Alexis de Tocqueville – La democrazia in America

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La ricchezza della società  civile nell’America dell’Ottocento

Edizioni: Rizzoli   Anno: 2002   pag. 780

COD: 018-132 Categoria:

Descrizione

In questo importante classico Alexis de Tocqueville ci offre un resoconto del suo viaggio negli Stati Uniti avvenuto fra l’aprile del 1831 e il marzo del 1832, nel quale traccia un quadro molto preciso e articolato di quelli che sono i costumi e le leggi della democrazia americana allora in fasce. Lungi da essere uno strenuo difensore della democrazia, Tocqueville comprese bene quanto essa potesse degenerare in una tirannia della maggioranza che non lascia spazio alcuno a chi è fuori da essa. Ma la Democrazia in America è soprattutto un’opera nella quale Tocqueville profetizza in qualche modo gli scenari che faranno da sfondo alle democrazie moderne, caratterizzate da una crescente affermazione dello spirito egualitario, dalla mediocrità dei desideri e dei costumi, e da un aumento costante e spontaneo del dispotismo statale. In poche parole, la democrazia odierna vista con l’occhio lungo di un aristocratico della prima metà dell’Ottocento.

1 recensione per Alexis de Tocqueville – La democrazia in America

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Carlo Zucchi

    Uno dei classici del pensiero politico dell’Ottocento, se non del pensiero politico tout court. Pubblicato nel 1835 (prima parte) e nel 1840 (seconda parte) a seguito del viaggio di studio compiuto da Alexis de Tocqueville nel 1831-32, esamina il funzionamento delle istituzioni politiche, amministrative e giudiziarie americane. In queste pagine Tocqueville profetizza l’avvento della società di massa prevedendone gli aspetti rilevanti e persino i dettagli. Un saggio che, letto fra le righe, si rivela tutt’altro che tenero nei confronti del sistema democratico, di cui critica le tendenze allora assai poco conosciute, dato che la democrazia rappresentativa era ancora un fenomeno piuttosto recente.

    La tirannia della maggioranza è la degenerazione classica dei governi democratici. È nella loro essenza che il dominio della maggioranza tenda a diventare assoluto, poiché “fuori della maggioranza, nelle democrazie, non vi è nulla che resista”. Tocqueville non condivide l’assioma secondo cui “nell’impero della maggioranza” dimori la saggezza e, di conseguenza, rifiuta che “gli interessi della maggioranza debbano essere preferiti a quelli della minoranza”. Ciò che ripugnò Tocqueville dell’America (che pur amava) non fu l’estrema libertà, bensì la mancanza di indipendenza di spirito. “In America, la maggioranza traccia un cerchio formidabile attorno al pensiero. Nell’ambito di questi limiti, lo scrittore è libero; ma guai a lui se osa uscirne…”

    Naturalmente, Tocqueville aveva di fronte a sé l’America ancora agricola dei primi anni Trenta dell’Ottocento, in cui le condizioni di uguaglianza giuridica coincidevano con condizioni di eguaglianza economica. E proprio le condizioni di eguaglianza furono tra le novità che attirarono maggiormente l’attenzione di Tocqueville durante la sua permanenza in America. Più studiava la società americana, più vedeva nell’uguaglianza di condizioni la forza generatrice da cui pareva derivare ogni fatto particolare. Ma le condizioni di uguaglianza di quell’America coesistevano con condizioni di libertà che in Europa mancavano. Il concetto di uguaglianza degli europei, però, si identificava con condizioni di eguaglianza di fatto del tutto incompatibili con lo spirito di libertà che animava l’America. Tocqueville, tra l’altro, non mancò di profetizzare la fine dell’eguaglianza di condizioni non appena la rivoluzione industriale avrebbe preso piedi negli Stati Uniti. Anche in tal caso Tocqueville fu buon profeta, predicendo l’avvento di una nuova “Aristocrazia del denaro” rappresentata dai futuri magnati della grande industria.

    Altre considerazioni di Tocqueville riguardarono il comportamento assunto dalle persone in tempi di democrazia. L’uguaglianza sarebbe debordata in mediocrità; mediocrità di desideri, spesso di breve periodo, tali da incutere una certa inquietudine nello spirito dei cittadini democratici. Alla mediocrità nei gusti e dei desideri faceva riscontro una mediocrità dell’arte e degli scritti, poiché, in mancanza di mecenati dal gusto raffinato, agli artisti non rimaneva che lavorare per il mercato, i cui gusti borghesi erano improntati alla mediocrità più assoluta. Ma il più grande pericolo dell’era moderna Tocqueville lo vide nell’espansione della sfera statale nella vita dei cittadini. Cittadini che, in nome del proprio benessere, cedevano sempre più la loro libertà allo Stato, che li sollevava da ogni responsabilità fino a risparmiare loro persino “la fatica di vivere”. Anche la profezia dell’avvento del Welfare State che tanti danni morali produrrà nel Novecento non mancò di avverarsi.

    Da buon cattolico, Tocqueville riteneva la religione elemento indispensabile alla salute morale del cittadino in tempi di democrazia, ma voleva strenuamente che la religione non si immischiasse negli affari politici. Quando la religione cerca di fondare il suo regno soltanto sull’immortalità, che tormenta ugualmente il cuore di tutti gli uomini, può aspirare all’universalità, ma, quando si unisce a un governo aumenta il suo potere su alcuni e perde la speranza di regnare su tutti gli altri. Tocqueville vedeva poi nello spirito di associazione la caratteristica che rendeva gli americani impermeabili al potere. Facendo un paragone con la Francia, Tocqueville diceva che se un francese voleva qualcosa lo chiedeva al governo, mentre un americano fonda un’associazione. Se oggi la Francia può legittimamente considerarsi la patria dello statalismo e gli Stati Uniti la patria dell’individualismo non bisogna andare a cercare troppo lontano nel tempo il perché.

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