Guglielmo Piombini, L’EVOLUZIONE PALEO DEL LIBERTARISMO AMERICANO

Guglielmo Piombini, L’EVOLUZIONE PALEO DEL LIBERTARISMO AMERICANO

Il Domenicale, 8 marzo 2003

In Italia il termine non è usato e suona poco orecchiabile, ma nel variegato mondo della Destra americana oggi la sfida più vivace e interessante proviene dalla cultura che si definisce ricorrendo puntualmente al prefisso “paleo”, la quale taglia trasversalmente i due principali raggruppamenti politici (il Grand Old Party Repubblicano e il piccolo Partito Libertario) e ideologici (il tradizionalismo conservatore e l’antistatalismo libertario) che si contrappongono al Partito Democratico e alla sinistra liberal.

La data di nascita del paleoconservatorismo così come del paleolibertarismo coincide con la fine della guerra fredda, evento che per una parte del mondo conservatore impose un ripensamento sul ruolo imperiale che l’America aveva finito per assumere sulla scena mondiale. All’insegna del motto “America First!” alcuni intellettuali conservatori, come il politico e opinionista cattolico Patrick Buchanan, Tom Fleming, Samuel Francis, Paul Gottfried, Allan Carlson, Clyde Wilson, rispolverano la bandiera dell’isolazionismo, e affermano che è arrivato il momento di “riportare le truppe a casa”. Per distinguersi dall’egemonia neoconservatrice, rivendicano orgogliosamente l’etichetta di paleoconservatori, cioè conservatori all’antica.

Il vecchio conservatorismo della Old Right, fortemente avverso al New Deal e all’interventismo militare di Franklin Delano Roosevelt, si era infatti eclissato nel secondo dopoguerra, quando la minaccia sovietica aveva condotto quasi tutta la Destra americana sulle posizioni della New Right di William F. Buckley, James Burnham, Henry Jaffa, o Frank S. Mayer, favorevoli al massimo impegno nella lotta anticomunista su scala globale. Su questa linea, diffusa principalmente dalla rivista National Review, approdarono verso la metà degli anni Sessanta i neoconservatori, quasi tutti provenienti dalla sinistra liberal o addirittura dalla militanza trotzkysta. Grazie a questo loro passato politico, i neoconservatori resero accettabile la critica delle idee progressiste anche all’interno delle élite intellettuali, artistiche, e giornalistiche, dove i vecchi conservatori erano sempre stati guardati con snobistico sospetto. Scaltri nella gestione del potere politico e culturale, sotto la guida di personaggi come Irving Kristol e suo figlio William, Daniel Moynihan, Nathan Glazer, Daniel Bell, Jeane Kirkpatrick, o Norman Podhoretz, i neoconservatori divennero col tempo la forza egemone nel panorama conservatore americano, spostandolo su posizioni sempre più favorevoli al big government in politica interna e militariste in politica estera.

Durante gli anni della guerra fredda gli unici all’interno della Destra a sfidare questo predominio furono i libertari, i quali accusarono esplicitamente i neoconservatori di statalismo per aver accettato come un fatto compiuto sia le istituzioni del Welfare State edificate dai Democratici da Roosevelt a Johnson, sia l’idea wilsoniana di esportare con le armi la democrazia in tutto il mondo. Grazie soprattutto all’elaborazione teorica di Murray N. Rothbard, la dottrina libertaria si sviluppò in maniera sistematica, fondandosi sulla rigorosa difesa dei diritti naturali alla vita, alla libertà, e alla proprietà degli individui; sulla celebrazione del libero mercato; e sulla radicale condanna dello Stato moderno. Realizzando una sofisticata sintesi di realismo filosofico tomista, giusnaturalismo liberale alla Locke, e soggettivismo della scuola austriaca dell’economia, Rothbard rinnovò in una veste più coerente e radicale la lezione dei liberali classici dell’Ottocento.

Un punto sul quale il libertarismo insisteva con vigore era il ruolo cruciale della guerra nel potenziamento dell’espansione statale a danno della libertà individuale. Per tale motivo, pur essendo stato da giovane vicino alle posizioni politiche della Old Right, Rothbard non esitò negli anni Settanta a proporre un’alleanza tattica con la New Left, la sinistra sorta dalla contestazione, in nome della comune opposizione alla guerra del Vietnam. All’inizio degli anni Ottanta il Libertarian Party arrivò a proporsi saldamente come terzo partito organizzato americano, ma molto più dei risultati elettorali furono le idee libertarie contrarie all’eccessiva tassazione e all’invadenza governativa che iniziarono ad acquisire peso nel dibattito politico, come testimonierà il vittorioso programma elettorale di Ronald Reagan, espressione di una maggioranza d’opinione che per la prima volta dal dopoguerra ricuciva i legami fra le diverse anime della Destra americana (anche se le realizzazioni pratiche saranno dal punto di vista dei libertari più discutibili).

La caduta del Muro di Berlino tornò però a scompaginare tutte le carte. La rottura tra paleoconservatori e neoconservatori sul ruolo militare dell’America nel mondo venne vista da una parte dei libertari, capeggiati dallo stesso Murray N. Rothbard e da Lew Rockwell (il suo più stretto collaboratore negli ultimi anni di vita), come l’occasione propizia per far rinascere, attraverso un’alleanza con i primi, qualcosa di simile alla rimpianta Old Right: un movimento populista di destra che fosse liberale in economia, isolazionista in politica estera, e attaccato ai valori tradizionali.

Una delle ragioni di questa scelta politica fu quella di sfidare l’influenza sul movimento libertario di riviste come la californiana Reason o di think tank come il Cato Institute, troppo facili ai compromessi col potere di Washington, oppure favorevoli a mezzi statalisti e globalisti (come il Nafta o il WTO) per raggiungere obiettivi libertari. Una seconda ragione profonda della decisione di Rothbard e Rockwell di rompere definitivamente con il Partito Libertario nacque dalla forte insofferenza per l’atteggiamento troppo “alternativo” e “controculturale” esibito da molti attivisti libertari.

In un articolo intitolato The Case for Paleolibertarianism, pubblicato nel 1990, Lew Rockwell adottò per la prima volta la definizione di “paleolibertario” (in analogia con quanto fatto dai paleoconservatori) per differenziare le proprie posizioni da quelle, giudicate decadenti, edoniste, relativiste, e libertine dei left-libertarians, in uno sforzo di combinare un radicale liberalismo nel campo politico ed economico con un altrettanto deciso tradizionalismo nel campo culturale. L’evoluzione paleo non aveva quindi il significato di un nuovo credo, ma testimoniava il recupero di radici perdute, e aveva lo scopo di riaffermare la continuità politica e culturale con la Old Right, che nei primi decenni del Novecento rappresentava la tradizione americana più autentica, custode dei principi costituzionali del governo limitato dai pericoli provenienti dalle politiche progressiste, annoverando personalità di rilievo come Robert Taft, Henry Mencken, Albert Jay Nock, Garet Garrett, Frank Chodorov.

Il paleolibertarismo, infatti, sostiene che vi è uno stretto collegamento tra la libertà e l’eredità culturale giudaico-cristiana, dato che la distruzione degli ordinamenti tradizionali apre la strada all’edificazione dello Stato onnipotente. Se si attacca la famiglia limitandone l’autonomia, questa non potrà più servire come bastione contro il potere statale. Lo stesso effetto viene prodotto dalla retorica progressista, quando ridicolizza la religione, i costumi, le istituzioni, le usanze, e i pregiudizi delle classi medie, con l’obiettivo di estendere il raggio d’azione dei funzionari e degli “esperti” governativi nella società.

In realtà Rothbard e Rockwell sono sempre stati fautori dei valori e degli stili di vita borghesi, e hanno sempre criticato l’anticristianesimo militante e le provocazioni controculturali diffuse negli ambienti libertari. L’unica vera novità nel pensiero di Rothbard durante l’ultima fase della sua vita è stata quella di incorporare esplicitamente il sostegno per la società tradizionale all’interno di una più ampia teoria della libertà. Egli si rese conto che il libertarismo, affermando la supremazia della legge naturale eterna sulla legge positiva creata dall’uomo, è quanto di più antico e tradizionale vi possa essere, e per tale motivo è anche internamente coerente con i precetti della religione. È significativo infatti che Rothbard, ebreo e agnostico, pur senza convertirsi sia arrivato al termine della sua vita intellettuale a considerarsi “un ardente sostenitore della cristianità”, e ad aderire ad una visione culturale in senso lato cattolica.

Hans-Hermann Hoppe, l’allievo di Rothbard che gli succederà nella cattedra universitaria, svilupperà queste idee in un libro (Democracy: The God That Failed, di prossima pubblicazione in Italia per Liberilibri), che rappresenta a tutt’oggi la più compiuta esposizione delle posizioni paleolibertarie. Con un taglio revisionista, Hoppe arriva a rivalutare alcuni aspetti di moderazione delle monarchie tradizionali rispetto alle democrazie moderne, e indica nello statalismo welfarista il vero distruttore dei legami comunitari e dei valori tradizionali.

Sul piano politico l’alleanza con i paleoconservatori si realizzò attraverso l’attivo sostegno di Murray N. Rothbard, Lew Rockwell, e Justin Raimondo (più tardi biografo di Rothbard) alla campagna presidenziale di Pat Buchanan con i repubblicani del 1992, nello sconcerto di molti left-libertarians che consideravano questo candidato come un esponente della Destra religiosa. In realtà i punti d’accordo tra paleolibertari e paleoconservatori erano numerosi: in politica estera contestavano il Nuovo Ordine Mondiale e chiedevano il disimpegno dai conflitti lontani; in politica interna erano anticentralisti e favorevoli alla valorizzazione delle comunità locali; in economia criticavano gli eccessi di tassazione e assistenzialismo; sul piano sociale chiedevano limitazioni all’immigrazione indesiderata e la fine dei privilegi legali alle “minoranze”; sul piano culturale difendevano l’eredità cristiana e la tradizione morale della civiltà occidentale, minacciata dall’ideologia politicamente corretta, multiculturalista, e progressista dei left-liberal, diventata dominante tra le élite intellettuali, nelle scuole, nelle università, a Hollywood, e nei media.

L’unica differenza tra paleolibertari e paleoconservatori riguardava la questione del libero scambio, a causa delle posizioni protezioniste di Pat Buchanan. Rothbard tuttavia preferì passarci sopra, dichiarando che “ad ogni uomo bisogna concedere un errore”. In pratica il dissidio aveva scarse conseguenze, dato che entrambi si opponevano alla creazione di mega-burocrazie sovranazionali dotate di poteri di regolamentazione come il Nafta e il Gatt, che poco avevano a che fare con il libero commercio. Rothbard riteneva inoltre che in un sistema ampiamente decentralizzato come quello auspicato dai paleoconservatori l’imposizione di tariffe protezionistiche sarebbe stata quanto mai difficoltosa, mancando una forte autorità centrale capace di sottoporre a controllo gli spostamenti di merci e capitali.

Il punto più alto di questa intesa tra libertari e conservatori all’insegna del ritorno alla Old Right si ebbe nel 1994, in occasione di una grande conferenza congiunta sui benefici dell’isolazionismo, i cui lavori furono pubblicati in un libro (The Costs of War) ricco di contributi di alto livello. L’improvvisa morte di Rothbard l’anno seguente incrinò tuttavia questo stretto rapporto di collaborazione. Già nelle successive elezioni del 1996 Rockwell e Hoppe denunciarono la china statalista che aveva preso la campagna elettorale di Buchanan, troppo incentrata sul sostegno ai privilegi sindacali e sulla protezione dell’industria americana.

Pur essendosi spezzata l’alleanza formale, oggi paleolibertari e paleoconservatori continuano a parlarsi e confrontarsi con reciproco interesse. Lo spirito del paleoism continua infatti a fiorire rigoglioso nel Mises Institute di Auburn in Alabama, il più importante centro mondiale di diffusione delle idee della scuola austriaca; negli attivissimi siti di Lew Rockwell (www.lewrockwell.com), Justin Raimondo (www.antiwar.com), Joe Sobran (www.sobran.com); nel Rockford Institute diretto da Sam Francis; nella rivista Chronicles di Tom Fleming; nella neonata rivista The American Conservative di Pat Buchanan e Taki Theodoracopulos; nell’attività pubblicistica di due dei maggiori ideatori delle riforme economiche reaganiane, Jude Wanniski e Paul Craig Roberts; nelle iniziative politiche di Ron Paul, membro repubblicano del congresso, che per la sua adesione senza compromessi alle libertà economiche, al gold-standard, all’isolazionismo, ai valori famigliari e alle posizioni pro-life contrarie all’aborto, può essere considerato a buon diritto un paleolibertario.

Con un Partito Democratico paralizzato dalla paura di apparire antipatriottico, e pur sempre legato all’idea della democrazia globale, da realizzarsi mediante la “guerra umanitaria” in difesa dei “diritti umani” in tutto il mondo, oggi tocca ai paleo il ruolo di critica della politica “imperiale” del governo di Washington, in nome dello spirito originario della Old Republic americana.

Bibliografia sul movimento paleo

Patrick J. Buchanan, A Republic, Not an Empire, Regnery, 1999;

Patrick J. Buchanan, The Death of the West, St. Martin Press, 2002;

John V. Denson (ed.), The Costs of War, Transaction, 1994;

Hans-Hermann Hoppe, Democracy: The God That Failed, Transaction, 2001;

Justin Raimondo, An Enemy of The State: The Life of Murray N. Rothbard, Prometheus, 2000;

Llewellyn H. Rockwell (ed.), The Irrepressible Rothbard, The Center for Libertarian Studies, 2000;

Llewellyn H. Rockwell, “The Case for Paleolibertarianism”, Liberty, Liberty Publishing, n. 3, 1990 (trad. it. “Il manifesto del paleolibertarismo”, Enclave. Rivista libertaria, Leonardo Facco Editore, n. 17, 2002).

Joseph Scotchie, The Paleoconservatives: New Voices of the Old Right, Transaction, 1999;

Joseph Scotchie, Revolt from the Heartland: The Struggle for an Authentic Conservatism, Transaction, 2002.

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