo atipico ‘socialista della cattedra’, a cui va comunque riconosciuta un’onestà intellettuale non comune e la determinazione a ricercare soluzioni personali. (Nella foto: Eugen von Philippovic)

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