MICHAEL NOVAK – L’Impresa Come Vocazione

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 12,90

La vocazione spirituale dell’imprenditore

Edizioni: Rubbettino   Anno: 2000   pag. 273

COD: 018-71 Categoria:

Descrizione

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1 recensione per MICHAEL NOVAK – L’Impresa Come Vocazione

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Guglielmo Piombini

    Da sempre all’interno della Chiesa cattolica si sono levate voci di condanna del sistema economico capitalista, giudicato inconciliabile con l’etica cristiana: materialismo, edonismo, individualismo, avidità, egoismo, e disinteresse per la condizione dei poveri sono solo alcune delle ricorrenti accuse che le autorità religiose hanno scagliato contro l’economia di mercato.

    Questo atteggiamento ha portato alcune correnti del cattolicesimo a sposare la dottrina marxista (come la Teologia della liberazione in America Latina, peraltro condannata dal Papa Giovanni Paolo II), o forme più o meno radicali di socialismo: in Italia ne sono testimonianza i filoni del cattocomunismo o del cosiddetto “cattolicesimo democratico”.

    Fortunatamente però la cultura cattolica vanta anche una importante tradizione di pensiero liberale, i cui nomi più rappresentativi sono quelli di Lord Acton, Tocqueville, Adenauer, Einaudi, Sturzo, che Michael Novak, direttore del Dipartimento di Studi politico-sociali all’American Enterprise Institute di Washington, ha ricordato il 3 maggio all’Archiginnasio di Bologna in occasione della presentazione di due suoi libri appena pubblicati in Italia: “Spezzare le catene della povertà” (Liberilibri) e “L’impresa come vocazione” (Rubbettino).

    Introdotto con la consueta brillantezza da Massimiliano Finazzer Flory, il teologo americano ha intessuto una accorata difesa morale dell’economia di mercato, ribaltando la celebre tesi di Max Weber sul legame tra capitalismo e protestantesimo. Novak vede una corrispondenza precisa tra lo “spirito del capitalismo” e l’antropologia cattolica, cioè tra i valori cristiani e l’etica capitalistica: prova ne è il fatto che i primi germi del capitalismo sono sorti durante il medioevo proprio in paesi cattolici come il Nord Italia, la Germania meridionale, e le Fiandre. Il capitalismo fornisce infatti dei potenti incentivi per il comportamento morale, ricompensando virtù quali la diligenza, l’industriosità, la prudenza, l’affidabilità, la lealtà. In esso trova massima espressione quella che per Novak è la caratteristica più distintiva dell’uomo: la creatività, cioè la capacità spirituale di escogitare i mezzi più idonei per soddisfare tempestivamente i bisogni degli altri uomini.

    Ma il pregio maggiore dell’economia di mercato, secondo lo studioso americano, è quello di permettere e favorire la costruzione di vaste comunità umane, dato che le istituzioni capitaliste spingono i cittadini alla cooperazione e alla cordialità anche verso gli estranei, e non solo verso i membri del proprio ristretto clan. Lungi dall’apparire come un “individuo atomizzato”, colui che opera all’interno del mercato è l’esatto opposto di un eremita, perché è continuamente indotto a instaurare legami di fiducia e collaborazione con ampie cerchie di persone (collaboratori, fornitori, clienti, finanziatori, pubblicitari, trasportatori, consulenti), senza le quali nessuna realizzazione sarebbe possibile.

    L’esperienza ha invece dimostrato che la corruzione, i favoritismi, e il malcostume dilagano incontrastati laddove lo Stato controlla ogni aspetto della vita quotidiana, ma ciò malgrado la sinistra cattolica tende a difendere accanitamente l’attuale Stato interventista e redistributivo in quanto strumento indispensabile per la realizzazione del valore cristiano della solidarietà. Inutile dire che i cattolici liberali come Novak hanno sempre guardato con sospetto la sbrigativa abitudine di equiparare le istanze di solidarietà all’intervento statale. In effetti la pesante pressione fiscale generata dal sistema assistenziale sembra contrastare con l’insegnamento evangelico, dato che il Messia non ha mai auspicato forme di aiuto ai bisognosi che, invece di sgorgare dallo spontaneo sentimento di carità delle persone, si fondassero sulla coercizione, come la ridistribuzione forzata della ricchezza o la messa in comunione obbligatoria dei beni. Quando i cattolici di sinistra parlano di solidarietà pensano ad un atto di forza, non ad un atto d’amore: ma San Martino, ha ricordato puntualmente Finazzer Flory, ha tagliato in due il proprio mantello, non quello di un altro.

    Tutti i cattolici liberali insistono quindi su una considerazione filosofica basilare: che la solidarietà non volontaria non ha alcun valore etico, e che la moralità forzata non può essere considerata moralità perché la libertà di scelta è la precondizione di ogni azione virtuosa. Stando così le cose, ne consegue che più la società civile è libera di perseguire i propri fini, più forte sarà lo spirito associativo degli individui, e maggiormente virtuosa sarà la società nel suo insieme. Non a caso, ricorda Novak, gli Stati Uniti del secolo scorso erano non solo il paese più libero del mondo, ma anche la nazione in cui i legami comunitari erano più saldi: non c’era problema gli americani non sapessero affrontare riunendosi in associazioni volontarie; e non vi era famiglia di ceto medio o medio-alto che non facesse parte di una qualche confraternita di carità.

    L’avanzata del welfare-State, in America come in Europa, ha fatto però tabula rasa di questo prezioso capitale sociale, spazzando via quella miriade di associazioni benefiche che, alla prova dei fatti, si erano dimostrate ben più efficaci dell’attuale Stato burocratico nell’individuare i bisogni effettivi del povero, e nel favorire la sua autosufficienza. L’alta tassazione, infatti, non solo ha portato via materialmente reddito a coloro che vogliono impegnarsi nella beneficenza, ma ha modificato lo stesso atteggiamento spirituale verso i bisognosi. Oggi davanti a situazioni di miseria non ci si attiva più di prima persona, ma si invoca l’intervento dello Stato. Indifferenza e disimpegno sono stati gli effetti immediati della nascita dello Stato assistenziale novecentesco, il quale ha finito per minare in maniera irreparabile l’etica del lavoro, sostituendo l’etica della responsabilità con l’etica della dipendenza. Infatti, non vi è nulla di più falso dell’idea che il libero mercato spinga le persone al materialismo e all’edonismo. La realtà è proprio l’opposto: il capitalismo è sempre stato un sistema capace di imporre agli individui rigidi standard di lavoro, impegno, e responsabilità. E’ l’etica socialdemocratica dello Stato sociale, con la sua enfasi sul consumo slegato da ogni relazione con la produzione, con il lavoro, con il risparmio, con l’investimento, e con il merito, che ha favorito l’attuale mentalità imprevidente e consumistica. Anche le famiglie sono rimaste vittime dell’attacco statalista alle comunità intermedie presenti nella società. Pretendendo di svolgere tutte le sue tradizionali funzioni, come l’assistenza dei cari “dalla culla alla tomba”, lo Stato sociale ha ridotto l’importanza della famiglia, svuotandola dall’interno. Una delle ragioni principali dell’istituzione famigliare è quella di creare vincoli di aiuto reciproco nel caso di bisogno, ma se supplisce lo Stato, allora perché assumersi le responsabilità di creare una famiglia e di fare dei figli?

    Sotto accusa, a questo punto, cadono anche i sistemi pensionistici pubblici, i quali hanno creato vaste fratture generazionali sia verso l’alto (contrapponendo gi interessi dei giovani e degli anziani), che verso il basso (disincentivando le nascite). Una volta le coppie sopportavano maggiori sacrifici per allevare i figli, perché ritenevano che nella vecchiaia questi avrebbero ricambiato, assistendo e mantenendo i genitori con il capitale di famiglia. I sistemi pensionistici pubblici a ripartizione però hanno fatto saltare questo meccanismo di solidarietà intergenerazionale, perché i contributi pagati da chi lavora non rimangono nel gruppo famigliare, ma vanno a finire in un immenso fondo comune da cui attingono tutti i membri della società. Risultato: oggi una coppia che decide di non fare figli, evitando notevoli costi e sacrifici, difficilmente ne pagherà lo scotto nella vecchiaia, perché sarà mantenuta con i fondi accantonati dai figli delle coppie più prolifiche. Sembra dunque che in presenza di un sistema pensionistico collettivistico a ripartizione vi sia un forte incentivo, perfettamente razionale, a fare pochi figli. E’ solo una coincidenza, allora, il fatto alla fine dell’800, dopo un secolo di sostanziale adesione ai principi liberali, la civiltà europea fosse al massimo della sua potenza espansiva, mentre alla fine del ‘900, al termine di un secolo dominato dallo statalismo socialista, essa sia rinchiusa in se stessa sfiduciata, invecchiata, e sull’orlo dell’estinzione demografica?

    In definitiva, i cattolici come Michael Novak hanno buon gioco a giudicare come un gravissimo errore strategico l’atteggiamento statalista di certi settori della Chiesa di oggi. Quando invoca l’intervento dello Stato la Chiesa va contro il proprio interesse, perché rinuncia a svolgere in autonomia quei compiti assistenziali che ha svolto egregiamente per secoli, e finisce col confondersi con le tante lobby che premono per avere finanziamenti pubblici. In questo modo essa ammette la propria incapacità di persuasione morale. La Chiesa potrà dire di aver vinto solo quando le persone si comporteranno in maniera cristiana perché vogliono farlo, non perché l’ha ordinato il governo. Di tutte, è forse questa la lezione più importante del cattolicesimo liberale.

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