F.A. HAYEK, Diritto, legislazione e libertà

 30,00

I limiti della ragione umana condannano al fallimento tutte le pretese costruttiviste dei pianificatori, nell’economia così come nel diritto.

Nuova edizione a cura di Lorenzo Infantino e Pier Giuseppe Monateri

Edizioni Società Aperta, 2022,   pag. 702

 

COD: 018-91 Categoria:

Descrizione

Diritto, legislazione e libertà è il risultato di una lunga gestazione. In ordine di tempo, è l’ultima delle grandi opere di Friedrich A. von Hayek. Il suo scopo è individuare l’habitat normativo e istituzionale che consente la cooperazione tra soggetti non sottoposti a una gerarchia obbligatoria di fini e che possono liberamente decidere i contenuti delle proprie azioni. Di qui l’importanza del diritto, ovvero delle norme di «giusta condotta», e la reiterata preoccupazione nei confronti di quella produzione legislativa che, prescrivendo il raggiungimento di specifici obiettivi, restringe o impedisce la scelta individuale. Non diversamente da tutti gli altri lavori hayekiani, l’opera ha come sua premessa gnoseologica la nostra condizione di ignoranza e fallibilità.

1 recensione per F.A. HAYEK, Diritto, legislazione e libertà

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Carlo Zucchi

    Opera composta di tre volumi: Regole e ordine del 1973, Il miraggio della giustizia sociale del 1976 e il sistema politico di un popolo libero del 1979. Il titolo dell’opera completa risale al 1982. Nella prima parte, Hayek critica la dottrina razionalistica cartesiana, secondo la quale per azione razionale si intende soltanto quel tipo di azione interamente determinata da verità note e dimostrabili. Conseguenza di tale assunto è un approccio costruttivistico ai fenomeni sociali, ossia quell’approccio secondo il quale ogni istituzione che risulta vantaggiosa per una comunità è il risultato di una progettazione deliberata e consapevole. Al contrario, Hayek ritiene che “l’ordine istituzionale della società, il quale ha grandemente ampliato le possibilità di successo dell’azione individuale, non fu dovuto soltanto a istituzioni e modi di agire inventati e progettati per tale fine preciso, ma fu dovuto in gran parte ad un processo evoluzionistico”. In particolare, Hayek distingue tra ordini spontanei e organizzazioni, dove i primi si formano ed evolvono sulla base di regole generali di condotta, a cui i membri di una comunità aderiscono in virtù dei vantaggi che ad essi arrecano al fine di una convivenza civile, mentre le organizzazioni sono enti formatisi in vista di finalità ben precise. Se le regole di un’organizzazione possono essere “progettate” secondo un approccio costruttivistico, poiché le finalità di un’organizzazione sono note in anticipo, così non è per un ordine spontaneo (quale può essere una società presente all’interno di una nazione), all’interno del quale sono presenti persone con finalità differenti e spesso antitetiche. In tal caso, la formazione delle regole deve seguire un approccio di tipo evoluzionistico basato sull’esperienza.

    Riguardo alla giustizia sociale, Hayek ritiene che in una società libera il bene generale consista principalmente nel facilitare il perseguimento di scopi individuali sconosciuti, e che la giustizia sia un attributo della condotta umana. Hayek non sostiene che tutte le norme di mera condotta osservate in una società siano leggi, né che quanto è generalmente definito diritto consista di norme di mera condotta, però sostiene che le norme di mera condotta sono generalmente proibizioni di condotta ingiusta. Le norme sono quasi tutte negative, nel senso che proibiscono invece di raccomandare particolari tipi di azione, e ciò per proteggere certe sfere di azione all’interno delle quali ogni individuo è libero di agire. Le norme di condotta, quindi, sono negative nel senso che normalmente non impongono obblighi a nessuno, a meno che qualcuno li contragga per le proprie azioni. Al contrario, il positivismo giuridico presuppone la creazione volontaria di tutto il diritto secondo la volontà del legislatore che non manca di invadere la sfera dell’individuo. Con il positivismo giuridico, quindi, il significato del termine “diritto” muta. Non è più un sistema di regole spontaneamente evolutosi per favorire la convivenza civile, ma è il frutto del capriccio del legislatore di turno, così, il termine giustizia sociale non sta a indicare gli sforzi organizzati per far osservare le regole di mera condotta individuale, ma sta a indicare ciò che i burocrati ritengono sia giusto e come essi vogliono che i “governati” vivano e quali valori i “governati” debbano professare. Mentalità, questa, tipica delle società tribali e gerarchiche i cui fini (spesso la sopravvivenza) sono predeterminati. Le grandi società , invece, non sono caratterizzate da fini particolari, per cui, a loro è più adatto il gioco della catallassi basato sugli scambi volontari operati nell’ambito del mercato, che consentono, seppur in maniera imperfetta, ad ognuno di cercare di perseguire i propri scopi individuali.

    Riguardo al sistema politico per un popolo libero, Hayek ritiene conveniente che la formazione delle norme generali di condotta debba sostanzialmente avvenire secondo i metodi della Common Law, mentre i parlamenti democraticamente eletti dovrebbero legiferare solo in merito all’organizzazione degli uffici statali preposti a far rispettare l’ordine pubblico. Materia di azione legislativa dovrebbero essere le normative relative alle procedure operative a cui devono attenersi i tribunali e gli organi di polizia. La legislazione non dovrebbe occuparsi, quindi, delle norme generali di condotta, ma delle procedure per farle rispettare.

Aggiungi una recensione