Hans-Hermann Hoppe, RIDARE VITA ALL’OCCIDENTE

Hans-Hermann Hoppe, RIDARE VITA ALL’OCCIDENTE

Enclave numero 15, dicembre 2001

L’ultimo libro di Patrick Buchanan, The Death of the West, si occupa di un problema sociale di prim’ordine, al punto da meritarsi la più larga diffusione. Riconoscere un problema non è un gran merito. Ciò che rende importante il contributo di Buchanan è il fatto che egli identifichi un problema di cui le elite dominanti ci dicono non esistere, o peggio, non essere un problema, ma una benedizione. Nel clima culturale odierno serve sia coraggio che indipendenza intellettuale per dire ciò che Buchanan dice. Il fatto che questo libro sia un bestseller indica che ci sono ancora molte persone che hanno mantenuto il loro buon senso. Buchanan sostiene che l’Occidente, la terra della cristianità, è in rovina. Il tasso di incremento demografico è ovunque sotto la crescita zero. E allo stesso tempo, masse di immigrati dal terzo mondo si sono infiltrate in Occidente, dove hanno rapidamente surclassato le popolazioni locali. In un paio di decenni, l’Occidente e i suoi tesori saranno depredati, senza alcuna resistenza, da persone che sono aliene od ostili alla civiltà occidentale. I nostri figli saranno una minoranza in terra straniera.

Questa evoluzione suicida è il culmine di una rivoluzione culturale che Buchanan descrive come la de-cristianizzazione dell’Occidente. Tale rivoluzione, promossa all’interno da intellettuali di sinistra e associata a ideali secolari (quali l’umanismo, il femminismo, l’egalitarismo, il relativismo morale, il multiculturalismo, le pari opportunità, la liberazione sessuale e l’edonismo) ha eroso la volontà umana di vivere una vita produttiva, moltiplicarsi e affermare e difendere la propria cultura.

Le prove che Buchanan porta a sostegno della sua tesi sono convincenti. Sfortunatamente la sua risposta non lo è. In poche parole, la sua proposta di controrivoluzione consiste nel fare di lui, o qualcuno simile a lui, il presidente. Egli propone di rinvigorire il partito Repubblicano adottando un programma che preveda restrizioni selettive all’immigrazione, l’abbandono e la fine del sostegno economico alle organizzazioni internazionali e il ritiro delle truppe dalla maggior parte delle terre straniere. Fin qui tutto bene.

Dall’altro lato, egli propone che il governo faccia una politica per la famiglia. Un sistema fiscale neutrale basato su tasse sul consumo e sulle importazioni. Questa politica dovrebbe, poi, eliminare le tasse di successioni per patrimoni inferiori 5 milioni di dollari, garantire una detrazione di 3 mila dollari per ogni figlio e stabilire incentivi fiscali per l’assunzione di lavoratori che porti a privilegiare chi ha figli e le famiglie monoreddito. Buchanan vorrebbe anche nominare in questo modo i giudici della Corte Suprema, e ovviamente, decentralizzare il sistema di pubblica istruzione.

Non c’è bisogno di esaminare nel dettaglio questo programma e le sue molte incongruenze. Le sue fondamenta si sgretolano, come ovvio, non appena si metta a fuoco ciò che esso non coinvolge (cioè ciò che Buchanan non ritiene sia responsabile dei problemi che egli vuole risolvere). Egli crede che la controrivoluzione possa essere superata entro l’intelaiatura istituzionale di una moderna organizzazione statale centralizzata e democratica completa del suo “cuore”: gli istituti “sociali” quali la sicurezza pubblica, l’assistenza medica, il sussidio di disoccupazione e l’educazione pubblica.

Ma questi passaggi sono in contraddizione con il comune buonsenso e con le più elementari teorie economico-politiche, che puntano il dito sul democratico welfare state come causa del problema. La democrazia, il governo della maggioranza, necessariamente porta con sé un sistema fiscale coercitivo e la redistribuzione del reddito, cioè prendere da qualcuno (i proprietari di qualcosa) e dare agli altri (i non proprietari). L’incentivo a essere un proprietario risulta ridotto mentre quello a essere un non proprietario cresce. E dato che i proprietari posseggono “beni”, mentre quello che i non-proprietari subiscono è “male”, il risultato è che questo tipo di redistribuzione deprime la produzione di “beni” e stimola la produzione di “mali”. Più nello specifico, sollevare gli individui dall’obbligo di provvedere al proprio reddito, alla propria salute, alla vecchiaia, all’educazione dei figli, come fa “l’assicurazione” obbligatoria dello Stato equivale a un sistematico attacco alla responsabilità personale e istituzioni quali la famiglia, i legami di parentela, la comunità locale e la chiesa. La profondità e l’orizzonte della precauzione privata si riducono, e il valore della famiglia, delle relazioni di parentela, dei figli, della comunità e della chiesa diminuiscono. Responsabilità, previdenza, civiltà, diligenza, e conservatorismo (i beni) sono puniti, il loro opposto (i mali) è premiato. Per risuscitare l’Occidente, queste istituti castranti devono essere abolite e ritornare nelle mani sicure della previdenza, dell’assicurazione e carità privata. Ma non solo la democrazia è la causa del problema. Più in profondità, il “marcio” che sta alle radici del problema è l’istituzione “Stato”, cioè il monopolio territoriale obbligatorio che si arroga la facoltà di avere l’ultima parola e l’arbitrio assoluto con il potere di legiferare e tassare.

Ci si può solo chiedere come sia possibile che le idee deplorate da Buchanan (laicismo, femminismo, relativismo, multiculturalismo eccetera) si siano trasformate in qualcosa di più che la singola visione di qualche individuo isolato. L’unica risposta, ovvia, è che a questo si arriva solo in virtù del potere di promulgare leggi, cioè, la capacità di imporre regole uniformi a tutti gli abitanti e alle loro proprietà entro un determinato territorio. Se queste idee non fossero incorporate nella legislazione, esse avrebbero fatto poco o nessun danno. Ed è solo lo stato che può legiferare.

Ed è ancora più fondamentale far notare che lo stato non è un mero strumento ma è un agente attivo in tutto questo. La pubblica istruzione, lo stato sociale e le idee laiciste, relativiste eccetera non hanno dovute essere inserite “a forza” nello stato. Lo stato ha i suoi interessi nel promuoverle. Se ad una agenzia è permesso legiferare ed imporre tasse, è ragionevole aspettarsi che i suoi agenti non si limiteranno nell’uso dei loro poteri, ma si vedrà una tendenza verso l’aumento di tasse e di portata dell’interferenza legislativa. E poiché in quest’opera essi incontreranno l’opposizione dei soggetti al loro potere, è nell’interesse degli agenti dello stato indebolire questo potere di resistenza.

Questo è nella natura dello stato, aspettarsi qualcosa di diverso è ingenuo. In primo luogo, ciò significa disarmare i cittadini. Ma significa anche erodere e, in ultima analisi, distruggere tutti i corpi intermedi come la famiglia, il clan, la tribù, la comunità, l’associazione e la chiesa con le loro norme e gerarchie interne. Seppure in limitate giurisdizioni, queste istituzioni ed autorità rivaleggiano con la pretesa dello stato di essere il “giudice di ultima istanza” in un determinato territorio. Lo stato, per assicurare la sua pretesa di essere l’ultimo a decidere, deve eliminare tutte le giurisdizioni e i giudici indipendenti, e questo richiede la lesione se non la distruzione delle autorità a capo delle famiglie, delle comunità e delle chiese. Questo è il motivo recondito della maggior parte delle politiche statali. La pubblica istruzione e lo stato sociale sono il mezzo per realizzare questo proposito distruttivo, e così pure la promozione del femminismo, della non-discriminazione, delle pari opportunità, del relativismo e del multiculturalismo. Tutto ciò mina la famiglia, la comunità e la chiesa. “Liberando” l’individuo dalla disciplina di queste istituzioni, lo rendono “uguale”, isolato, inerme e debole di fronte allo stato.

Anche l’estensione dell’agenda multiculturale all’area dell’immigrazione, lamentata da Buchanan, si spiega in questo modo. Dopo l’erosione del sentimento familiare, comunale, regionale e religioso, una pesante dose di immigrazione, meglio se proveniente da molto lontano, è quanto l’elite neocoservatrice e socialdemocratica dominante desidera per distruggere ciò che rimane dell’identità nazionale e poter così promuovere un Nuovo Ordine Mondiale ultra-statalista e multiculturale guidato dagli U.S.A.

Così, più radicalmente, per risuscitare l’Occidente bisogna diminuire l’apparato centralizzato degli stati nazionali e restituire alle istituzioni restrittive-protettive della famiglia, della comunità e della chiesa la loro posizione originale come parte naturale di un ordine costituito da una moltitudine di giurisdizioni e autorità in competizione fra loro. Poco o nulla di questo dovrebbe suonare nuovo alle orecchie dei conservatori, anche se Buchanan sembra esserne poco conscio. Egli si spinge a muovere alcune critiche alla democrazia, ma non si spinge a farne una questione di principio. Infatti, egli sostiene che “Se l’America ha cessato di essere un paese cristiano, è perché ha cessato di essere un paese democratico”. Questa è un’affermazione sconcertante alla luce del fatto che né la famiglia né le chiesa cristiana sono istituzioni democratiche (e nella misura in cui lo sono, si trovano nei pasticci).

In ogni caso, la critica di Bucanan non arriva con fino in fondo. Non c’è nessuna punta di antistatalismo nel suo libro. Lo status quo di una nazione democratica centralizzata viene accettato senza remore. La scelta che ci viene proposta è tra Repubblicani e Democratici, la soluzione ai problemi sta per arrivare da Washington DC e Richard Nixon e Ronald Reagan (e in misura minore Robert Bork, John Ashcroft e George W. Bush) sono “bravi ragazzi”. Buchanan non conclude come il senso comune e le riflessioni teoriche suggerirebbero: che entrambi i partiti, il Congresso, la Corte Suprema, il presidente (e tutti i suoi bravi ragazzi), il sistema democratico insomma, potrebbero avere qualcosa a che fare con la morte dell’Occidente. Né il fallimento di Buchanan dovrebbe sorprendere. Basta ricordare i suoi attacchi contro il libero mercato e all'”economista austriaco morto” Mises, o le sue suppliche protezionistiche di “comprare americano”. La stessa ignoranza mostrata nelle teorie economiche in questo caso gli preclude di penetrare l’essenza della materia in esame. Da quando ha perso alle presidenziali, Buchanan si atteggia da rivoluzionario. Nei fatti, essendo statalista nel profondo del cuore e avendo il chiodo fisso di Washinton DC, egli è parte integrante del sistema (sebbene possa esserne l’enfant terrible). Non penso imparerà ciò che non ha fin qui imparato. Invece, continuerà a sprecare molto del suo gran talento in campagne politiche controproducenti. Eppure, il suo Death of the West potrebbe divenire il catalizzatore per la creazione di un genuino movimento controrivoluzionario per “risuscitare” l’Occidente, se solo i più intelligenti e curiosi fra i suoi lettori capiranno il ruolo giocato nella demolizione dell’Occidente dallo stato e dalla democrazia.

(Traduzione di Filippo Franceschetto)

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