DI MUCCIO, PIETRO – Orazione Per La Repubblica

 10,33

Una critica della Costituzione italiana

L’edizione aggiornata di un brillante pamphlet liberale

Edizioni: Liberilibri   Anno: 2001   pag. 135

COD: 018-191 Categoria:

Descrizione

«Gli uomini politici sono abituati a parlare agli elettori, non a sentir parlare gli elettori. Fanno la predica agli altri, non amano farsi fare la predica dagli altri. Non dialogano che con se stessi, e finiscono con l’isolarsi come una casta indiana… potrà dunque sembrare strano a costoro essere interpellati direttamente da un cittadino… c’è la rivendicazione di un diritto dimenticato, quello di far giungere ai governanti la voce dei governati. Orazione per la Repubblica è, fra l’altro, un modello di arte della critica… le frecciate di Di Muccio sono un servizio reso a coloro che ne sono il bersaglio, non importa se essi ne trarranno profitto o no. Ma se non ne trarranno profitto non sarà soltanto peggio per loro, sarà pure peggio per noi. – (Dalla Presentazione di Sergio Ricossa)

1 recensione per DI MUCCIO, PIETRO – Orazione Per La Repubblica

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Carlo Zucchi

    Divertente pamphlet dai toni decisamente politically uncorrect su uno degli argomenti più “intoccabili” dell’italica Repubblica antifascista. Una penetrante e impietosa analisi della Costituzione italiana, condotta senza le timidezze che la rituale soggezione alla mitologia costituente fa pesare sul dibattito costituzionale. Di Muccio si diverte a “vivisezionare” i vari articoli della “nostra” Costituzione, mettendone in luce la lunghezza e la conseguente contraddizione. Frutto di compromessi tra opposte ideologie, la Costituzione italiana, non solo ha visto la lottizzazione dei vari articoli, ma, come ci mostra Di Muccio, in ognuno di essi sono contenuti principi spesso opposti, in ossequio ai vari settori dell’Arco costituzionale. Questo spiega naturalmente anche la lunghezza, perché ogni articolo deve contenere un numero di concetti sufficiente ad accontentare tutti.

    La lunghezza degli articoli non si presta certo alla chiarezza. Le tante parole aumentano il caos nella testa di chi legge, a tutto vantaggio di chi, in nome del dettato costituzionale, può far tutto e il contrario di tutto. Poi, diciamolo, cosa c’è di più conveniente per una classe politica che far annegare nel caos quei poveracci che osano avventurarsi nella lettura di articoli lunghi quanto oscuri. Articoli che magari non contengono un chiaro e limpido riferimento per l’agire della comunità, ma assicurano tutt’al più un bel mal di testa per qualche improvvido, quanto sventurato lettore. Dante avrebbe detto: “Lasciate ogni speranza voi che leggete!”. Lasciate ogni speranza di capire, di comprendere il senso di una Costituzione che viene magnificata tutti i giorni che Dio ha mandato in terra dal ’46 ad oggi da sermoni retorici dei vari presidenti della Repubblica via via succedutisi, siano essi cattolici o “laici” (perché secondo la vulgata illuminista o si è l’uno o si è l’altro). La Costituzione è come la mamma, anzi, qualcosina in più della mamma e qualcosina in meno dell’Europa, che fra breve ci doterà di un’altra Costituzione ancora più bella e ancor più confusa. Ma che importa, tanto c’è sempre qualche burocrate che ce la “interpreta”.

    Quella di Di Muccio è soprattutto una critica liberale fatta da un liberale autentico, nello spirito ancor prima che nelle idee. Solo un liberale con quel suo affrontare la vita e i problemi in modo disincantato, ma allo stesso tempo ironico e flemmatico, poteva condurre una critica così acuta, e in certi tratti persino caustica, di un foglio di carta in cui abbonda l’inchiostro più che la saggezza, la prosopopea di legulei di bassa lega più che la semplicità che dovrebbe fa entrare una costituzione nel cuore dei cittadini che (secondo la vulgata statolatrica) se la danno. Se poi una costituzione, come è il caso della nostra, deve essere il frutto di un compromesso con la più sciagurata ideologia della storia (il comunismo), allora il disastro assume dimensioni preoccupanti. Un disastro il cui unico rimedio è non osservarla, rifugiandosi nei meandri dell’elasticità di interpretazione, del “come la rigiri, tanto va bene”. Tanto la Corte Costituzionale sta lì apposta. Che importa cosa c’è scritto, anzi! Forse, il segreto per rendere flessibile una costituzione formalmente rigida sta proprio nella sua incomprensione. Sì, insomma, la flessibilità dello statuto albertino esce dalla porta per rientrare dalla finestra. Così è, se vi pare.

    Come dice Sergio Ricossa nell’introduzione: ” Gli uomini politici sono abituati a parlare agli elettori, non a sentir parlare gli elettori. Fanno la predica agli altri, non amano farsi far la predica dagli altri. Non dialogano che con se stessi, e finiscono con l’isolarsi come una casta indiana… potrà dunque sembrare strano a costoro, essere interpellati direttamente da un cittadino… c’è la rivendicazione di un diritto dimenticato, quello di far giungere ai governanti la voce dei governati. L’Orazione per la Repubblica è, fra l’altro, un modello di arte della critica… le frecciate di Di Muccio sono un servizio reso a coloro che ne sono il bersaglio, non importa se essi ne trarranno profitto o no. Ma se non ne trarranno profitto non sarà soltanto peggio per loro, sarà pure peggio per noi.”

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