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ORESTE BAZZICHI – Alle Radici Del Capitalismo

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Medioevo e scienza economica

L’intento di questo libro è quello di mostrare come lo spirito del capitalismo sia intrinseco alla riflessione giuridica e teologico-morale sin dall&amp

Edizioni: Effata   Anno: 2003   pag. 176

Esaurito

COD: 018-223 Categorie: ,

Descrizione

Nel cercare le radici della scienza economica molti studiosi hanno finito per concentrare la loro attenzione sulle dottrine sviluppate a partire dal XV secolo in Inghilterra e nei Paesi del Nord-Europa. Fin troppo note sono le tesi di Max Weber, che individua nella riforma calvinista il seme dello sviluppo del capitalismo moderno. In realtà, la scienza economica affonda saldamente le sue radici nel basso Medioevo. L’intento di questo libro è quello di mostrare come lo spirito del capitalismo sia intrinseco alla riflessione giuridica e teologico-morale sin dall’alto Medioevo e si sia manifestato molto prima della Riforma protestante.

1 recensione per ORESTE BAZZICHI – Alle Radici Del Capitalismo

  1. Guglielmo Piombini

    Recensione di Giorgio Bianco

    Gli studi sulle radici medioevali e cattoliche della libertà di mercato, sull'influenza che le idee eco-nomiche dei tardoscolastici hanno esercitato nei confronti di un pensatore come Adam Smith e sulle loro sorprendenti anticipazioni delle teorie della Scuola austriaca di economia si stanno rivelando un filone fecondo, capace di scalzare, con scoperte sorprendenti, un gran numero di luoghi comuni da lungo lempo sedimentati.

    Anzitutto è venuto “Cristiani per la libertà” di Alejandro A. Chafuen [Liberilibri, Macerata 1999), prezioso florilegio di passi di autori tardoscolastici su temi come proprietà privata, finanza pubblica, moneta, commercio, valore e prezzo, salario, profitto e interesse di asso-luta modernità e carichi d'intuizioni liberali. Ora è alla volta di “Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica”. di Oreste Bazzichi, edito da Effatà, casa editrice di Cantalupa, piccolo centro in provincia di Torino. L'autore, laureato in Teologia, redattore della rivista “La Società” e autore di vari saggi incentrati prevalentemente sull'analisi dei rapporti tra etica ed economia, si pone in aperta polemica con gli studiosi di scienza economica, fino a oggi nettamente maggioritari, che sulla scia di Max Weber hanno ritenuto d'individuare nella riforma calvinista e nelle teorie sviluppate a partire dal secolo XV in Inghilterra e nei Paesi dell'Europa Settentrionale il seme dello sviluppo del moderno capitalismo, e mostra come lo spirito del capitalismo sia invece intrinseco alla riflessione giuridica e teologico-morale sin dall'Alto Medioevo.

    L'originalità del libro di Bazzichi sta anche nel suo focalizzarsi in maniera pressoché esclusiva sulla Scolastica francescana, preparata e introdotta alla fine del secolo XIII, definitivamente elaborata alla fine del secolo XIV e parte integrante della Scolastica in genere: “Per secoli – scrive Flavio Felice nell'introduzione al volume – l'area del Mediterraneo ha detenuto il primato dello sviluppo economico e ha fornito l'ambiente adatto alla nascita dell’homo oeconomicus inteso sì come soggetto razionale che persegue il proprio vantaggio, ma in un contesto teologico-morale, la cui dimensione antropologica di riferimento rinvia alla nozione di “homo agens”.

    Il mercato non è allora il luogo in cui gli operatori concorrono gli uni contro gli altri per la conquista dei beni di produzione, bensì, come afferma oggi la Scuola austriaca, l'insieme delle relazioni interpersonali che permettono agl'individui dì “cum-petere”, ovvero di cooperare tra loro.

    L'idea che la condanna duratura e intransigente dell'usura abbia penalizzato i Paesi latini è corretta dalla constatazione che gli anatemi della Chiesa verso pratiche quali il prestito, necessarie allo sviluppo del capitalismo, sono stati in molti casi superati proprio dalle analisi dei teologi della scuola francescana.

    Nella fattispecie è Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298) a introdurre, di fronte al divieto canonico dell'usura, la distinzione fra prestito di una somma di denaro qualsiasi e prestito di una somma di denaro efficientemente inserito o da inserirsi nel processo produttivo. Olivi giunge così alla definizione di capitale come somma di denaro che, essendo destinata a una qualunque attività economicamente produttiva, contiene in sé un "seme di lucro": soltanto in presenza di questo valore seminale in più (valor superadiunctus) il proprietario ha diritto a esigere un interesse, che corrisponde appunto al danno subìto sottraendo del denaro ad un processo produttivo per darlo in prestito.

    Centrale, nel saggio di Bazzichi, è l'individuazione di un filone di pensiero che dal celebre teologo francescano Guglielmo di Ockham (1290ca.-l349), attraverso i gesuiti Ludovico Molina (1535-16QOJ e Francisco Suarez [1548-1617), conduce a John Locke, David Hume, Francis Hutcheson, e infine al grande allievo di quest'ultimo, Adam Smith.

    La continuità di pensiero fra la scuola francescana e Smith si articola secondo Bazzichi su tre punti di raccordo.

    Il primo è la teoria del valore economico, fondata in entrambi i casi sulle nozioni di bisogno, utilità, desiderio e scarsità. Già secondo Pietro di Giovanni Olivi, infatti, il valore di una cosa nasce dall'incontro fra la sua intrinseca e oggettiva utilità a soddisfare i bisogni (virtuositas), la sua scarsità o difficoltà a reperirsi (raritas) e la preferenza individuale di chi desidera quella cosa (complacibilitas), ovvero la componente soggettiva della categoria dell'utilità. Bazzichi non manca di evidenziare le coincidenze fra la teoria del valore elaborata dall'Olivi e quella della Scuola austriaca: “Partendo dal legame intrinseco esistente fra teoria economica e teoria della conoscenza, la scuola austriaca sostiene che il funzionamento di un sistema economico dipende dalla sua capacità di permettere la creazione, la diffusione e il coordinamento della conoscenza individuale. Non si può prescindere, quindi, come già insegnava Guglielmo Ockam, dal libero esercizio della ragione umana”.

    Il secondo punto riguarda la determinazione del salario, che non deve essere legata solo a domanda, offerta e costo di produzione, ma, tanto per i francescani quanto per il filosofo scozzese, anche ai differenti tipi di lavoro, sicché quelli che comportano più operosità, più perizia e più pericolo devono essere retribuiti di più.

    Il terzo punto ha a che vedere con la giustificazione del profitto, a cui il mercante ha diritto indipendentemente dai costi, dal rischio e dal proprio lavoro. I teologi francescani, come la moderna scienza economica, si oppongono alla determinazione dei profitti in funzione dei costi di produzione: “L'idea di ottenere profitti senza correre rischi veniva considerata innaturale, ed era, quindi, da biasimare quell'imprenditore che si rivolgeva alle istituzioni o allo Stato per ottenere un aiuto”.

    Ancora una volta, le teorie dei francescani mostrano tutta la loro modernità, anticipando la riflessione di Adam Smith e poi della Scuola austriaca. Che un editore statunitense abbia appena acquistato i diritti di traduzione di quest'opera di Baz-zichi è quindi un importante segnale in più del suo valore.

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