Descrizione
“Quando percorro la Pianura Padana provo un senso profondo di affetto, di tenerezza… e’ come vedere il viso di mia madre”. “Al Sud si concepisce la vita come un ozio prolungato, condito di sfizi e di hobby, mentre al Nord c’ e’ il “barbaro”, quello che lavora e produce”. “Mi piacciano i decisionisti, io stesso lo sono”. “La professione dell’ uomo politico e’ indegna di un uomo libero”.
Chi parla? Si fa presto a indovinare: Gianfranco Miglio, l’ ideologo della Lega, il profeta del federalismo. Uno studioso prestato alla politica o forse un politico prestato agli studi. Spara sulla Sicilia e sogna la Baviera, ama Cossiga e odia De Mita, e’ cristiano e fa la guerra ai democristiani. Tutta la settimana in trincea. E la domenica nella casa di Como: in cucina a mangiare zuppa di ceci e maiale, nello studio fra i ritratti di Metternich e Maria Teresa, in veranda a guardare le montagne della Svizzera.
A 75 anni, nonno prodigio della politica, Miglio conquista anche una biografia tutta sua. A scriverla ci ha pensato Giorgio Ferrari, caporedattore di Avvenire: “Gianfranco Miglio, storia di un giacobino nordista”. Il senso e’ gia’ nella vignetta di Forattini sulla copertina: il professore senatore accenna un sorriso in una smagliante divisa asburgica. Fra curiosita’ , aneddoti e battute famose, salta fuori tutto il Miglio “austriacante, nordista e calvinista”.
La sua villa? Campanella di bronzo, inferriate battute a mano, stufa di maiolica, porte in noce antico, con le immagini dei marescialli Urban e Radetzky e tanta nostalgia antirisorgimentale. Il “giacobino di destra”, come dice Andrea Barbato, o “estremista di centro”, come lo chiama Angelo Panebianco, non fa nulla per dimenticare che la sua ormai famosa trisavola, Magdalene, contava le galline in tedesco. Nel ‘ 36 eccolo alla Cattolica di Milano, a studiare Legge, compagno di corso di Oscar Luigi Scalfaro.
Negli anni della Resistenza e’ nel movimento dei “federalisti” cattolici e solo la pioggia lo salva dalla galera: “Il giorno in cui arrestarono i miei amici, io non c’ ero. Mi ero fermato per ripararmi da un acquazzone”. Finisce la guerra e da buon cattolico si ritrova democristiano. Un dc atipico pero’ , che fa arrabbiare tutti i notabili. A cominciare da Fanfani: “Tentava di comandarmi a bacchetta, ma mi levai subito dalla sua orbita”. Ma prima di decidersi ad attaccare sul serio mamma Dc ci mette vent’ anni.
E il ‘ 64, gli tocca la prolusione per il nuovo anno accademico in Cattolica. E lui parla di parassitismo, di burocrazia clientelare, di classe politica al tramonto: “A risentirne piu’ di ogni altro nella Dc fu Andreotti. Il quale, non si sa fino a che punto per scherzo, propose di taglire i fondi alla Cattolica, visti gli esiti”. Ma Miglio non si rassegna a fare solo il professore. Ed eccolo su un nuovo cavallo. Si avvicina a Eugenio Cefis, dal ‘ 67 presidente dell’ Eni. Cefis gli manda abitualmente un “Mirage” alla Malpensa per portarlo a Roma, dove gli affida dirigenti e quadri da istruire (a volte li fa tornare apposta dall’ estero). E Miglio insegna, ma soprattutto cerca conferme alle sue idee sulle aziende pubbliche.
Con l’ occhio freddo del chirurgo attratto piu’ dal caso interessante che dalla sofferenza del malato. Sorge l’ astro di Craxi e Miglio loda il suo decisionismo: quando parlava di un capo a cui dare tutti i poteri per un breve periodo di tempo pensava proprio a Bettino. Ma non puo’ avvicinarlo: il garofano ha gia’ scelto il suo costituzionalista, si chiama Amato. E De Mita? Non corre buon sangue. Il professore gli manda i suoi progetti politici e Ciriaco non risponde nemmeno: come grande consigliere preferiva Roberto Ruffilli. E poi la Lega, una lenta scoperta. Nell’ 89 Bossi va a trovarlo a casa: “Era semplice, naif, mi conquisto’ per quel suo chiodo fisso che era anche il mio. Il federalismo”.
Una strana coppia, con Miglio, il vecchio, che attacca e Bossi, il giovane, che frena. Il senatur chiama il profesur anche alle tre di notte: ha bisogno di lui, dei suoi consigli. A tutte le ore. Ma Miglio e’ anche quello dei giudizi fulminanti. Forlani: “Una nullita’ strutturata”. Andreotti: “Un uomo che ha legato la sua fortuna alla superficialita’ “. La Malfa: “La sua uscita dal governo fu una ripicca. Poi si e’ accorto che era una scelta intelligente e l’ ha sfruttata”. Craxi: “Se fossimo sicuri che con una sanatoria si ritirerebbe per sempre ad Hammamet, forse direi si’ al colpo di spugna”. Martinazzoli: “Troppe letture, troppa rigidita’ . Vuole eliminare l’ apparato clientelare dc: e che gli resta?”. Occhetto: “E l’ uomo variabile, un giorno su un palo, un giorno su una frasca”. Simpatia per Cossiga: “Ha interpretato nel modo giusto i poteri presidenziali”. E De Mita? “E un filosofo, e i filosofi sono una delle pestilenze dell’ umanita’ “. Risposta di De Mita: “A volte ragiona, a volte fa il leghista, a volte il professore, altre il parlamentare. Dice una cosa e poco dopo un’ altra. Penso che il suo sia un caso clinico piu’ che una posizione istituzionale”.
E la religione? Nella biografia, Miglio si spiega cosi’ : “Puo’ far ridere l’ idea, ma io sono fondamentalmente un cristiano calvinista. Soprattutto perche’ non riesco a sopportare la concezione perdonista della Chiesa cattolica. Quando da ragazzo mi confessavo mi pareva che mi appioppassero pene troppo leggere…”. E ancora: “La’ dove vinse la Riforma protestante viene privilegiato il testo scritto, la Bibbia, e dunque la norma oggettiva. In Italia si privilegia invece il sacerdote, come tramite fra il credente e la divinita’ “. Ma chi e’ Miglio? Un diabolico “numero due” da Cefis a Bossi, gia’ ammiratore di Craxi e fan di Cossiga? Un cinico senza confini? Un professore fulminato dalla politica sul campo? Le sue parole: “Quello che sta accadendo in Italia lo giudico un grande divertimento. Cosi’ vorrei passare i miei ultimi anni: applicando gli infiniti modelli che ho tracciato nelle mie lezioni di politica pura…”.
Postiglione Venanzio
Pagina 4
(24 marzo 1993) – Corriere della Sera
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