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MICHAEL HUEMER – Il problema dell’autorità politica

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Un esame del diritto di obbligare e del dovere di obbedire

Liberilibri – 2015, Pagine 542

Il nuovo capolavoro della filosofia politica libertaria

 

Esaurito

COD: 018-1527 Categoria:

Descrizione

«Questo libro affronta il problema fondamentale della filosofia politica: il problema della giustificazione dell’autorità dello Stato. Ho sempre considerato sconcertante tale questione. Perché 535 persone a Washington dovrebbero avere il diritto di dare ordini a 300 milioni di altre persone? E perché gli altri dovrebbero obbedire? Queste domande, come spiegherò, non trovano risposte soddisfacenti.» Michael Huemer

2 recensioni per MICHAEL HUEMER – Il problema dell’autorità politica

  1. Alessio Piana

    Recensione di Alessio Piana

    Il libro è diviso in due ampie sezioni.

    Nella prima sezione l’autore, attraverso il ricorso a esempi concreti, analizza e mostra l’inconsistenza del principio di autorità politica, basato su un implicito “contratto sociale” che obbligherebbe moralmente i cittadini a obbedire a una autorità investita del potere di regolamentare le loro vite. In questo senso il libro tiene fede al titolo: “Il problema dell’autorità politica: un esame del diritto di obbligare e del dovere di obbedire”.

    Nella seconda sezione viene approfondita l’organizzazione della società anarco-capitalista come proposta alternativa radicale, e migliore, rispetto all’attuale democrazia rappresentativa. Dopo aver smontato i falsi miti sulle virtù della moderna democrazia e averne evidenziato gli aspetti intrinsecamente ingiusti, pericolosi e illiberali, l’autore esamina i vantaggi che derivano da un sistema di libero mercato, concorrenziale e volontario, di servizi offerti al cittadino nei settori della protezione, della giustizia, della produzione legislativa e dell’amministrazione politica, in contrapposizione ai difetti e alle storture intrinseche del sistema statale monopolistico e coercitivo.

    Qualche tempo fa un mio amico non libertario commentò così un mio post anarchico su Facebook: “Non sei obbligato a rimanere in Italia. Se non accetti le regole dello stato puoi anche andare via”. Questo tipo di obiezione è ricorrente, mi è stata fatta molte volte. Nel suo straordinario libro “Il problema dell’autorità politica. Un esame del diritto di obbligare e del dovere di obbedire” il filosofo libertario Michael Huemer esamina, tra le tante cose, i fondamenti della teoria del “contratto sociale implicito” che conferirebbe alle istituzioni di governo il diritto di dare ordini (legittimità dell’autorità politica) e ai cittadini l’obbligo di obbedire a tali ordini (obbligo politico); e conclude che l’obiezione “se vuoi puoi anche andartene da questo paese” non ha fondamento (poiché vìola le condizioni degli accordi validi).
    Ma l’autore fa molto più di questo: partendo da premesse morali ritenute ovvie e condivisibili da chiunque, le applica all’autorità politica e giunge con il ragionamento logico a conclusioni assai meno ovvie: non conferiscono ai governi alcuna legittimità. Nella seconda parte del libro Huemer discute se e come può funzionare una società senza una autorità centrale di governo. Il libro consta di oltre cinquecento pagine dense di riflessioni sulle implicazioni morali dell’autorità politica.

    PS. Mi piace sempre citare questo passaggio del libro di Huemer: “La mia filosofia politica è una forma di anarchia. La maggioranza delle persone sembra convinta che l’anarchia sia una sciocchezza, un’idea che può essere confutata in trenta secondi con una riflessione minima. Questo era pressappoco anche il mio atteggiamento prima di saperne qualcosa. Coloro che adottano questo atteggiamento non hanno la minima idea di cosa pensano in realtà gli anarchici, di come pensano che la società dovrebbe funzionare o di come rispondono ai trenta secondi di obiezioni”.

    (16/06/2018)

  2. Guglielmo Piombini

    Recensione di Guglielmo Piombini

    Il Problema del’autorità politica. Un esame del diritto di obbligare e del dovere di obbedire di Michael Huemer (Liberilibri) è un capolavoro di filosofia politica destinato a diventare un classico del pensiero libertario. L’autore insegna filosofia all’Università del Colorado e si definisce un “estremista ragionevole”. Le sue riflessioni, infatti, prendono l’avvio da premesse condivise da tutti, ma giungono a conclusioni radicali. Con uno stile chiaro e pacato Huemer dimostra che solo una società anarco-capitalista è compatibile con le convinzioni morali più comuni.

    Il problema centrale affrontato nel libro è quello della giustificazione dell’autorità politica. Per quale motivo, si chiede Huemer, 535 persone a Washington hanno il diritto di dare ordini a 300 milioni di altre persone? E perché gli altri devono obbedire?

    E per quale ragione, potremmo chiederci noi, 945 personaggi di dubbia levatura morale e intellettuale riuniti a Roma possono comandare su 60 milioni di persone che abitano la penisola italica? Secondo Huemer nessuna filosofia politica, tra quelle più accreditate, riesce a dare una risposta soddisfacente a queste domande.

    Non esiste alcun contratto sociale

    Stando alla teoria più diffusa, esisterebbe un patto tra lo Stato e i cittadini in base al quale il primo si impegna a fornire alcuni servizi pubblici e i secondi a rispettare le leggi e a pagare le tasse. I moderni teorici del contratto sociale spiegano che si tratta di un accordo implicito, tacitamente approvato dagli individui con il proprio comportamento anche se non l’hanno realmente sottoscritto. Huemer riesce però facilmente a dimostrare che, nel caso del contratto sociale, non ricorrono nemmeno le condizioni minime richieste per la validità di un contratto tacito, a partire dall’eccessiva onerosità e dall’impossibilità di recesso.

    Huemer demolisce anche la variante del contratto sociale elaborata da John Rawls, secondo cui gli attuali sistemi socialdemocratici sarebbero il risultato di una ipotetica contrattazione tra individui razionali posti in una posizione originaria di assoluta uguaglianza. Il celebrato filosofo di Harvard tuttavia non ha spiegato le ragioni per cui tutti coloro che partecipano all’accordo iniziale dovrebbero essere favorevoli alla creazione di un governo statale con le caratteristiche a lui gradite. Niente, ad esempio, autorizza l’autore di Una teoria della giustizia a escludere, tra le persone ragionevoli che si trovano a discutere nella posizione originaria, coloro che non vogliono sottostare a nessun governo, come gli anarchici.

    Huemer critica anche il linguaggio filosofico contorto, asettico e da iniziati, usato da Rawls e da molti suoi colleghi. Il “filosofese” ha la funzione di ammorbidire gli ostacoli emotivi all’accettazione dell’autorità dello Stato e incoraggiare atteggiamenti di rispetto e di sottomissione alle istituzioni di potere. Serve ad agghindare con abiti sobri e civili la discussione su chi dovrebbe essere sottoposto a violenza.

    Hobbes aveva torto

    Un argomento di tipo più utilitarista afferma che se molti cittadini si rifiutassero di obbedire alle leggi e di pagare le tasse lo Stato crollerebbe lasciando la società nel caos più completo. Il risultato, secondo la spaventosa descrizione dello stato di natura fatta da Thomas Hobbes, sarebbe la guerra costante di tutti contro tutti. Non ci sarebbero industria, commercio o cultura, perché ognuno cercherebbe di depredare il prossimo e vivrebbe con la paura costante di una morte violenta. L’autorità politica è dunque giustificata dalla necessità di impedire le terribili conseguenze derivanti dall’assenza di un governo.

    Questo scenario catastrofico sembra però poco realistico, anche perché non è facile portare degli esempi storici a suo sostegno. Le famiglie e gli individui che convivono in aree isolate, lontane dalle istituzioni governative, normalmente non si comportano nel modo ipotizzato da Hobbes. In tali circostanze aggredire i propri vicini per rapinarli sarebbe un comportamento veramente illogico. I rischi di attaccare qualcuno dotato di una forza analoga alla propria superano di gran lunga i benefici, perché l’aggredito o i suoi famigliari potrebbero difendersi o reagire in ritorsione. Gli atteggiamenti violenti inoltre suscitano la diffidenza degli altri abitanti, che adotterebbero misure preventive.

    La verità è che, con buona pace di Hobbes, la maggior parte degli esseri umani non è sociopatica, ma desidera vivere in pace col prossimo. La grande maggioranza delle persone ha forti obiezioni morali e forti sentimenti negativi nei confronti della violenza e del furto, e quando la prudenza e la morale puntano verso la stessa direzione, osserva Huemer, praticamente tutti sceglieranno quel percorso.

    Prendiamo un esempio moderno, quello del Far West americano. Il 98 per cento degli uomini del West lavoravano duramente tutto il giorno, e mai si sarebbero sognati di attaccare il prossimo. Malgrado l’assenza dello Stato, i fuorilegge non superavano il 2 per cento della popolazione, e quasi mai riuscivano a farla franca. Il maggior storico della Frontiera, Frederick Jackson Turner, ha giudicato “miracoloso” il modo pacifico con cui vennero colonizzati gli immensi spazi dell’Ovest americano. La ragione è chiara: poiché quasi tutti erano armati, non vi era nessuno dotato di una superiorità tale da poter attaccare il prossimo senza correre rischi personali. Nel West la rivoltella Colt veniva chiamata, giustamente, “la grande equalizzatrice”.

    Il principio strategico generale, spiega Huemer, è che l’uguaglianza di potere genera il rispetto. Nessuna persona razionale ha interesse a entrare in un conflitto violento con avversari che hanno la stessa forza. Le probabilità di perdere il conflitto sono troppo alte. Anche il vincitore apparente, probabilmente, starà peggio che all’inizio del conflitto, perché il danno causato dal combattimento è quasi sempre maggiore del valore delle risorse che vengono contese. Per queste ragioni gli individui ragionevoli, se non sono costretti, combattono solo battaglie difensive.

    L’esistenza dello Stato crea invece un grande squilibrio di potere a favore di alcuni individui, eccitandone i desideri predatori. La presenza all’interno alla società di un’organizzazione enormemente più forte di tutte le altre toglie a coloro che ne fanno parte ogni timore dettato dalla prudenza. I membri dello Stato sanno di non correre alcun rischio di ritorsione, e possono quindi opprimere le proprie vittime in totale sicurezza. All’opposto di quanto pensava Hobbes, è la concentrazione di potere che genera l’abuso.

    Le responsabilità morali degli agenti dello Stato

    huemer_bannerNon è un caso che tutti i grandi crimini di massa siano stati organizzati e portati a termine da un’autorità politica. L’esperienza storica e diversi esperimenti psicologici condotti nelle università americane hanno dimostrato che le persone sono molto più disposte a violare le comuni norme morali quando glielo ordina l’autorità. Infatti, che si tratti dell’agente della polizia segreta che tortura l’oppositore politico o del funzionario di Equitalia che rovina l’imprenditore inducendolo al suicidio, i persecutori giustificano sempre il proprio operato richiamandosi al rispetto dell’autorità. Le frasi tipiche sono: eseguivo gli ordini, facevo rispettare la legge.

    Per il giovane filosofo del Colorado queste azioni non hanno scusanti. I funzionari statali non dovrebbero mai eseguire ordini ingiusti: un soldato dovrebbe rifiutarsi di combattere una guerra ingiusta; un poliziotto dovrebbe lasciare in pace una persona perseguitata da norme arbitrarie; un giudice dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per piegare il risultato a favore dell’imputato accusato da leggi inique, assolvendolo o infliggendogli la pena minima possibile. I dipendenti statali che si trovano regolarmente, per le esigenze del proprio lavoro, a prendere parte all’ingiustizia (prendiamo il caso dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate che, come ha denunciato Luciano Dissegna, si arricchiscono rovinando interi settori produttivi) dovrebbero dimettersi e cercare una professione più giusta.

    Il fatto che questi dipendenti rischino il licenziamento nel caso non applichino la legge è irrilevante. Supponiamo, ipotizza Huemer, che io ordini al mio autista di fermarsi e picchiare un bambino per strada, minacciandolo di licenziamento nel caso non esegua l’ordine. Se l’autista scende e malmena il bambino, non può discolparsi dicendo “Sto solo facendo il mio lavoro. Non faccio io le regole”. L’autista dovrebbe rifiutare tali ordini, anche se ciò ha come risultato di perdere il suo lavoro, e lo stesso vale per il funzionario di Stato.

    Purtroppo queste raccomandazioni di Huemer non vengono quasi mai eseguite. Gli impiegati statali di solito fanno rispettare qualsiasi politica, giusta o ingiusta, venga loro ordinata. Non importa quanto uno Stato sia illegittimo, violento, ladro o corrotto: esiste quasi sempre un ampio numero di dipendenti pubblici pronti a sostenerlo. Questi zelanti impiegati non possono andare esenti da colpe, se non hanno fatto abbastanza sforzi per scoprire dove sta il loro vero dovere morale. Quando cade il sistema politico per cui lavorano, dovrebbero salire sul banco degli imputati.

    Se la legittimità dell’autorità statale è dubbia o indimostrabile, allora la disobbedienza agli ordini del governo è giustificata molto più spesso di quanto non sia generalmente riconosciuto. Secondo Huemer sfidare le leggi ingiuste non è mai sbagliato. Non rispettarle in privato è perfettamente accettabile, e sfidarle in pubblico, come fa ad esempio Giorgio Fidenato, è un atto di coraggio encomiabile. Tuttavia la disobbedienza non è moralmente obbligatoria quando appare troppo temeraria. Vista la severità e la credibilità delle minacce comunemente lanciate dallo Stato nei confronti dei trasgressori della legge, scrive Huemer, nella maggioranza dei casi la sfida è troppo azzardata, come sarebbe imprudente, quando un rapinatore ti punta addosso una pistola, rifiutarti di consegnare il portafogli. Ma non è eticamente sbagliato.

    La psicologia dell’autorità e la Sindrome di Stoccolma

    Anche per ragioni psicologiche, la sottomissione allo Stato è molto più frequente della disobbedienza. Huemer fa notare che i cittadini sono soggetti a sviluppare nei confronti dello Stato gli stessi sintomi delle persone colpite dalla Sindrome di Stoccolma, quello sconcertante meccanismo psicologico, osservato numerose volte e dettato forse dall’istinto di sopravvivenza, che porta gli ostaggi a solidarizzare con i rapitori.

    Infatti, quando una persona è completamente assoggettata a un’altra e non ha alcuna possibilità di fuga, l’unica sua speranza di salvezza consiste nel creare un rapporto di amicizia con il proprio sequestratore. Inconsapevolmente la vittima del sequestro finisce per sviluppare un sentimento di simpatia verso il proprio carnefice, e si illude di vedere in lui dei segni di gentilezza, anche solo sotto forma di mancanza di abusi.

    In maniera del tutto analoga, molte persone tartassate, maltrattate o angariate dallo Stato continuano a pensare, a dispetto dell’evidenza contraria, che il proprio Stato sia fondamentalmente buono perché offre qualche servizio, per quanto scadente, o perché non abusa del proprio potere quanto altri Stati nella storia.

    L’obiettivo libertario: la condanna universale dello Stato e della tassazione

    La depredazione e lo sfruttamento, conclude Huemer, non si verificano solo perché gli esseri umani sono egoisti. Sono necessarie due condizioni: l’egoismo individuale, eil fatto che alcuni individui siano molto più potenti di altri. Le soluzioni stataliste a questo problema sono sbagliate perché rafforzano la condizione stessa che con più probabilità causa il comportamento predatorio: la concentrazione del potere. Occorre invece percorrere la via opposta, favorendo la più estrema decentralizzazione del potere.

    Nella seconda parte del libro l’autore spiega nei dettagli come potrebbe funzionare una società priva di un governo centralizzato. La sua proposta coincide in larga misura con il modello anarco-capitalista descritto da Murray N. Rothbard o Hans-Hermann Hoppe: la protezione dovrebbe essere fornita da agenzie private di vigilanza in concorrenza tra loro; la giustizia da arbitri scelti dalle parti; le strade e altre opere pubbliche da associazioni di proprietari come nelle città private americane. Non dovrebbero esserci organi legislativi, perché la Legge emergerebbe dai contratti tra privati, dalle consuetudini o dalle sentenze pronunciate dai giudici sui singoli casi, come nella common law.

    Huemer è convinto che prima o poi questa società sarà realizzata, perché intravede nel cammino dell’umanità uno sviluppo intellettuale coerente con un movimento nella direzione dell’anarco-capitalismo. Le generazioni future probabilmente troveranno scontate cose che oggi molti hanno difficoltà a vedere. La risposta negativa alla domanda“Esiste un gruppo speciale di persone con il diritto di utilizzare minacce di violenza per costringere tutti gli altri a obbedire ai loro ordini, anche se questi sono sbagliati?” potrà sembrare talmente ovvia da non meritare neanche una discussione.

    La condanna universale della tassazione, in quanto istituzione malvagia e degradante,potrebbe rappresentare una conquista di civiltà paragonabile al rifiuto della schiavitù. La tassazione infatti autorizza alcuni individui, proprio come nei sistemi schiavistici, ad espropriare con la forza i frutti del lavoro di altri. Le persone ragionevoli dovrebbero riflettere su quanto sangue, dolore e violenza è costata all’umanità l’accettazione della pratica della tassazione. I giganteschi apparati fiscali, con i loro controlli asfissianti, le costrizioni, le intimidazioni e le confische non avvelenano forse l’intera vita sociale? Non sono pratiche indegne delle persone civili, come ha denunciato anche il filosofo tedesco Peter Sloterdijk? La risposta di Huemer sembra chiara: la sopravvivenza degli Stati e dei loro barbarici sistemi di tassazione appare sempre più incompatibile con il progresso morale dell’umanità.

    L’articolo NON ESISTE ALCUN CONTRATTO SOCIALE! E HOBBES AVEVA TORTO è apparso per la prima volta su MiglioVerde.

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