BERTRAND DE JOUVENEL – L’Etica Della Distribuzione

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La redistribuzione non è trasferimento di reddito dai ricchi ai poveri, ma trasferimento di potere dall’individuo allo Stato

Edizioni: Liberilibri   Anno: 1992   pag. 95

COD: 018-189 Categoria:

1 recensione per BERTRAND DE JOUVENEL – L’Etica Della Distribuzione

  1. Guglielmo Piombini

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    Recensione di Carlo Zucchi

    Ormai un classico del liberalismo novecentesco, questo libello, pur essendo stato pubblicato nel 1952, non prende di mira i totalitarismi, come era di norma nella letteratura liberale dell’epoca, ma analizza tutte le storture dello Stato assistenziale, sviluppatosi con il New Deal rooseveltiano negli anni ’30, per poi manifestarsi in tutto il suo “splendore” dagli anni ’60 in poi. Per certi versi, quindi, Bertrand de Jouvenel può essere considerato un anticipatore delle critiche al Welfare State. Se oggi persino Papa Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus, ha posto l’accento sulle conseguenze morali dello stato assistenziale, de Jouvenel ha trattato il fenomeno della redistribuzione della ricchezza in modo analitico, senza però perdere di vista l’importanza di analizzare le politiche redistributive in base a premesse etiche e concettuali, piuttosto che a conseguenze disincentivanti o meno.

    Come sottolinea Antonio Martino nell’introduzione, l’obiettivo dello Stato assistenziale non è il benessere dei “poveri”, ma quello dei politici e dei burocrati. Ed è questa considerazione a conferire alle tesi di de Jouvenel la sua straordinaria attualità: “in realtà la redistribuzione, più che trasferimento di reddito dai più ricchi ai più poveri, come credevamo, è una redistribuzione di potere dall’individuo allo Stato”. Secondo de Jouvenel, le motivazioni che stanno alla base del trasferimento di ricchezza operato dallo Stato sono la lotta alla povertà e il convincimento, spesso implicito, che l’ineguaglianza di possibilità economiche fra i membri della società sia di per sé un male da combattere. La scientificità di questi approcci è alquanto dubbia. In verità, sembra che fattori quali l’invidia verso chi ha di più costituiscano una motivazione più realistica.

    Ma se la ristrettezza delle classi meno abbienti costituisce un problema così pressante, perché mai deve toccare alla classe politico-burocratica risolverlo, data la sua proverbiale incapacità? E poi, se tutti noi avvertissimo l’urgente bisogno di aiutare i poveri, potremmo farlo direttamente senza alcun aiuto “pubblico” tramite l’attività caritativa privata senza scomodare politici e burocrati. Ebbene, de Jouvenel ritiene che la lotta alla miseria sia diventata il pretesto per trasferire più risorse e potere dalla società al potere politico. La redistribuzione finisce per perdere il suo aspetto più nobile se, invece di svolgersi in base a scelte individuali e volontarie, diviene un monopolio pubblico, appannaggio quasi esclusivo della classe politico-burocratica. Il fine del Welfare State, quindi, non è quello di aiutare i meno abbienti e di combattere la povertà, ma di fare l’interesse di quanti – politici, burocrati, sindacalisti e profittatori assortiti – vivono alle spalle dell’industria dell’assistenza. Di conseguenza, pur essendo alquanto impopolari presso l’opinione pubblica, questi programmi assistenziali sono ben lungi dall’essere abbandonati, poiché l’interesse organizzato, consapevole e concentrato dei beneficiari effettivi finirà col prevalere sull’interesse diffuso, scarsamente percepito e disorganizzato della collettività.

    L’assistenzialismo di Stato di stampo bismarckiano si fonda su una concezione paternalistica della povertà, secondo la quale lo Stato individua alcuni bisogni che esso ritiene “essenziali”, assumendosi l’onere di fornire, spesso in condizione di monopolio, i relativi servizi all’intera collettività. Questa forma di redistribuzione in natura viola la libertà di scelta dei beneficiari, e la sua socialità appare alquanto dubbia poichè il suo costo grava su tutti (anche sui poveri), mentre i benefici, vanno spesso a tutti, compreso quelli che poveri non sono. Ma ciò che è più grave, è che lo Stato, per effettuare questa redistribuzione, affronta dei costi, dato che il trasferimento di risorse da un settore all’altro della società comporta sprechi inevitabili. Ma quest’inefficienza, è tale solo se lo scopo dell’assistenzialismo di stato fosse davvero quello di aiutare i meno abbienti, ma se si accetta la constatazione che lo scopo del Welfare State è l’interesse dei burocrati, allora assistiamo a un vero e proprio “recupero di efficienza”. Quanti hanno a cuore il futuro della libertà non potranno non apprezzare la straordinaria importanza di questo piccolo grande classico del pensiero liberale del nostro secolo

     

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