FREDERIC BASTIAT – Ciò che si vede, ciò che non si vede

 15,00

e altri scritti

a cura di Nicola Iannello

Nove fenomenali pamphlets del pensatore francese

Edizioni: Rubbettino-Facco   Anno: 2005   pag. 283

ATTUALMENTE IN RISTAMPA

COD: 018-480 Categoria:

Descrizione

Indice

Lavoro contro spoliazione. Il liberalismo integrale di Frédéric Bastiat, di Nicola Iannello
Frédéric Bastiat, teorico della prasseologia, di Gérard Bramoullé

1. Ciò che si vede e ciò che non si vede
2. Proprietà e legge
3. Giustizia e fraternità
4. La Legge
5. Lo Stato
6. Spoliazione e legge
7. Guerra alle cattedre di Economia Politica
8. Capitale e rendita
9. Maledetto denaro

APPENDICE
Notizia sulla vita e gli scritti di Frédéric Bastiat, di Roger de Fontenay

 

Recensione di Tomaso Freddi

Chi potrà mai superare la definizione dello Stato che Frédéric Bastiat diede più di 150 anni fa:
“Lo Stato è la grande finzione per mezzo della quale TUTTI si sforzano di vivere a spese di TUTTI”.

Questa definizione, rimasta famosa, è tratta da un breve saggio sullo Stato, anch’esso rimasto insuperato (e direi insuperabile) per semplicità e logica di esposizione. (F. Bastiat “Ciò che si vede e ciò che non si vede” ed. Leonardo Facco). Qualcuno ha giustamente osservato che è impossibile non diventare liberali dopo aver letto Bastiat, ma evidentemente egli è stato letto troppo poco.

Allora, più di 150 anni fa, Bastiat si stupiva dell’incredibile cecità del pubblico, al quale, nell’eterno tentativo di vivere alle spalle degli altri, non era mai sorto il dubbio nel corso della storia che il prelievo fiscale non fosse altro che un saccheggio operato dallo Stato, per legge. Un saccheggio apparentemente meno criminale perché eseguito legalmente, ma incapace di aggiungere alcunché al benessere totale, anzi, al contrario, capace solo di dissipare tanto quanto costa lo Stato come intermediario spendaccione…. Nel secolo e mezzo che da allora è trascorso, non solo questo messaggio è stato disatteso, ma abbiamo assistito ad un’ulteriore e spropositata invadenza delle attività pubbliche. Interi popoli ed intere generazioni hanno continuato a chiedere ai loro governanti, senza rendersi conto della palese contraddizione, tanti benefici e poche imposte, con il risultato di gonfiare fuori misura la struttura pubblica, di creare enormi sperperi, di provocare miseria e calamità per tutti.

Come dir meglio del nostro autore: “di fatto lo Stato non è rimasto disattento. Ha due mani, una per ricevere, l’altra per dare, o come si dice, la mano rude e la mano dolce. L’attività della seconda è necessariamente subordinata all’attività della prima. A rigore, lo Stato potrebbe prendere e non rendere. Ciò si è ben visto, e si spiega con la natura porosa e assorbente delle sue mani, che trattengono sempre una parte e talora tutto quello che toccano. Ma quello che non si è mai visto, che non si vedrà mai e neppure si riesce a concepire, è che lo Stato renda al pubblico più di ciò che abbia preso (in realtà per un po’ lo si è visto, facendo dei debiti).

Come si può pensare a ciò che è accaduto nel XX° secolo dopo queste chiare parole di F. Bastiat? Evidentemente ben pochi l’hanno letto. Siamo passati da un’incidenza della spesa pubblica sul PIL del 15%, ai tempi in cui egli scriveva, ad una percentuale attuale che in molti paesi europei sfiora il 50%. Non solo. Ancor oggi la maggior parte delle popolazioni, nonostante lo sviluppo tecnologico, una maggior diffusione della ricchezza, un livello medio di conoscenza enormemente superiore al passato, continua a vedere nello Stato e nella coercizione della legge la soluzione dei propri problemi; in sostanza, a sostenere “che lo Stato deve dare molto ai cittadini e prendere poco”. Non possiamo pensare che ai nostri giorni i cittadini, o la stragrande maggioranza di essi, siano così sprovveduti da non comprendere una simile contraddizione. Bisogna trovare una risposta più convincente.

Poiché lo Stato rappresenta la somma degli individui che lo costituiscono, in realtà ognuno nel proprio intimo pensa a se stesso, al proprio personale tornaconto, pensa di risolvere l’incongruità del problema a proprio favore. Naturalmente a scapito di qualcun altro, come l’algebra impone. In pratica, il motto diventa: “che lo Stato deve dare molto (a me) e prendere poco”, e chi se ne frega degli altri.

E’ chiaro che una soluzione del genere comporta un perenne conflitto all’interno dello Stato, con il prevalere delle corporazioni più forti e con buona pace della Giustizia. Come sempre, è verificato l’assioma: ci si rivolge allo Stato perché faccia giustizia con leggi e coercizioni, e il risultato che si ottiene è esattamente il contrario, cioè la vittoria del più forte.

Non resta da pensare che questa tendenza corrisponda ad una ferrea legge naturale, immodificabile nei tempi brevi delle esperienze umane, una tendenza che faccia parte del DNA di ogni essere umano. A dire il vero lo aveva capito anche Bastiat: “l’uomo rifiuta la fatica e la sofferenza, e tuttavia è condannato per natura alla sofferenza della privazione, se non assume la fatica del lavoro. Non vi è dunque scelta che tra due mali. Come fare per evitarli entrambi? Fino a oggi non si è trovato che un solo mezzo: godere del lavoro altrui; è come riuscire a far sì che la fatica e la soddisfazione non tocchino ad ognuno secondo la proporzione naturale, ma che tutta la fatica sia per alcuni e tutta la soddisfazione per altri”. Escludendo la rapina e la spoliazione diretta (in effetti sono un po’ pericolose), è automatico fare ricorso ad un intermediario. Cosa di meglio dello Stato che rappresenta la legge stessa?

Dobbiamo allora concludere che questo comportamento sia ineluttabile? Che anche le future generazioni continueranno a ripetere l’errore di chiedere allo Stato di più di quanto siano disposte a dare? Di vedere nell’attività pubblica una creazione anziché una distruzione di ricchezza? Eppure la società degli uomini ha continuato a progredire e tanti importanti miglioramenti sono stati compiuti. Maggiori risorse, una maggior ricchezza disponibile insieme ad una più giusta distribuzione, dovrebbero gradualmente aver aiutato i cittadini a riporre fiducia sulle proprie forze piuttosto che sulla spoliazione del prossimo.

Di fronte ai tre sistemi politici che schematicamente Bastiat ci propone, al termine della sua analisi:
1. lo Stato deve fare molto, ma molto anche prendere,
2. lo Stato deve fare poco, e quindi prendere poco,
3. lo Stato deve fare molto e prendere poco,

non si vede come, oltre alla evidente contraddizione, ancora non si comprenda la pericolosità della terza soluzione, che può solo sfociare in un conflitto sociale dannoso per tutti. La scelta obbligata è limitata allora ai primi due sistemi. La prima soluzione rappresenta il risultato del ragionamento individuale al quale sopra si è fatto cenno, che, nella convinzione di dover avere a scapito di altri, inevitabilmente produce situazioni di sfruttamento e di sperequazioni sociali a vantaggio di chi è più forte e meglio organizzato. Il passo avanti che la società degli uomini deve compiere, secondo l’insegnamento di Bastiat, è di capire che usare lo Stato e la legge per i propri fini politici, per appropriarsi del lavoro e delle fatiche altrui non è lecito, ed è profondamente ingiusto.

Il futuro dell’organizzazione sociale deve basarsi perciò sulla prima soluzione, deve ridurre le competenze dello Stato a ciò che è veramente essenziale: la sicurezza delle persone, della proprietà, e il mantenimento del minimo economico indispensabile per la vita di tutti i cittadini.

Per essere coerenti con questa scelta, è necessario che anche in occasione delle prossime elezioni non si chieda ai politici di “fare”, ma di “disfare”. Non si chieda un programma di governo corrispondente come sempre ad un’espansione delle attività, e quindi a maggiori spese statali, ma un programma di riduzione degli impegni, capace almeno di invertire la tendenza registrata nell’ultimo secolo, durante il quale abbiamo assistito ad un costante aumento della spesa pubblica non solo in termini assoluti, ma anche in percentuale sul PIL.

Non è questione di destra o di sinistra. Durante il loro governo, entrambi hanno dovuto accettare, sotto la spinta delle forze sociali più forti, una continua e progressiva crescita della spesa pubblica con l’aumento di dirigenti, funzionari e dipendenti pubblici a tutti i livelli.

L’entrata nell’euro ci aveva almeno dato il vantaggio di recuperare, attraverso la riduzione degli interessi sul debito pubblico, un 4-5 % del PIL. Ebbene, che fine ha fatto il cosiddetto avanzo primario? Nel breve spazio di qualche anno, anziché portare ad una riduzione delle imposte, è stato completamente assorbito dalle maggiori spese a carico dello Stato.

Bisogna finalmente invertire la tendenza. Non si pretende di ritornare al 15% del PIL, come all’inizio del secolo scorso, ma di attuare un profondo cambiamento nella mentalità della gente e di portare l’opinione pubblica ad esigere dal nuovo governo almeno un quinquennio con le spese dello Stato in diminuzione.

Conosciamo le difficoltà. Sono le stesse di fronte alle quali ci si trova quando si deve risanare un’azienda. Ma proprio le esperienze aziendali dimostrano che non è impossibile. Occorre essere decisi a contrastare con tutte le forze la naturale tendenza delle burocrazie ad espandersi, a mantenere i loro privilegi, ad opporsi alla riduzione delle attività. Ancora l’esperienza ci insegna che per avere successo in questa difficile impresa non c’è che un modo: ridurre progressivamente le entrate, anche a costo di sforare il deficit di bilancio. Una riduzione delle imposte non si attuerà mai aspettando di aver prima realizzato una riduzione delle spese. Solo il percorso inverso è possibile. Come si dice nel gergo: “occorre prima affamare la bestia, metterla a dieta” e poi si potranno ottenere effetti dimagranti.

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