ADAMS, CHARLES – For Good And Evil

 20,00

L’influsso della tassazione sulla storia dell’umanità

Perchè nella storia la tassazione elevata ha sempre causato il crollo di civiltà  e imperi

Edizioni: Liberilibri   Anno: 2007   pag. 601

COD: 018-758 Categoria:

Descrizione

For Good and Evil è forse la più affascinante e ampia rassegna storica che analizza quale sia stata l’influenza della tassazione sull’economia, sulla politica e sulla civiltà. L’Autore ripercorre le vicende più significative della politica tributaria dei governi, a partire dalle grandi civiltà del mondo antico, come Egit­to, Grecia classica e Roma, fino ai nostri giorni. Gli insegnamenti che si traggono dalle esperienze del passato attraverso questo “giro del mondo della tassazione” sono molti e illu­mi­nanti. E ve n’è uno particolarmente ap­pro­priato e utile alla situazione del nostro Paese.

L’eccesso di tassazione è sempre la conseguenza dell’eccesso di spesa, cioè dello sperpero di “denaro pubblico” (meglio, di denaro dei privati-sudditi) da parte dei governanti, a vantaggio loro o delle loro clientele: questa rapina legalizzata conduce inevitabilmente all’evasione fiscale e spesso alla rivolta.

1 recensione per ADAMS, CHARLES – For Good And Evil

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Alberto Mingardi

    Se le tasse sono “bellissime”, stupisce che non si trovino, in libreria, tante meditazioni sulla fiscalità quante ne sono disponibili sulla bellezza.

    E’ un pudore inconsueto. Del buono e del piacevole, si dovrebbe leggere volentieri. Ora arriva, perlomeno, una “storia del fisco”, affascinante e da brivido com’è non una storia del bello, ma una ricostruzione minuziosa delle mille tracce di un crimine.

    “La similitudine tra esattori delle imposte e rapinatori si trova nel significato di base della parola tassa, vale a dire esazione. Letteralmente, esazione significa ‘tirar fuori con la forza. Facendo un confronto, la parola sorella estorsione significa “torcere fuori”. Le tasse non sono debiti, anche se impropriamente ci riferiamo a esse come se lo fossero. Il principio di equa controprestazione – che è alla base di un credito che si può far valere legalmente – non ha spazio in una disputa fiscale. Si è debitori di una tassa perché il governo ordina che essa venga pagata’”. Così scrive Charles Adams, avvocato tributarista e storico per passione, nel suo “For Good and Evil. L’influsso della tassazione sulla storia dell’umanità”, appena uscito per Liberilibri. L’editore, Aldo Canovari, spiega di averlo voluto pubblicare per sollevare gli italiani dalla loro pena presente: mal comune mezzo gaudio, le imposte sono una costante nella storia dell’umanità.

    Ed è appunto per avere una visione della storia più complessa e solida, che bisogna studiare vita e miracoli della tassazione. Non c’è, ricorda Adams, una disciplina che indaghi specificamente tale tema. Non si insegna “storia fiscale”: “le tasse, anche se sono il carburante che fa muovere la civiltà, non sono mai state isolate come una forza che indirizza e dà forma alla civiltà, per lo meno non in questo paese”. Non che Adams miri a spiegare il travaglio delle istituzioni umane solo attraverso i tributi. Ma sottolinea come “tanto la prosperità quanto il declino delle nazioni hanno sempre avuto alla base un fattore-imposte. I diritti umani ne hanno sofferto ancora più delle nazioni: ciò che l’esattore delle tasse vuole, l’esattore delle tasse ottiene, inclusa la nostra libertà, se è quello che desidera”.

    Alcuni nostri pregiudizi, dalla lettura del libro di Adams, escono rinforzati. Scrive; “l’Egitto potrebbe essere ricordato come una terra in cui gli esattori erano numerosi come le ‘sabbie del mare’, per così dire”. Gli egizi “tassavano assolutamente tutto: le vendite, gli schiavi, gli stranieri, le importazioni, le esportazioni, le attività commerciali”. Non ne siamo sorpresi: mentre forse non ci aspetteremmo la prassi di condonare le tasse in periodi di grama, e l’ammonimento, rivolto agli esattori, di usare la mano leggera, specie coi più poveri.

    Presso Atene, ricorda Adams, “il simbolo della libertà erano le imposte indirette. L’individuo non veniva tassato direttamente; ciò che veniva tassato erano alcune attività commerciali come la vendita, l’importazione, o l’utilizzo di un bene pubblico come una strada, un ponte, una rotta navale o un porto”. Non lo ritroveremmo nei nostri ricordi di scuola, ma è interessante che “ciò che più offendeva i democratici greci era il sistema fiscale dei tiranni; a loro parere, imposte dirette e tirannia erano una cosa sola”. L’associazione fra tirannia e tassazione dei redditi individuali non è casuale. Il pagamento delle imposte indirette veniva considerato alla stregua del saldo di “tariffe”, necessarie per venire alle prese con la costruzione delle infrastrutture necessarie per la vita sociale e commerciali. Un conto è contribuire alla costruzione di un porto. Altro accettare di essere salassati su base regolare, vedere i frutti del proprio lavoro sequestrati da altri – un destino che l’antichità riservava agli schiavi, e che oggi è, per quanto fortunatamente non in ragione della totalitò dei nostri redditi, comune a noi tutti.

    La lettura del corposo testo di Adams è interessante anche perché ci consente di accorgerci non solo di quanto è antica la storia del fisco, ma di quanto fisco c’è nella storia. Sapevate che la stele di Rosetta (terzo secolo a. C. ) è un documento di natura fiscale? Con esso, Tolomeo V chiuse dieci anni di guerra civile con un’amnistia generale per i ribelli. “I contribuenti debitori e i ribelli vennero fatti uscire dalle prigioni. I debiti fiscali vennero condonati. Non ci sarebbe più stata coscrizione forzata per la marina. I fuggiaschi vennero invitati a tornare e riprendere possesso delle proprietà confiscate. Infine, come ai tempi dei faraoni, per i templi e per i loro raccolti e vigneti ci sarebbe stata l’esenzione fiscale”.

    Una grande lezione di “For good and evil” è che momenti di ragionevolezza e di insensatezza fiscale si inseguono da sempre. L’autore chiama “imposizione ottusa” quella più predatoria ed arbitraria, di cui fa sempre le spese la capacità di generare ricchezza e quindi più tributi, cagionando così danni allo stesso sovrano. La tendenza all’ottusità fiscale dovrebbe dirci qualcosa. Continua ad avere ragione Lord Acton: il potere tende a corrompe. La natura non episodica dell’arbitrio fiscale testimonia la natura del potere. Di monarchi benevoli come Elisabetta prima (“preferisco che il denaro sia nelle tasche del mio popolo piuttosto che nel mio Tesoro”) non ve ne sono stati molti. Siccome (comprensibilmente) certe cose non colpiscono l’attenzione dei registi, nel recente film con Cate Blanchett non ve n’è traccia, ma quando la Regina ebbe bisogno di quattrini per combattere l’Invincibile Armada “il Parlamento le concesse quattro quindicesime e decime più due finanziamenti, e la maggior parte del denaro venne raccolto in due mesi, invece che nei soliti due anni”. Per Adams “era una cosa inaudita, nella storia inglese”, che si spiega in virtù del fatto che Elisabetta si era sempre ben guardata dall’affondare le mani nel borsello degli inglesi. La Regina sapeva che “non è dato tassare ed essere amato”. Lei ambiva ad essere amata (questo, nel film c’è).

    Si potrebbe e si dovrebbe riflettere su come e perché questa massima sia sorprendentemente meno vera nelle moderne democrazie, di quanto non fosse in passato. Su come la compartecipazione del popolo al governo del Paese, costi al popolo anche la camicia, in base all’idea che “lo Stato siamo” e al corollario per cui è paradossalmente “nostro” il denaro che, essendo noi lo Stato, ci auto-sottraiamo.

    Anche su come “domare il mostro” ai tempi nostri, il saggio di Adams fornisce lezioni utili. Speriamo non ci manchi la forza di apprenderle.

    (Istituto Bruno Leoni, 10 novembre 2007)

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