Descrizione
Pubblicata dal suo autore a quasi novant’anni, La presunzione fatale costituisce il testamento intellettuale di Friedrich A. von Hayek, sintesi e approdo della sua quasi secolare attività di ricerca. In questo libro l’economista e filosofo austriaco sostiene che la nostra civiltà dipende, nella sua origine e nella sua conservazione, dall’ordine esteso della cooperazione umana, un ordine più comunemente conosciuto come capitalismo. Seguendo le tradizioni morali sorte spontaneamente e sottostanti all’ordine del mercato (tradizioni che non soddisfano i canoni di razionalità accettati dalla maggioranza dei socialisti, come la proprietà e i contratti) noi possiamo infatti generare e raccogliere una quantità di conoscenza e ricchezza immensamente più grande di quella utilizzata in una società pianificata dal centro secondo i dettami della ragione. Se questo è vero, allora il socialismo è un errore, una nostalgia atavica della vita in piccoli gruppi che l’umanità primitiva ha praticato per decine di migliaia di anni. Secondo Hayek, anche quando sono animati dalle migliori intenzioni i socialisti che avversano l’ordine esteso del mercato e anelano riscrivere a tavolino le regole della morale, del diritto e dell’economia, si troveranno sempre nell’impossibilità di realizzare i loro obiettivi.
Marco Massignan –
Recensione di MARCO MASSIGNAN
Ignoranza e fallibilità contro gli abusi della ragione
Non sono un illuminista. Io la ragione non la adoro: la uso. Potrebbe essere questa, in sintesi, la “cifra” delle argomentazioni esposte da F. A. von Hayek nel suo “La presunzione fatale. Gli errori del socialismo” (Rusconi).
Un breve testo, in cui viene demolito il cosiddetto “costruttivismo razionalista”: la pretesa – anzi, la presunzione – di sapere più di quanto è possibile sapere (l’onniscienza, in una sola parola), e di credere che tutte le istituzioni e tutti i sistemi di regole siano esiti di piani e progetti intenzionali. Invece – ci ricorda Hayek, sulla scia della tradizione marginalista austriaca – la nostra civiltà, sia nel suo sviluppo che nella sua conservazione, non dipende affatto da una “volontà comune”, bensì da un ordine spontaneo – una serie infinita e illimitata di interazioni umane, molto spesso difficili da comprendere razionalmente, perlopiù inintenzionali – in breve, la “catallassi” (o, meglio, il mercato), che hanno consentito l’avanzamento (e il conseguente benessere) della specie. Ecco dunque che la ragione correttamente usata deve – socraticamente – riconoscere la sua ignoranza e fallibilità e cogliere che un ordine generato senza disegno può essere di gran lunga migliore di qualsiasi “volontarismo consapevole”.
Il testo affronta poi – seguendo un approccio economico ed evoluzionistico – argomenti tra loro disparati: l’ignoranza economica di molte “menti brillanti” nel corso dei secoli (si pensi ad Aristotele e alla sua nefasta influenza sull’atteggiamento anticommerciale della Chiesa – ad Einstein, sino a Keynes e Bertrand Russell), mossi da una nociva “mentalità anticapitalistica”; il linguaggio avvelenato con cui i socialisti hanno pervaso la società (dalla reificazione dei concetti collettivi, all’ambiguità di espressioni quali “giustizia sociale” e “democrazia popolare” – secondo Hayek, autentiche frodi semantiche); fino a due tematiche attuali oggi più che mai: il mito della sovrappopolazione e la religione. Per quanto riguarda il primo, Hayek ci mette in guardia dal malthusianesimo montante, criticandone i presupposti di fondo e citando – a sostegno delle sue tesi – una bellissima frase di Adam Smith: “L’indice più significativo della prosperità di un paese è l’aumento del numero dei suoi abitanti”. Ed infine, la religione. Disprezzata dalla maggior parte degli intellettuali laici e progressisti, marxianamente ridotta ad “oppio dei popoli” – essa, ammonisce l’agnostico Hayek (sul solco di Hume, Smith e Mandeville) – non solo ha sanzionato le regole della morale molto prima che sorgesse il ragionamento artificiale e la filosofia, ma con i suoi insegnamenti e le sue tradizioni ha preservato la nostra civiltà e le nostre stesse vite.