Descrizione
L’abuso della ragione è un classico della metodologia delle scienze sociali, un’opera nella quale Hayek mostra le ragioni e le conseguenze non solo epistemologiche ma anche etiche e politiche dell’individualismo metodologico, una prospettiva che si oppone e che scardina la tradizione del collettivismo metodologico, dove si reificano, si fanno diventare res, i concetti collettivi (lo ‘Stato’, il ‘partito’, la ‘classe’, il ‘popolo’, ecc.) con l’inevitabile conseguenza di politiche liberticide.
La concezione collettivistica è un funesto impasto di scientismo, costruttivismo e storicismo. Hayek la analizza in profondità e dettagliatamente negli scritti di Saint-Simon, in quelli di Comte, nel nefasto influsso dell’Ecole Polytechnique e, infine, in Hegel. E se nella società prefigurata da Saint-Simon «chiunque non ubbidisca ai comandi sarà trattato dagli altri come un quadrupede», da Hegel e Comte scaturisce, per Hayek, «la principale fonte di quella hybris collettivistica che aspira a una ‘direzione cosciente’ di tutte le forze della società» – la fonte, in breve, del totalitarismo nazifascista e del totalitarismo comunista.
Carlo Zucchi –
Recensione di Carlo Zucchi
Friedrich von Hayek è senz’altro uno degli ultimi intellettuali poliedrici in quest’epoca contrassegnata dallo specialismo disciplinare. Oltre all’economia e alla filosofia politica, il grande autore austriaco non disdegnò l’interesse verso la psicologia teorica, come dimostra il suo libro L’ordine sensoriale – I fondamenti della psicologia teorica, nel quale vengono poste le basi per l’individualismo metodologico e per l’avversione a qualsiasi forma di determinismo biologico. Se ne L’ordine sensoriale si possono scorgere i fondamenti psicologici dell’individualismo metodologico, L’Abuso della ragione può rappresentare la continuazione dello scritto precedente in chiave filosofico-politica. Qui, Hayek confuta in maniera brillante ed esaustiva le teorie positivistiche e storicistiche figlie dell’Ottocento, ravvisando in esse la causa prima del disordine morale, e quindi politico e sociale, del nostro tempo.
Nella difesa senza compromessi dell’individualismo metodologico, Hayek non ha paura a sostenere che il conferimento di volontà autonoma a enti collettivi, prescindendo dalla volontà delle singole persone chiamate a dirigerli, sta all’origine di tante distorsioni ideali della nostra epoca. Ed è proprio a partire da queste teorie enucleate da razionalisti costruttivisti di ogni risma che viene attribuito valore assoluto e categorico a tali astrazioni, scivolando così, paradossalmente, nel più estremo irrazionalismo. A tutto ciò Hayek risponde attingendo alle preziose fonti del razionalismo critico, che raccomandano un uso della ragione come strumento di comunicazione tra gli uomini soltanto dopo averne accertati criticamente i limiti. Al razionalismo dogmatico si accompagna sempre quel “perfettismo” che ne è, in un certo senso, la versione sociale e politica, quel perfettismo che, per dirla con Rosmini: “crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica i beni presenti all’immaginaria futura perfezione”. È appunto contro questo perfettismo che Hayek mette in guardia gli uomini, spesso tratti a far violenza alla realtà, nell’illusione di poterla riplasmare integralmente in conformità con un preconcetto disegno.
Ancor più che una critica al marxismo, L’Abuso della ragione è un attacco al positivismo e alla sua pretesa di indagare le scienze sociali con gli stessi metodi delle scienze naturali e delle scienze fisiche. Se le ultime due possono essere trattate secondo i metodi tipici del laboratorio con la possibilità di creare artificialmente determinate condizioni, non così avviene per le scienze umane, che non presuppongono, come del resto il Novecento insegna, l’uso degli esseri umani come cavie su cui condurre esperimenti socio-istituzionali. Non a caso, Hayek usa il termine “ingegnere sociale” per tutti quei pianificatori che vogliono “progettare” istituzioni secondo un disegno cosciente (il loro) senza tener conto delle conseguenze inintenzionali dei loro progetti. È proprio da questo abito mentale che Hayek desume un uso della ragione non rettamente intesa, ossia una ragione ritenuta capace di prevedere ogni possibile conseguenza dell’agire umano, tale da sconfinare in un’onniscienza più simile a quella di un Dio che a quella di un uomo. Insomma, una ragione priva dei suoi limiti, della quale non si può che abusare, e il cui abuso non può che portare a quei risultati che il Novecento ha prodotto.
Oltre a un’analisi del fenomeno scientista, Hayek traccia un itinerario delle tappe storiche che hanno portato la scienza in questo vicolo cieco quanto pericoloso. Partendo dall’Ecole Polytechnique parigina istituita da Napoleone, e simbolo a tutt’oggi dell’indole statolatrica francese, Hayek compie il tragitto percorso dal positivismo lungo tutto l’Ottocento, passando per esponenti quali Saint-Simon e Comte, e senza risparmiare critiche a Hegel. Anche qui notiamo come Saint-Simon prima e Comte poi elaborarono dottrine sociali interamente ispirate alle scienze fisiche, che prevedevano manager e ingegneri a capo di comunità gestite secondo criteri puramente pseudo-scientifici, perché solo quella ingegneristica era considerata scienza. Una scienza che, in nome della sua elevazione a Vangelo, ha finito per essere degradata a strumento di menzogna e di morte.