Descrizione
Il dibattito plurimillenario sul prestito a interesse e quello sulla fissazione per legge di un tasso massimo di remunerazione del denaro trovano in questo scandaloso pamphlet del 1787 di Jeremy Bentham il picco ancora oggi insuperato per acutezza d’analisi e radicale libertà di pensiero.
«Nessun uomo adulto e sano di mente, che agisca liberamente e con gli occhi ben aperti, dovrebbe essere ostacolato, con riguardo al suo vantaggio, dal compiere le transazioni che egli ritenga opportune per ottenere denaro: né […] chiunque altro dovrebbe essere impedito dal fornirglielo nei termini a cui egli ritenga opportuno acconsentire.» Con queste parole Bentham porta alle estreme conseguenze il principio dell’autonomia negoziale, suggellando la fine del lento processo di erosione dell’interdetto giudaico-cristiano contro l’usura. Se la svolta calvinista aveva legittimato la pratica del prestito a interesse, non era stata però seriamente contestata la necessità di un limite massimo al saggio d’interesse. Limite legale che è privo di giustificazione – dice Bentham – come lo sarebbe imporre per legge un prezzo massimo nella compravendita dei cavalli. Limite che, fra l’altro, non è uno strumento adeguato né per evitare lo sperpero del denaro da parte dei prodighi e degli oziosi né per evitare i deleteri fenomeni di strozzinaggio. In una prosa piacevolissima e chiara, il filosofo inglese dà un saggio esemplare di linearità argomentativa che sarà di modello per i grandi rappresentanti della ortodossia liberista francese di metà Ottocento, come Bastiat e de Molinari.
Libreria del Ponte –
Recensione di Carlo Zucchi
Di tutti i pregiudizi anti-commerciali e “danarofobi”, quello nei confronti dell’usura sembra il più difficile da sconfiggere. “Nessun uomo adulto e sano di mente che agisca liberamente e con gli occhi ben aperti, dovrebbe essere ostacolato, con riguardo al suo vantaggio, dal compiere le transazioni che egli ritiene opportune per ottenere denaro: né […] chiunque altro dovrebbe essere impedito dal fornirglielo nei termini a cui egli ritenga opportuno acconsentire”. Con queste parole Bentham si scaglia contro il tabù del prestito a interesse, portando alle estreme conseguenze il principio dell’autonomia negoziale in polemica persino con Adam Smith.
Nel 1787, anno in cui viene pubblicata la “Defense of usury”, nei paesi in cui si era compiuta la riforma calvinista, la pratica del prestito a interesse aveva ricevuto piena legittimazione dal legislatore, eccetto per il limite legale relativo al tasso di interesse del prestito. Limite del tutto privo di giustificazione, come lo sarebbe imporre per legge un prezzo massimo nella compravendita dei cavalli, e del tutto inadeguato, tra l’altro, per evitare sia lo sperpero di denaro da parte dei prodighi e degli oziosi, sia fenomeni di strozzinaggio.
Scritta durante la permanenza a Kricov, nella Russia Bianca, la Defense of usury riscuote un grande successo anche in virtù del fatto che proprio nel febbraio dell’anno successivo era stato presentato alla Camera dei Comuni irlandese un progetto di legge per abbassare il tasso di interesse dal 6% al 4%. Le argomentazioni di Bentham a favore di un tasso di interesse libero possono riassumersi in:
1) Inefficacia delle leggi, che vengono aggirate comunque, con conseguenze addirittura controproducenti;
2) Iniquità delle stesse, che discriminano senza fondamento a svantaggio dei prestatori;
3) Assurdità e incoerenza logica dei pregiudizi contro l’usura;
4) Funzionalità dell’usura libera e del rischio imprenditoriale allo sviluppo economico.
L’analisi dei rapporti tra l’usuraio e le tre classi di mutuatari (prodighi, poveri e ingenui) è volta a mostrare come il prestito a interesse – qualunque ne sia il tasso di mercato – non è dannoso, ma va inteso come una transazione necessaria e vantaggiosa tanto per chi offre, tanto per chi riceve la moneta. Inoltre, Bentham sostiene che è inaccettabile che la sfera pubblica si occupi di reprimere una pratica, le cui eventuali conseguenze negative ricadono unicamente sull’agente, e delle cui motivazioni questi è il giudice più competente.
Secondo Bentham, inoltre, le leggi contro l’usura discriminano ingiustamente il prestatore rispetto a tutti gli altri soggetti che guadagnano un profitto dalle loro attività. Il diritto dell’avaro ad accrescere le proprie sostanze è quindi basato sull’equity e non sulla fairness o sull’aristocratica largesse. La legislazione proibitiva in materia di prestiti, sostiene Bentham, è incoerente con il fondamentale principio dell’equità, poiché, mentre i diritti e le aspettative del debitore sono integralmente protetti, per non dire favoriti, quelli del prestatore non lo sono altrettanto.
Nella lettera XIII indirizzata ad Adam Smith, Bentham sottolinea come un libero mercato finanziario (senza alcun limite legale al tasso di interesse) sia la condizione ottimale per promuovere l’innovazione. Mentre Adam Smith sosteneva che la fissazione legale del tasso di interesse sui prestiti avrebbe scoraggiato i prestatori a finanziare progetti imprenditoriali “troppo avventurosi”, Bentham considerava la possibilità di sbagliare una caratteristica connaturata all’attività d’impresa, e potenzialmente “troppo avventuroso” qualsiasi progetto imprenditoriale in quanto portatore di rischio. Questo pamphlet dalla prosa chiara e piacevole, divenuto un classico della letteratura di fine ‘700, ha avuto quindi il coraggio di sfidare un pregiudizio che ancor oggi, a oltre due secoli di distanza, sopravvive. Chi volesse addentrarsi nell’argomento con mente aperta e senza timore di “scandalizzarsi” troverà questo saggio un modello di logica argomentativa così come lo trovarono i grandi rappresentanti dell’ortodossia liberista di metà Ottocento come Bastiat e de Molinari.