Luigi Marco Bassani – Chaining Down Leviathan

 27,00

The American Dream of Self-Government: 1776-1865

Prima della guerra civile l’America ha conosciuto l’età dell’oro della libertà

  • Editore ‏ : ‎ Abbeville Institute Press (28 marzo 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Inglese
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 380 pagine

Descrizione

As a distinguished historian of political thought at the University of Milan, Italy, Professor Marco Bassani brings a cosmopolitan perspective to the study of American political thought unencumbered by such self-congratulatory myths as “American exceptionalism.” He views America as an extension of European civilization. Having unleashed the modern state upon the world, Europeans now had the problem of how to control its inherent disposition to centralize power. In this they failed.

This was not the case with the American founding. Whereas Europeans were burdened with heavy taxation, debt, and stood in fear of large standing armies, Americans, after 1800, paid no inland federal taxes, and by 1835 the national government was out of debt. By 1860, the national government had actually diminished in power to tax, spend, and incur debt from what it could do in 1790–while central power in modern European states grew continuously during that period. Yet Americans fought two major wars, built the industrial revolution, and more than tripled its territorial size. Bassani explains how the Constitution made this possible and how it was derailed by Lincoln’s decision to invade and conquer eleven states that had lawfully voted to secede, rather than negotiate a separation.

A combined majority of the House and Senate today is 269 (or 136 if both use a quorum). These small numbers will spend close to $5 trillion this year. Never has so much financial power been put in the hands of so few. Bassani’s study shows that this did not have to happen.

1 recensione per Luigi Marco Bassani – Chaining Down Leviathan

  1. Dave Benner

    Come ha fatto l’America a diventare il Paese il più ricco e libero del mondo, con un governo “forte ma limitato”? E’ questa è la domanda centrale che Luigi Marco Bassani affronta nel suo nuovo lavoro, Chaining Down Leviathan: The American Dream of Self-Government, 1776-1865. Bassani è un eminente studioso che ha studiato a lungo l’America prima della guerra civile, il conflitto tra il potere nazionale e quello locale, e la tradizione jeffersoniana. Combinando tutti questi argomenti in un’unica opera, Bassani chiarisce le dinamiche del potere politico nella prima repubblica.

    Come si scopre, il quadro federale e decentralizzato che caratterizzava la struttura politica americana era il suo carattere più distintivo: un aspetto che è spesso ignorato o minimizzato dai contemporanei. “L’età dell’oro del federalismo e della libertà federale”, come dice Bassani, risultò dalla moltitudine di società autogestite che componevano l’unione federale, le quali disponevano tutte di una pretesa plausibile a sfidare le imposizioni del governo federale. Ogni comando dell’autorità centrale, scrive Bassani, “era soggetto ad essere contrastato e contenuto in una rete di contro-rivendicazioni concorrenti”.

    Fin dall’inizio, l’autore offre al lettore un’interpretazione del periodo antecedente alla guerra civile molto diversa da quella abituale. Piuttosto che prendere per buone tutte le tesi dei sostenitori federalisti della Costituzione, Bassani dà maggior credito a quelli che si opposero al sistema: “I veri difensori del sistema federale furono coloro che si opposero al progetto di costituzione, i quali hanno pieno diritto di stare sullo stesso piano dei loro avversari nella storia del pensiero politico americano”. Con questa affermazione, Bassani si distacca nettamente dalla visione prevalente.

    Nella tradizione di Montesquieu, gli antifederalisti erano realisti politici che dubitavano che una repubblica potesse sopravvivere a lungo su un territorio così vasto come il Nord America. Temevano inoltre che ben presto si sarebbero sviluppati un esecutivo forte, un sistema giudiziario nazionale, un apparato di applicazione della legge centralizzato e un sistema uniforme di tassazione per opprimere gli Stati nascenti. Erano favorevoli a sistemi di rappresentanza di tipo repubblicano, ma dubitavano che il Congresso sarebbe mai stato veramente rappresentativo a sufficienza. Per questo motivo fecero persino dei tentativi in diversi Stati, come New York, per rendere il rapporto tra elettori e rappresentanti maggiore di quello stabilito per la Camera dei Rappresentanti. Sotto questo aspetto, Bassani dimostra che gli Antifederalisti previdero correttamente la traiettoria che avrebbe preso il governo nazionale.

    La cosa più interessante è la dimostrazione che gli antifederalisti non erano affatto quegli anarchici fanatici descritti dai federalisti. Cercavano invece di emendare gli Articoli della Confederazione sostenendo, nello stesso tempo, un governo costituzionale. Piuttosto che reinventare il sistema costituzionale, Bassani dimostra che il gruppo che si oppose alla proposta della Convenzione di Filadelfia lo fece in base agli stessi principi per i quali fu combattuta la Rivoluzione Americana: preservare l’autonomia locale dalle invasioni del governo centrale.

    Andando oltre il periodo della fondazione, Bassani racconta magistralmente le origini dei “Principi del ’98”, la strategia di Thomas Jefferson e James Madison per combattere l’usurpazione federale sui poteri riservati agli Stati. Secondo Jefferson e Madison, ogni Stato – in quanto creatore del patto federale – poteva determinare in ultima istanza se quell’accordo era stato violato. Per estensione, ogni Stato poteva annullare o ostacolare attivamente l’applicazione delle leggi incostituzionali. Secondo il ragionamento dei due virginiani, concedere unilateralmente alle corti federali questo potere avrebbe permesso al governo centrale di crescere gradualmente per opprimere e subordinare gli Stati. Per evitare questo esito, nel 1798 i due uomini elaborarono una serie di risoluzioni per la Virginia e il Kentucky , che tenevano una posizione ferma contro gli Alien and Sedition Acts del 1798. Nei decenni successivi, gli atti controversi furono lasciati scadere e l’amministrazione Adams e i federalisti in generale furono estromessi dal potere, ma gli scontri tra il governo centrale e gli stati continuarono.

    Una delle parti più impressionanti della narrazione di Bassani è il suo trattamento esaustivo degli eventi dimenticati che seguirono le orme della dottrina della nullificazione di Jefferson e Madison. Un esempio è il tentativo federale di coscrivere i minori durante la Guerra del 1812, un piano che produsse l’ostilità di tutto il New England. Politici di spicco della regione chiesero apertamente la secessione, mentre altri dissero che l’idea doveva essere almeno presa in considerazione. Alla fine, i delegati degli stati del nord-est si riunirono nel Connecticut per un incontro che divenne noto come la Convenzione di Hartford. Tutti gli Stati si fermarono prima di dichiarare la secessione, ma molti di loro ripresero gli argomenti di Jefferson e Madison per rendere la legge sulla coscrizione priva di autorità, nulla e senza effetto all’interno dei loro Stati. Se c’è un aspetto dell’opera che potrebbe scioccare i profani, penso che sia questo.

    In un’altra invocazione della nullificazione e dell’autodeterminazione, Bassani racconta la Crisi di Nullificazione del 1832 e le sue implicazioni nel conflitto tra il potere federale e quello statale. Come rivela l’autore, John Calhoun giustificò l’opposizione della Carolina del Sud alla tariffa federale sulle stesse basi del credo politico di Jefferson e Madison. I più accesi chiedevano la secessione nella Carolina del Sud, mentre Calhoun si dimise dalla vicepresidenza in opposizione ad Andrew Jackson, e difese la nullificazione come un mezzo felice che avrebbe mantenuto il suo stato nell’unione pur opponendosi a quella che considerava una sfacciata usurpazione costituzionale. Nel corso dell’episodio, Bassani esplora i particolari dell’argomentazione legale di Calhoun in modi che sfidano il modo in cui l’eminente caroliniano del Sud viene oggi caricaturizzato.

    Nel penultimo capitolo del libro, Bassani descrive Abraham Lincoln, “l’araldo dello Stato moderno”, come il vero artefice di una nuova e reinventata struttura politica americana. Anche prima dell’ascesa di Lincoln alla presidenza, l’autore rivela che Calhoun aveva predetto nel 1850 che l’unione era “destinata alla dissoluzione” nell’arco di “dodici anni o tre mandati presidenziali”. Bassani dimostra che dal suo primo discorso inaugurale in poi, Lincoln – come rampollo del nazionalismo hamiltoniano – sovvertì la struttura federale in favore di un unico e omogeneo stato-nazione. In netto contrasto con la percezione degli Stati che avevano ratificato la Costituzione, il figlio prediletto dell’Illinois dipinse l’unione come un’istituzione inflessibile, eccezionale e semisacrale. Come nota l’autore, questa percezione negava inequivocabilmente il costrutto jeffersoniano di una lega di Stati utilitaristica e decentralizzata.

    Lungi dall’essere il “Grande Emancipatore”, come viene talvolta chiamato, Lincoln sostenne un emendamento costituzionale che avrebbe impedito al governo federale di limitare o porre fine alla schiavitù per sempre. Inoltre, sotto la sua direzione il governo federale continuò ad applicare il dispotico Fugitive Slave Act del 1850 molto tempo dopo l’inizio della guerra, chiuse un occhio sulla schiavitù negli stati rimasti fedeli all’unione e rimproverò il generale John Fremont quando tentò di attuare una completa emancipazione nel Missouri conquistato.

    Più significativamente, Bassani illustra con arte il modo in cui Lincoln, nel perseguimento del suo credo di “unione perpetua”, ignorò l’intento originale della Costituzione. In effetti, Lincoln imprigionò centinaia di editorialisti del nord che criticavano la sua amministrazione, sospese l’habeas corpus, mise i membri della legislatura del Maryland agli arresti domiciliari in modo che non potessero riunirsi, iniziò un sistema di coscrizione per la prima volta nella storia americana, istituì un’imposta sul reddito e, quando il Congresso non era in sessione, convocò universalmente un esercito di settantacinquemila soldati per invadere il Sud. Pur insistendo che gli Stati del Sud non avevano il diritto di secedere, li trattò comunque come stati nemici indipendenti allo scopo di muovere guerra contro di loro. Ignorando la costituzione originariamente ratificata, quindi, Lincoln inaugurò una nuova era di consolidamento politico.

    Con Chaining Down Leviathan, Bassani ha messo insieme una delle più complete e convincenti difese del federalismo nell’era antebellica e, così facendo, ha demolito le narrazioni prevalenti della storia americana. La cosa più importante è che il libro rivela che il governo decentralizzato e i diritti degli Stati erano tutt’altro che strategie politiche reazionarie successive alla ratificazione della costituzione: erano invece le pietre miliari del sistema politico americano. Da ogni punto di vista, l’autore rivela che fu il modello nazionalista dell’unione – piuttosto che la controparte federale – a rappresentare una la controrivoluzione rispetto al patto federale tra Stati. Se non altro, l’istruttivo resoconto di Bassani pianta il chiodo finale sulla bara del nazionalismo americano.

    Pubblicato originariamente su Mises.org il 31/08/2021

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