ROBERT J. SMITH – La Fattoria Dei Capitali

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 6,00

Quando è l’imprenditore a salvare l’ambiente

Dove e perché l’ecologia di mercato funziona

Edizioni: Leonardo Facco Editore   Anno: 2003   pag. 47

Descrizione

“Oggi i sostenitori delle virtù “ecologiche” della proprietà privata, a differenza di non molto tempo fa, non sono più costretti a rimanere nel campo della teoria astratta, per quanto logicamente impeccabile, ma possono produrre conferme empiriche sotto forma di dati, esempi, esperienze”. E’ così che, nella sua bella prefazione, Guglielmo Piombini racconta e spiega La fattoria dei capitali, libro di Robert J. Smith di fresca stampa per la Leonardo Facco Editore di Treviglio.

Il libro di Smith, un passato da advisor di governi, è utile proprio per questo: riesce a riempire di dati una cornice teorica ben precisa, quella della cosiddetta “ecologia di mercato”. Appena alcuni anni fa, “ecologia di mercato” sembrava una parolaccia: ora, nonostante certo i miti ambientalisti rimangano totem intoccabili, certe proposte politiche sono diventate moneta corrente. In Italia, apripista del dibattito erano state proprio la Leonardo Facco Editore e Piombini (assieme a Carlo Lottieri), pubblicando un testo destinato a rimanere più citato che letto (com’è destino dei piccoli classici): “Privatizziamo il chiaro di luna”. Ed è giusto quindi che i loro nomi siano associati a questo nuovo libro, che appare però in un contesto ben diverso: il campo delle idee è stato arato e (forse) è pronto alla semina. I percorsi degli “ecologisti di mercato” si sono incontrati con quelli di parte del mondo cattolico “non di sinistra”, nuovi studi sono stati elaborati, si passa – appunto – dalla teoria alla pratica. Non siamo, certo, al livello degli Stati Uniti, dove esistono think-tank (come il Competitive Enterprise Institute di Washington) dedicati esclusivamente all’indagine di queste tematiche. Ma ci avviciniamo.

E’ un ritorno al passato, secondo Piombini. “Lo stesso movimento ambientalista, all’inizio del Novecento, era animato da istanze liberali. I primi gruppi ambientalisti negli Stati Uniti… erano formati da individui che si proponevano di proteggere direttamente determinati ecosistemi acquisendo diritti su di essi, e non statalizzandoli o consegnandoli nelle mani di burocrati”. La nuova fortuna di questo modello si basa su un fatto: lo Stato – come dimostra con dovizia di particolari Robert J. Smith – ha fallito. Abbiamo regolamentazioni minuziose sull’ambiente, che fanno lievitare i costi delle imprese, e pure laghi e fiumi restano inquinati. Abbiamo un protocollo di Kyoto ancora in gestazione, che costringerà le economie dell’Occidente a una quaresima ventennale, eppure non promette di risolvere il problema che vorrebbe cancellare. A livello internazionale, si moltiplicano le iniziative – anche nel segno di una teoria spuria quale quella dei “beni pubblici mondiali”. Eppure più le stamperie gemono a furia di dar corso a nuovi proclami e regolamentazioni, più la voce dei catastrofisti si fa allarmata. Allarme genera allarme, secondo una logica difficilmente decrittabile.

Il libro di Robert J. Smith forse non è destinato a diventare un “must”, come “The Skeptical Environmentalist” di Lomborg (mal tradotto e per nulla promosso da Mondadori), ma è una lettura istruttiva. Serve a capire quel che Carlo Stagnaro sottolinea nella sua postfazione: “le risorse naturali – comprese le migliaia di specie, note o ancora incognite, di animali e piante – non sono soggette, nella loro interazione con l’uomo, a leggi diverse da quelle che regolano l’economia in generale”. E’ dunque seguendo, e non violando, quelle leggi che è possibile tutelarle davvero.

(Alberto Mingardi)

[L’autore, Robert J. Smith, è stato consulente del governo Usa ed ha scritto questo saggio per l’International Society for Individual Liberty. La prefazione è di Guglielmo Piombini, la postfazione è di Carlo Stagnaro]

1 recensione per ROBERT J. SMITH – La Fattoria Dei Capitali

  1. Alberto Mingardi

    Oggi i sostenitori delle virtù “ecologiche” della proprietà privata, a differenza di non molto tempo fa, non sono più costretti a rimanere nel campo della teoria astratta, per quanto logicamente impeccabile, ma possono produrre conferme empiriche sotto forma di dati, esempi, esperienze”. E’ così che, nella sua bella prefazione, Guglielmo Piombini racconta e spiega La fattoria dei capitali, libro di Robert J. Smith di fresca stampa per la Leonardo Facco Editore di Treviglio.

    Il libro di Smith, un passato da advisor di governi, è utile proprio per questo: riesce a riempire di dati una cornice teorica ben precisa, quella della cosiddetta “ecologia di mercato”. Appena alcuni anni fa, “ecologia di mercato” sembrava una parolaccia: ora, nonostante certo i miti ambientalisti rimangano totem intoccabili, certe proposte politiche sono diventate moneta corrente. In Italia, apripista del dibattito erano state proprio la Leonardo Facco Editore e Piombini (assieme a Carlo Lottieri), pubblicando un testo destinato a rimanere più citato che letto (com’è destino dei piccoli classici): “Privatizziamo il chiaro di luna”. Ed è giusto quindi che i loro nomi siano associati a questo nuovo libro, che appare però in un contesto ben diverso: il campo delle idee è stato arato e (forse) è pronto alla semina. I percorsi degli “ecologisti di mercato” si sono incontrati con quelli di parte del mondo cattolico “non di sinistra”, nuovi studi sono stati elaborati, si passa – appunto – dalla teoria alla pratica. Non siamo, certo, al livello degli Stati Uniti, dove esistono think-tank (come il Competitive Enterprise Institute di Washington) dedicati esclusivamente all’indagine di queste tematiche. Ma ci avviciniamo.

    E’ un ritorno al passato, secondo Piombini. “Lo stesso movimento ambientalista, all’inizio del Novecento, era animato da istanze liberali. I primi gruppi ambientalisti negli Stati Uniti… erano formati da individui che si proponevano di proteggere direttamente determinati ecosistemi acquisendo diritti su di essi, e non statalizzandoli o consegnandoli nelle mani di burocrati”. La nuova fortuna di questo modello si basa su un fatto: lo Stato – come dimostra con dovizia di particolari Robert J. Smith – ha fallito. Abbiamo regolamentazioni minuziose sull’ambiente, che fanno lievitare i costi delle imprese, e pure laghi e fiumi restano inquinati. Abbiamo un protocollo di Kyoto ancora in gestazione, che costringerà le economie dell’Occidente a una quaresima ventennale, eppure non promette di risolvere il problema che vorrebbe cancellare. A livello internazionale, si moltiplicano le iniziative – anche nel segno di una teoria spuria quale quella dei “beni pubblici mondiali”. Eppure più le stamperie gemono a furia di dar corso a nuovi proclami e regolamentazioni, più la voce dei catastrofisti si fa allarmata. Allarme genera allarme, secondo una logica difficilmente decrittabile.

    Il libro di Robert J. Smith forse non è destinato a diventare un “must”, come “The Skeptical Environmentalist” di Lomborg (mal tradotto e per nulla promosso da Mondadori), ma è una lettura istruttiva. Serve a capire quel che Carlo Stagnaro sottolinea nella sua postfazione: “le risorse naturali – comprese le migliaia di specie, note o ancora incognite, di animali e piante – non sono soggette, nella loro interazione con l’uomo, a leggi diverse da quelle che regolano l’economia in generale”. E’ dunque seguendo, e non violando, quelle leggi che è possibile tutelarle davvero.

    [L’autore, Robert J. Smith, è stato consulente del governo Usa ed ha scritto questo saggio per l’International Society for Individual Liberty. La prefazione è di Guglielmo Piombini, la postfazione è di Carlo Stagnaro]

     

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