Descrizione
La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni (1819) è il testo più conosciuto di Benjamin Constant. Si tratta di una conferenza tenuta all’Athénée Royal di Parigi e centrata sulla distinzione tra il modo di intendere la libertà degli antichi e quello dei moderni. Per gli antichi la libertà era fatta di partecipazione politica ed esercizio diretto della sovranità da parte dei cittadini; per i moderni la libertà è soprattutto personale e civile: è libertà negli affari, nel lavoro, nella religione e in tutte le proprie faccende private. Il discorso di Constant è stato riconosciuto dal variegato universo del pensiero liberale come uno dei fondamenti del liberalismo, e con esso si sono confrontati i suoi più diversi esponenti, da Norberto Bobbio ad Isaiah Berlin, che ne ha tratto lo spunto per la sua celebre distinzione fra libertà negativa e libertà positiva. Inoltre è in questo testo che si trova un interessante giudizio critico sulla rivoluzione francese, fallita secondo Constant per aver confuso i due tipi di libertà e aver cercato, sotto l’influenza delle idee di Rousseau, di riproporre in tempi moderni la libertà degli antichi.
Libreria del Ponte –
Recensione di Marco Massignan
Constant: un liberalismo etico antidoto ad ogni dispotismo
Piccolo grande classico del pensiero liberale. L’anti Contratto sociale per antonomasia e, Benjamin Constant, profeta inascoltato ma (guardacaso) più che mai attuale, può essere considerato un po’ come l’anti Jean-Jacques Rousseau: insomma, un liberale dal pedigree autentico.
Pur avendo avuto una formazione scostante ed errabonda – soggiornò presso l’università di Erlangen prima e quella di Edimburgo poi, frequentò i vari salotti mondani ed intellettuali (ebbe un florido sodalizio con Mme de Stael – Constant è stato, a buon diritto, “il più importante pensatore politico della sua epoca” (parola di Giovanni Sartori).
La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni – edita dalla preziosa Liberilibri di Macerata – è il testo di un discorso pronunziato dal Nostro all’ateneo di Parigi nel 1819. Ma qual è, questa dissomiglianza, che caratterizzava la libertà antica rispetto a quella moderna? La prima, aveva come “exemplum” la democrazia diretta ateniese: la guerra, quindi, come attività primaria, lo schiavismo come corollario. La libertà dei moderni trae invece la sua forza in un’altra attività: il commercio. Ed inoltre, essa non è “partecipazione” nel dominio dell’uomo sull’uomo, bensì “godimento dell’indipendenza individuale”. È il mercato (la globalizzazione, diremmo oggi), pertanto, che rende gli uomini meno schiavi della politica.
Ecco da dove nasce la “polemica” anti-rousseauiana: nessuna autorità su questa terra è illimitata – ammonisce Constant – e la volontà generale, la società, “non può eccedere nelle sue competenze senza essere usurpatrice”. Il Contratto sociale diviene così “il più terribile strumento d’aiuto di tutti i generi di dispotismo”.
Ha scritto bene Sergio Romano su liberal bimestrale: “Se tornasse fra noi, il liberale ginevrino osserverebbe che un intero secolo è stato forgiato da Rousseau e Mably molto più che dai suoi amici del circolo di Coppé. Ma contemplerebbe i danni provocati dallo “Stato etico” e non cambierebbe una parola, probabilmente, alla sua conferenza dell’Ateneo Reale”.
Egli amava la libertà quanto altri uomini amano il potere, e la sua gelosa attenzione alla “sfera privata” d’ogni individuo è foriera di una progressiva sfiducia e profondo sospetto verso non solo lo Stato laico, ma verso la politica tout-court.
Insomma, una lezione ancora vivissima (su tutto: il contrastante rapporto tra democrazia e liberalismo, o, meglio sarebbe dire, “libertà individuale” – ed i costanti pericoli causati dal principio di maggioranza) che, quanti si vantano della nomea di liberale, farebbero bene a non disimparare.