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RECENSIONE DI LEONARDO FACCO
Non passa giorno in cui non venga sollevato il problema delle pensioni. Ogni volta che un qualche ciarlatano politico sostiene “non le toccheremo” arriva puntuale la manovra, la manovrina, la leggina, che mettono mano alle giubilazioni.
Dal 1992, il sistema ha iniziato a mostrare i sintomi del default e da allora non esiste lavoratore che abbia certezza del suo futuro. Quando pensi di essere ad un passo dalla giubilazione, spostano la meta un poco più in là, con la scusa che l’aspettativa di vita è aumentata (cosa che si conosceva da tempo). Tutto ciò è la conseguenza di un modello che ha queste caratteristiche:
1- E’ immorale. Lo Stato fa promesse che puntualmente non mantiene.
2- E’ ingiusto. Illude i giovani che in futuro avranno una pensione.
3- E’ demenziale. Essendo fondato su economie a debito non può che finire col fare default.
4- E’ illusorio. Ha fatto credere – con la complicità vergognosa dei parassiti sindacali – che tutti potessero, anzi dovessero, vivere al di sopra delle proprie possibilità.
Nel 2000, quando pubblicai il libro “Pensioni, un affare privato” di Josè Piñera, il libro apriva con queste parole.
«Un fantasma si aggira per il pianeta. E’ il fantasma del fallimento dei sistemi pensionistici pubblici. Il sistema redistributivo delle pensioni che ha prevalso durante tutto questo secolo ha un difetto fondamentale, originato dall’erronea concezione del comportamento umano: distrugge il rapporto tra contribuzione e benefici, in altre parole, tra responsabilità e diritti. Quando questo accade in un sistema di massa e per un lungo periodo il risultato finale è un disastro.
Due fattori esogeni aggravano I risultati di questo errore strutturale. Innanzitutto, la tendenza demografica mondiale verso una riduzione delle nascite e, secondariamente, il progresso della medicina che allungano la vita delle persone. Quindi, più passa il tempo, e meno saranno i lavoratori attivi rispetto al numero dei pensionati. Dato che tanto l’innalzamento dell’età pensionabile quanto quella del numero delle pensioni ha un limite, prima o dopo il sistema è costretto a ridurre I benefici finali promessi, segnale indiscusso di un sistema che si avvia alla bancarotta.
Anche se si riducono i benefici pensionistici mediante l’inflazione, come accade nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, o mediante apposite leggi, il risultato finale per il lavoratore pensionato è lo stesso: incertezza per le persone anziane creata, paradossalmente, proprio causa l’insicurezza di quel sistema che è chiamato di “stato sociale”. Nel 1980, il governo cileno decise di “prendere il toro per le corna”. Una riforma radicale sostituì un sistema pensionistico pubblico con un sistema di capitalizzazione individuale amministrato da imprese private.
A distanza di una ventina d’anni da quella scelta, I risultati parlano da soli. Le pensioni nel nuovo sistema privato sono tra il 50 % e il 100% più alte di allora. Le risorse amministrate tramite I fondi pensione sono pari a 25 miliardi di dollari, ovvero circa il 40% del Pil (Prodotto interno lordo). Di più: con il miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro e del capitale, il nuovo sistema pensionistico s’è dimostrato una riforma chiave che ha contribuito alla crescita dell’economia da un 3% annuale fino ad 7% corrispondente agli ultimi dodici anni. Inoltre, il tasso di risparmio cileno è aumentato fino al 27% del Pil, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 5% da quando questa riforma e’ stata realizzata.
Le pensioni hanno smesso di essere un problema del governo, spoliticizzando, in questo modo, un importante settore dell’economia e permettendo agli individui di avere maggiore controllo sulle loro vite. Il difetto strutturale di cui parlavamo all’inizio è stato eliminato e il futuro delle pensioni cilene dipende solo dal comportamento individuale della gente e dallo sviluppo dei mercati».
Oggi, siamo arrivati al dunque, causa l’arrivo della crisi dei debiti sovrani (peraltro anch’essa prevista da tutti gli economisti di scuola austriaca). A furia di rimandare, il tempo è scaduto. Ve lo avevamo detto che vi avrebbero fottuto!
12 settembre 2011
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