GIOVANNI MORETTO – Consumi E Benessere Nell’Unione Sovietica

 18,00

DI MICHAIL GORBACIOV

Unicopli – 2015, Pagine 293

La descrizione del fallimento finale dell’economia pianificata sovietica

 

COD: 018-1492 Categoria:

Descrizione

Il libro ripercorre le tappe del fallimento del “benessere realsocialista”, attraverso l’analisi del discorso ufficiale del Partito-Stato sovietico e della voce dei semplici cittadini, della propaganda e della realtà della vita di tutti i giorni. I temi, dunque, sono i consumi e il benessere così come vennero concepiti e proposti dal Partito-Stato, nonché percepiti e vissuti dalla popolazione dell’URSS negli ultimi anni della sua esistenza, sotto la guida di Michail Gorbacëv (1985-1991). L’ideologia ufficiale presupponeva non solo la creazione di una società socialista, ma anche il suo passaggio al comunismo; il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” sarebbe stato pertanto sostituito da quello “a ciascuno secondo le sue necessità”. Nel periodo di Gorbacëv diventò evidente la decadenza dei livelli di vita dei cittadini sovietici e del modello di prosperità che l’URSS avrebbe voluto realizzare (ed esportare): in sei anni la perestrojka non “ristrutturò” il paese, ma ne ruppe il fragile equilibrio ereditato dall’epoca brezneviana.

1 recensione per GIOVANNI MORETTO – Consumi E Benessere Nell’Unione Sovietica

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Alessandro Vitale

    Nonostante il titolo, che appare tanto rassicurante da assumere un tono paradossale – come l’immagine di sovracoperta, tratta dalla rivista “Sovetskaja Torgovlja” (Commercio Sovietico, organo del Ministero sovietico del Commercio) del 1987, che ritrae marito e moglie in un supermercato strapieno di beni di consumo – questo bel libro accuratamente documentato di Giovanni Moretto, studioso di storia dell’Europa Orientale dell’Università degli Studi di Milano, in realtà affronta la storia della fase finale del più grande collasso economico e politico del Novecento: quello del “socialismo reale” nell’Unione Sovietica.

    Il fine di questo studio, condotto in gran parte negli archivi russi, è stato quello di analizzare minuziosamente da un lato consumi e benessere come erano concepiti e pianificati dallo Stato-partito e, dall’altro, come vennero percepiti e vissuti dalla popolazione dell’Urss negli anni dell’agonia terminale di questa. Un tema, quest’ultimo, di cruciale interesse non solo per la storia (come i contemporanei comprendono l’epoca nella quale vivono), ma anche per lo studio dell’economia, dato che le scelte economiche e l’azione umana che le sottende sono ricostruibili proprio soltanto partendo dai soggetti che le hanno vissute, che sono la vera fonte della spiegazione e il fattore esplicativo principale quando si studiano risultati specifici di quell’azione.

    Da questo studio, che ha utilizzato sapientemente la voce diretta della popolazione che interveniva sulla stampa (grazie alla glasnost’ e all’allentarsi della censura), emerge naturalmente subito lo scarto fra la propaganda del regime (il “benessere socialista”, l’aumento dei beni di consumo sacrificati a lungo all’industria pesante e militare, la perestrojka, ecc.) e il crollo catastrofico del livello di vita dei cittadini sovietici in un periodo di collasso strutturale del sistema, del quale Gorbačëv – nonostante il pur comprensibile ma ingenuo tentativo di riformarlo – è stato di fatto un “notaio” impotente, in una fase di accelerazione della crisi (come sono sempre le epoche d’inizio delle riforme) e non tanto l’artefice attivo del collasso, come molti pensano, soprattutto in Russia.

    Una catastrofe maturata fra gli anni Sessanta e Settanta, che porterà nel 1983 al “Rapporto di Novosibirsk” – confidenziale e presentato in un seminario chiuso dai più preparati fra gli scienziati dell’epoca – sul progressivo degrado di un sistema privo di relazioni di mercato, del meccanismo dei prezzi e ultracentralizzato, dominato da decisioni imposte dall’alto a ogni settore.

    Quando Gorbačëv comprese in tutta la sua gravità la china che si profilava, ignorata dalle ottuse reazioni dei conservatori di Partito, tuttavia, era già troppo tardi. In effetti il Segretario generale appare nel libro come parzialmente cosciente delle questioni cruciali da affrontare. Questo risulta dal suo disperato appello al consumatore (una figura fantomatica e impossibile nel sistema pianificato) e alla riforma radicale del sistema dei prezzi. Ma i rimedi che propone appaiono oggi alquanto ingenui e sono figli del suo considerare la produzione come una questione di ingegneria (tipico della mentalità socialista): sarebbe bastato limitarsi a qualche calcolo per trovare cosa sarebbe più efficiente produrre e di maggior qualità per attirare i consumatori. In altri termini, quello che appare lampante da questo studio è il muro contro il quale ha sbattuto la pretesa di chi impersonava lo Stato di gestire i bisogni, di gerarchizzarli, di stabilire quali sono quelli essenziali (garantibili dallo Stato) e quelli superflui: una pretesa strutturale dello Stato moderno.

    Nell’azione di Gorbačëv rimaneva infatti la pretesa di pianificare l’azione del consumatore con ordini dall’alto impartiti ai produttori, con una programmazione alla cieca (il caos pianificato), nell’illusione di pilotare il mercato con leggi imposte all’economia che incentivassero la produzione di alcune merci a scapito di altre, nello stile della NEP leniniana. Il complesso sistema di coordinazione fra le azioni individuali che solo il mercato riesce a garantire e la dura realtà dell’economia (ignorata dagli “economisti” sovietici, che avevano dichiarato di non aver bisogno dell’economia perché avrebbero fondato una scienza ex novo) hanno finito così per vendicarsi dell’ideologia. La contraddizione di fondo del sistema pianificato a statalizzazione integrale esplodeva in tutta la sua portata.

    La pianificazione infatti fa saltare il processo di coordinazione di mercato e lo scoordina, portando all’impossibilità di soddisfare i bisogni. Moretto indaga le pratiche di consumo, la percezione che ne aveva la popolazione, la quotidianità sovietica degli anni finali del tracollo e apre così la strada alla comprensione del ruolo cruciale dei fermenti culturali e sociali (stimolati dalle nuove spinte occidentali al consumo), ma soprattutto dei bisogni in generale, la cui esplosione (evidente dalla stampa riportata dall’Autore e dalle lettere dei cittadini alla riviste) – proprio in un momento nel quale l’economia pianificata, che si credeva di poter rivitalizzare con la rivoluzione informatica, collassava e andava in senso contrario – porterà al crollo definitivo.

    Nemmeno l’economia parallela a quella ufficiale, dovuta allo squilibro fra offerta e domanda di beni, alle code mai finite dal 1914, all’enorme quantità di “moneta carta-straccia” in circolazione, alla progressiva inefficacia del far riferimento ai prezzi presenti sul mercato estero e al debordare del mercato dalla camicia di forza imposta dallo Stato, riuscirà più infatti a riequilibrare una nave che ha finito per fare acqua da tutte le parti. Il libro getta così un fascio di luce prezioso sull’“economia amministrata”, su un sistema “non-economico”, o meglio “anti-economico”, nella sua variante più rigida, quella sovietica, incapace di trovare un’uscita di sicurezza di stampo cinese e sulla difficoltà estrema e storicamente inedita di tornare a rapporti economici naturali.

    La penuria cronica, la corruzione, i privilegi di nomenklatura sempre più evidenti e insopportabili, il parassitismo politico-burocratico, il razionamento, l’“economia di guerra” permanente, il ricorso al baratto, la paralisi ministeriale delle decisioni economiche, l’impossibilità strutturale del calcolo economico e del sistema dei prezzi, l’irrilevanza del ruolo del consumatore sono solo alcuni degli elementi che ben presto porteranno al collasso della produzione e della distribuzione sovietiche, che Moretto fotografa con precisione.

    Dal libro emergono conferme lampanti alle teorie (anche se non citate) di quegli economisti di altezza siderale (della Scuola Austriaca), a lungo ignorati e ostracizzati in Occidente, che negli anni Venti avevano spiegato l’impossibilità del calcolo economico in un’economia amministrata e di statalismo integrale come quella socialista, senza aver bisogno dell’osservazione empirica ex post, ma giungendovi attraverso il ragionamento basato su assiomi autoevidenti e a priori dell’azione umana, formulabili sulla base della logica formale e della conoscenza analitica relativa all’assenza del sistema dei prezzi, alla realtà della pianificazione e della sua illusione di poter coordinare dall’altro il complesso processo sociale, trasformandolo in un inferno in terra, al quale sono stati necessari uno Stato di polizia un illusorio benessere innervato di miseria.

    Il libro aiuta così a comprendere perché quelle riforme, pur se animate da buone intenzioni, sono fallite, lasciando in eredità alle popolazioni dell’ex Urss problemi colossali, con i quali sono alle prese ancora oggi e con i quali lo saranno ancora per un lungo e imprecisato periodo.

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