THOMAS WOODS – La Chiesa E Il Mercato

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Una difesa cattolica della libera economia

Un’analisi dei pregi e dei difetti della dottrina sociale della Chiesa dal punto di vista della scuola austriaca dell’economia (prefazione di Carlo Lottieri)

Edizioni: Liberilibri   Anno: 2008   pag. 389

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1 recensione per THOMAS WOODS – La Chiesa E Il Mercato

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Guglielmo Piombini

    Thomas E. Woods jr. è uno degli storici ed economisti statunitensi di orientamento paleo-libertarian di maggior spicco intellettuale, oltre che un profondo conoscitore della dottrina sociale della Chiesa e delle opere degli economisti della Scuola Austriaca come Carl Menger, Ludwig von Mises o Friedrich A. von Hayek.

    Nel libro La Chiesa e il mercato, che contiene una brillante prefazione di Carlo Lottieri, si pone l’obiettivo di dimostrare la piena compatibilità tra il cattolicesimo e il laissez-faire dell’economia austriaca. Il compito a prima vista non sembra facile, vista la tradizionale diffidenza mostrata dalla Chiesa verso le dottrine economiche liberali, spesso accusate di materialismo, economicismo e meccanicismo. Woods riconosce la fondatezza di queste critiche. L’economia neoclassica dominante adotta infatti dei modelli basati su un astratto e irreale homo oeconomicus, egoista e massimizzatore dell’utilità, e sullo studio di aggregati “macroeconomici” che perdono di vista l’uomo in carne ed ossa.

    Non è questo però l’approccio della Scuola Austriaca di economia. In perfetto accordo con la Chiesa e in opposizione ai liberisti della scuola di Chicago come Milton Friedman, gli austriaci respingono l’idea che si possa applicare all’economia il metodo positivista proprio delle scienze naturali. L’uomo, infatti, non è predeterminato nel suo agire come gli oggetti materiali soggetti alle forze fisiche e gravitazionali, ma è dotato di libertà e ragione. Rifiutando tutto l’apparato matematico e statistico dell’economia mainstream, l’economia austriaca parte da assiomi indubitabili riguardo la natura dell’uomo e della realtà (ad esempio, che l’uomo agisce perseguendo i propri fini con mezzi scarsi) e da lì edifica per via logica tutto l’imponente edificio della teoria economia. Il misesiano homo agens è dunque lo stesso uomo dotato di libero arbitrio della dottrina cattolica, e il metodo deduttivo utilizzato dagli austriaci è lo stesso della filosofia scolastica.

    Proprio come nella dottrina cattolica, l’economia austriaca rivela un universo ordinato, le cui strutture costanti possono essere scoperte mediante l’uso della ragione. La prasseologia (come Mises chiama la scienza economica che studia l’azione umana) ha in comune con la tradizione filosofica realista del tomismo il fatto di accettare la realtà così com’è, resistendo alla tentazione di inventare o rifare a proprio piacimento la natura dell’uomo o dell’universo circostante. Entrambe riconoscono l’esistenza di vincoli naturali che limitano ciò che è possibile fare nella realtà, e insegnano che le cose funzionano in una certa maniera perché sono fatte secondo una certa natura. Economia austriaca e filosofia tomista salvaguardano in questo modo la libertà umana, perché non c’è nulla che il potere politico detesti di più di sentirsi dire che la propria attività è necessariamente limitata da leggi naturali e da leggi economiche, e che ogni tentativo di sfidarle porta al disastro e all’insuccesso. Non è un caso che l’opera complessiva dell’economista austriaco libertarian Murray N. Rothbard, il maggiore allievo di Mises, è stata definita come “una filosofia tomista senza la teologia”.

    Woods riconosce tuttavia che i dettami della dottrina sociale cattolica spesso non combaciano con le posizioni rigorosamente favorevoli al libero mercato della Scuola Austriaca. Nei principali documenti della Chiesa sulle questioni economiche e sociali compaiono infatti affermazioni sostanzialmente favorevoli alla proprietà privata e alla libertà economica, come nelle encicliche Rerum Novarum di Leone XIII del 1891 e Centesimus Annus di Giovanni Paolo II del 1991, alternate ad altre assai più critiche del capitalismo, come nelle encicliche Quadragesimo Anno di Pio XI del 1931 e Populorum Progressio di Paolo VI del 1967. Nel complesso, l’impressione è che la Chiesa abbia adottato una posizione mediana, critica verso il socialismo ma neanche disposta ad avallare integralmente il liberalismo economico.

    Queste divergenze però non sono insormontabili, perché il compito del Magistero ecclesiastico non è quello di entrare nei dettagli dei sistemi politici ed economici, ma di richiamare dei principi morali d’ordine generale. La Chiesa, per sua stessa ammissione, non entra in questioni tecniche, non istituisce né propone sistemi o modelli di organizzazione sociale, e non é legata ad alcun sistema politico, ma ha invece il diritto di essere per l’uomo maestra di verità della fede e della morale che scaturisce dalla stessa natura umana e dal Vangelo. Un cattolico è obbligato in coscienza a rispettare queste verità di fede e di morale, ma quando il discorso non verte sui fini morali ma sui mezzi più idonei per conseguire determinati risultati (ad esempio salari più alti, minor disoccupazione o minor povertà) entriamo nel campo tecnico della scienza economica, che è estraneo al Magistero, e sul quale i cattolici possono avere diverse opinioni. Il fatto che la Chiesa possegga la Verità in campo di fede e di morale, spiega Woods, non la rende infallibile anche nello stabilire il miglior metodo per ridurre l’inflazione, così come non è infallibile in materia di architettura, ingegneria o nelle altre arti profane.

    Ne consegue che, fermi restando i principi morali insegnati, gli sviluppi delle singole scienze possono illuminare la Chiesa nella loro applicazione alla realtà concreta. La fermezza nei principi non fa della dottrina sociale della Chiesa un sistema d’insegnamenti rigido, ma un Magistero in grado di aprirsi alle nuove scoperte ed esperienze senza snaturarsi, e una migliore comprensione dei pregi del libero mercato e dei difetti della pianificazione statale può legittimamente influire sullo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa. Un cattolico non potrebbe mai accettare un’economia basata sulla schiavitù, la violenza o la frode (trattandosi di violazioni della legge morale), ma può dissentire da alcune proposte di politica economica espresse in pronunciamenti papali, quando gli sviluppi della scienza o l’esperienza storica hanno dimostrato la loro inadeguatezza a perseguire l’obiettivo desiderato. Woods fa l’esempio di alcune politiche dirigiste e protezioniste suggerite da Paolo VI nella Populorum Progressio per favorire la sviluppo del Terzo Mondo, in auge negli anni Settanta ma rivelatesi nei decenni successivi inefficaci e controproducenti.

    La convinzione di Woods è che la dottrina sociale cattolica e l’economia austriaca siano destinate ad incontrarsi, per la profonda affinità filosofica che le lega. Gli studi di storia economica più recenti hanno oltretutto appurato che le maggiori acquisizioni della moderna economia austriaca, come la teoria soggettiva del valore, provengono da quei veri e propri “proto-austriaci” che furono i tardoscolastici cattolici della Scuola di Salamanca, nella Spagna del Cinquecento. Per la Chiesa questo incontro non avrebbe dunque niente di rivoluzionario, ma sarebbe una riscoperta delle proprie radici.

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