NOCK, ALBERT JAY – Il Nostro Nemico, Lo Stato

 14,50

Lo Stato come organizzazione dei mezzi politici, finalizzata a sfruttare la ricchezza prodotta dai privati con mezzi economici

Edizioni: Liberilibri   Anno: 1995   pag. 141

COD: 018-145 Categoria:

Descrizione

Presentazione di Adalberto Ravazzani

Si dice che il XX secolo sia stato il secolo dello Stato. Non è un caso che la scia di sangue, le persecuzioni, le nefandezze ideologiche e l’Intervento statale in economia abbinato a un controllo sempre più autoritario della vita degli individui, siano state le caratteristiche peculiari del ‘900. Il XXI secolo doveva essere l’alba di un nuovo mondo, l’epoca del trionfo dell’individualismo e delle libertà economiche. La caduta del Berliner Mauer e di tutti quei muri socialisti, intesi come barriere collettiviste alla dignità dell’uomo, facevano ben sperare a un futuro più propizio.

Quei sogni liberali, tuttavia, sono stati spazzati via dallo statalismo, e la gestione economica e sociale della pandemia è solo la punta dell’iceberg di un problema molto più radicato nella mentalità sociale. In questi tempi di decadenza un’opera straordinaria può venire in nostro aiuto e permetterci di giungere al nocciolo della questione. Sto parlando ovviamente di un testo che è la pietra miliare della filosofia politica: “Il nostro Nemico, lo Stato” del pensatore libertario Albert Jay Nock.

Il nobile scritto inciso sulla pergamena libertaria è accompagnato da una profondissima introduzione di Luigi Marco Bassani, uno dei più grandi conoscitori e studiosi internazionali del pensiero liberale, che ci ha accompagnato in un viaggio concettuale tra liberalismo, liberismo e libertarismo per comprendere a trecentosessanta gradi la genesi e lo sviluppo di questa antologia libertaria. Il testo viene dato alle stampe nel 1935 in pieno New Deal e statalismo economico. Nel 1936 John Maynard Keynes dava alle stampe un libro ottuso dal titolo “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”. Il professore di Cambridge riuscì a tessere uno dei peggiori elogi della classe politica nella storia dell’uomo. Nock anticipò Keynes e lo affossò aprioristicamente e diede una base strutturale ad Hazlitt per demolirlo dieci anni dopo con “Economics in One Lesson”.

Mentre Keynes innalzava ed elogiava burocrati e politici, Nock opponeva una realtà più profonda e veritiera, sede della libertà e tempio della Civiltà: il mercato. L’Agorà contro la Polis, la libertà contro la pianificazione politica. E nelle sue riflessioni Nock è stato altamente innovativo. Potremmo definirlo come un ermeneutico capace di comprendere l’origine stessa dello Stato ed i metodi che utilizza per estendere illimitatamente il suo potere nella vita degli uomini. Riprendendo Franz Oppheneimer, Nock costruisce in maniera impeccabile i concetti di “potere sociale e potere statale”, delimitandoli in un’opposizione dualistica e dialettica. La decadenza della società avviene quando il potere statale, coadiuvato da strumenti politici e dal normativismo, riesce a inglobare il potere sociale. Il piano del Leviatano è molto semplice: controllare il mercato, le interazioni tra gli individui, il libero scambio, le libere transazioni economiche e la vita stessa dell’uomo.

Lo Stato, quella grande finzione giuridica concettualizzata da Hobbes, mozza la “mano invisibile” del mercato e con essa tutto il pantheon della cultura a difesa dell’individuo. Scrive bene Bassani nell’introduzione:” lo Stato è l’organizzazione dei mezzi politici, esso nasce per garantire ad una classe di sfruttatori la possibilità di vivere e prosperare ben al di là dei propri mezzi economici. […] “Lo Stato, detentore monopolista della forza, è il massimo agente coercitivo nei confronti dell’individuo, nonché il principale violatore dei suoi diritti.”

Ed ecco che rendita parassitaria, favori politici, assistenzialismo sono gli elementi capillari e capziosi del consenso statale. Gli scritti di Nock si pongono in antitesi a questa realtà immorale. L’inchiostro si fa portatore di valori davvero profondi contro il Moloch statale. Nel bel scorrere della prosa si ode il ruggito di Herber Spencer. Egli scrisse “The man versus the State”, abbattendo ogni monopolio educativo e ideologico statale. Nock riprende l’autorevolezza ed il diritto di ignorare lo stato di spenceriana memoria squarciando il velo di illusioni socialiste. Lo Stato, il nostro Nemico. Parole che tuonano forti come figli del tuono per non farci mai dimenticare il valore della libertà.

27/4/2021

1 recensione per NOCK, ALBERT JAY – Il Nostro Nemico, Lo Stato

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Carlo Zucchi

    Una pietra miliare della letteratura libertaria della prima metà del Novecento, quest’opera vide la luce, per l’esattezza, a metà degli anni ’30, anni in cui spirava aria di New Deal e suonavano a morto le campane del liberalismo. Muovendo dalle tesi di Franz Oppenheimer, Nock costruisce i concetti di “potere sociale” e “potere statale”, applicandoli alla storia americana. Secondo Nock, il secondo tende a fagocitare il primo. Se il potere sociale è quell’interazione volontaria tra individui che creano ricchezza e la scambiano consensualmente, il potere statale, altro non è che quel processo mediante il quale un ceto parassitario di burocrati confisca ricchezza creata da altri.

    Nota giustamente Murray Newton Rothbard, l’esponente più radicale dell’anarco-capitalismo contemporaneo: “Mentre il potere sociale è sulla natura, il potere statale è sull’uomo”. I mezzi attraverso i quali ci si può procurare la ricchezza sono quelli politici e quelli economici. I primi sono quelli organizzati dallo Stato al fine di garantire un’illimitata possibilità di sfruttamento a coloro che si sanno impadronire del suo armamentario. I secondi sono quelli attraverso i quali gli individui attuano i loro processi di scambio al fine di conseguire i propri scopi.

    Di estremo interesse è l’introduzione di Luigi Marco Bassani, che affronta concetti quali anarchismo, liberalismo classico, liberismo e libertarismo, ponendoli a confronto. In particolare, per quanto riguarda il primo, è importante notare come vi sia una marcata differenza tra l’anarchismo ottocentesco americano di Tucker, Spooner, Thoreau e Warren essenzialmente non violento e proprietarista (anche se Thoreau mette in discussione la proprietà, pur restando un anarchico non-violento ), e quello europeo, dello stesso periodo, di Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Malatesta, nelle cui analisi la libertà individuale è un risultato, ma la comprensione dei fenomeni storici, tutta sociologica, fa riferimento alle sole forze collettive, mai agli individui.

    Nock è l’espressione dell’incontro tra l’anarchismo ottocentesco americano e il liberalismo classico di derivazione jeffersoniana. Da Jefferson agli anarchici dell’Ottocento americano, Nock costituisce la linea che congiunge questi autori a esponenti più recenti come Nozick e Rothbard. A differenza dell’anarchismo americano, quello europeo ha visto i suoi esponenti avvicinarsi a posizioni marxiste, in una deriva totalitaria quantomai contraddittoria con i principi anarchici.

    Riguardo a Il nostro nemico, lo Stato, Nock fa propria la tesi di Oppenheimer secondo la quale lo Stato non è altro che la sistematizzazione del processo predatorio sopra un determinato àmbito territoriale. Lo Stato nasce per la spartizione della “preda politica” e questa spartizione genera due classi distinte sulla base della possibilità di accesso ai mezzi politici. I mezzi politici e quelli economici danno luogo a un dualismo in forza del quale il potere di coercizione dell’apparato statale (potere statale) si contrappone alla produzione e allo scambio pacifico tra gli uomini (potere sociale). Come si può notare, in questo caso, l’aggettivo “sociale” non è inteso alla maniera dei socialisti, ossia come sinonimo di statale, bensì in senso del tutto opposto. Quale dei due significati si sia imposto, purtroppo, non è quello “nockiano”, tanto che, oggi, non è affatto esagerato dire che al solo sentire la parola “sociale”, a un liberale vengono non pochi pruriti. Quando parla di potere sociale, però, Nock non lo intende in un’accezione populista e demagogica, anzi, da buon conservatore rifiuta di mutare le cose in modo violento, rivelandosi simile ad Ortega y Gasset nella condivisione di un certo qual disprezzo per le masse.

    L’interpretazione nockiana della storia umana si fonda, quindi, sull’eterna lotta fra potere statale e potere sociale, con il primo che implica necessariamente la violenza, l’aggressione e lo sfruttamento. La costruzione statuale si rivela dunque come la chiave di ogni relazione violenta e parassitaria in tutte le sue convivenze politiche. Per chi accolga queste tesi, risulterà impossibile trovare un qualsivoglia criterio di distinzione fra le attività dei fondatori, amministratori e beneficiari dell’apparato statuale e quelle di una classe di criminali di professione.

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