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Cato’s Letters – JOHN TRENCHARD, THOMAS GORDON

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Antologia

Edizioni: Liberilibri   Anno: 1997   pag. 95

Il breviario dei rivoluzionari americani (prefazione di Carlo Lottieri)

COD: 018-89 Categoria:

Descrizione

Le “Cato’s Letters” (1720-25) di Thomas Gordon e John Trenchard furono il testo più diffuso e più letto fra i coloni americani di ogni strato sociale e costituirono il breviario laico delle libertà politiche, economiche, religiose, irrinunciabili per i cittadini della Nuova America. Nel loro costante richiamo alla assoluta necessità di porre rigorosi limiti al potere di ogni governo, i rivoluzionari americani rinvennero persuasivi argomenti storico-filosofici per legittimare la rivolta contro gli arbitri della madrepatria, contro la sua tirannia fiscale, la violazione delle libertà individuali, la coscrizione obbligatoria e permanente, la censura sulla stampa. Può sicuramente affermarsi che alla vastissima circolazione di questa opera devono molto la forte coscienza civile e la sempreviva componente libertaria dell’animo americano. Dalle “Cato’s Letters”, che rappresentano il trait d’union fra la tradizione politica di Algernon Sidney, John Locke, il radicalismo wigh e il libertarismo della Dichiarazione d’Indipendenza, ha tratto decisiva ispirazione quella corrente intellettuale libertarian(avversa allo Stato e ad ogni intervento pubblico sulla società) che va sempre più affermandosi nel contesto internazionale degli ultimi decenni. Esse dunque, oltre a essere un classico del pensiero libertario, hanno anche avuto il merito di tradurre una dottrina sulla società e sullo Stato in un efficace strumento di lotta.

1 recensione per Cato’s Letters – JOHN TRENCHARD, THOMAS GORDON

  1. Guglielmo Piombini

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    Recensione di Guglielmo Piombini

    Scritte tra il 1720-1725 da due intellettuali inglesi, John Trenchard e Thomas Gordon, le Cato’s Letters (che prendevano il nome da Catone il giovane, difensore della Repubblica Romana dall’ambizione di Giulio Cesare) divennero ben presto i testi che, insieme a Common Sense di Thomas Paine, maggiormente infiammarono gli animi dei coloni americani in lotta per l’indipendenza dall’Inghilterra.

    Tutti i temi principali delle Lettere ruotano intorno a quello che per gli americani del tempo era il valore più prezioso, la Libertà. Le astratte teorie filosofiche di John Locke, secondo cui i governi si reggono sul consenso dei governati e sono strettamente limitati alla protezione dei diritti naturali degli individui, divennero grazie a questi scrittori radicali un concreto programma politico. Locke aveva giustificato la legittimità della ribellione in tutti i casi in cui un governo si dimostrasse violatore delle libertà, ma Trenchard e Gordon fecero notare che il governo tende sempre, se non vincolato, a schiacciare i diritti individuali: «Sappiamo, attraverso infiniti esempi e per esperienza, che gli uomini ossessionati dal potere, piuttosto che rinunciarvi farebbero, per averlo, qualsiasi cosa, anche la peggiore e la più terribile…E’ la natura stessa del potere a farlo sempre più usurpatore…In tutti i conflitti tra Libertà e Potere, quest’ultimo è stato quasi sempre l’aggressore».

    Oltre alla necessità di porre rigorosi limiti all’azione dei governi, Trenchard e Gordon difesero a spada tratta la proprietà privata e il libro commercio. La proprietà è infatti il miglior sostegno allo spirito d’indipendenza dei cittadini. Nelle dispotiche monarchie orientali, dove tutto è di proprietà del principe, i sudditi difficilmente decidono di ribellarsi agli arbitri del Sovrano, perchè ogni loro avere lo devono alla sua generosità, e a lui guardano quasi come a un benefattore. Questa situazione, così tipica anche degli Stati socialisti o assistenziali di oggi, tende invece a non stabilirsi nelle società in cui la proprietà sui frutti del proprio lavoro è ritenuta sacra, poichè «ogni volta che gli uomini sono in possesso di qualcosa che chiamano propria, e pensano di avere un diritto a goderne, essi combattono sempre per questo quando hanno i mezzi per farlo e approfittano di ogni difficoltà negli affari del proprio principe per conseguire quel diritto».

    Come fa poi notare Carlo Lottieri nella sua ottima prefazione, l’esaltazione che Trenchard e Gordon fanno del libero commercio anticipa un caratteristico tema del moderno pensiero liberale e federalista: la concorrenza tra le istituzioni politiche, favorita dallo spostamento dei cittadini verso ordinamenti meno oppressivi dal punto di vista fiscale e burocratico.

    Scrivono infatti i due autori: «qualunque Stato dia più incoraggiamento ai propri sudditi di quanto non facciano gli Stati vicini, e trovi loro più lavoro, dia maggiori ricompense per quel lavoro, e grazie a tutti questi lodevoli modi renda la condizione umana più agevole che altrove, e assicuri meglio la vita e la proprietà, quello Stato attirerà gli abitanti dei paesi vicini; e quando essi saranno lì, si moltiplicheranno più rapidamente, essendo maggiormente ricchi e sicuri».

    Fu insomma in pagine come queste che i coloni americani trovarono convincenti argomenti per reagire alla tirannia della madrepatria, alla sua oppressione fiscale, alle limitazione della libertà personale, alla censura sulla stampa, alla coscrizione obbligatoria, alla presenza di eserciti permanenti.

    Nell’America di fine ‘700 le idee liberali e libertarie, che troveranno le propria più completa espressione nella Dichiarazione d’Indipendenza, avevano trionfato sia tra le élite che tra la gente comune come mai era successo nella storia. Nessun popolo aveva ridotto ai minimi termini il proprio apparato di governo come i cittadini della neonata Repubblica americana. Ha scritto lo storico Bernard Bailyn: «La concezione del potere come male, necessario ma pur sempre un male; che è infinitamente corruttore; che pertanto va controllato, limitato, ristretto in ogni maniera compatibile con un minimo di ordine civile. Costituzioni scritte; separazione dei poteri; carta dei diritti; vincoli al potere esecutivo, legislativo e giudiziario; restrizioni al potere di intraprendere guerre; tutto ciò esprime la profonda diffidenza verso il potere che sta al cuore ideologico della Rivoluzione Americana, e che ci è rimasta come sua permanente eredità».

    E’ infatti da questa gloriosa tradizione che oggi traggono ispirazione tutti quei movimenti politici e intellettuali (autonomisti, federalisti radicali, libertari, anarco-capitalisti) che sono più inflessibilmente dediti alla causa della libertà.

     

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