PELLICANI, LUCIANO – La Genesi Del Capitalismo

 29,00

E LE ORIGINI DELLA MODERNITA’

Rubbettino – 2013, Pagine 590

Una delle migliori analisi che siano mai state scritte delle cause della nascita del capitalismo e del successo dell’Occide

 

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Descrizione

Quando il “Saggio sulla genesi del capitalismo” fu pubblicato negli Stati Uniti, l’autorevole rivista “Telos” lo definì un “classico”. Questo libro ne è una nuova versione, notevolmente accresciuta e arricchita. Con esso, l’autore non si limita a fornire una documentata ricostruzione della straordinaria parabola storica del capitalismo, dalla rivoluzione mercantile del Basso Medioevo sino alle soglie della moderna società industriale; utilizzando brillantemente il metodo della comparazione macrosociologica, delinea una “grammatica delle civiltà”, grazie alla quale emerge nettissima la singolarità dell’esperimento di vita collettiva compiuto, fra laceranti conflitti di interessi e di valori, nel laboratorio occidentale.

1 recensione per PELLICANI, LUCIANO – La Genesi Del Capitalismo

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Guglielmo Piombini

    Quando uscì nel 1988 per le edizioni Sugarco, il Saggio sulla genesi del capitalismo di Luciano Pellicani non mancò di suscitare un vivace dibattito. Oggi questo “classico” tradotto anche all’estero, ma in Italia difficilmente trovabile, ritorna nelle librerie grazie all’editore calabrese Rubbettino in una edizione aggiornata e accresciuta, e con un nuovo titolo: La genesi del capitalismo e le origini della Modernità.

    Lo studio di Luciano Pellicani, docente di sociologia della politica alla Luiss di Roma, intende dare una risposta all’enigma del miracolo europeo: come hanno fatto gli abitanti di quella piccola appendice del continente asiatico chiamata Europa a surclassare in ogni campo tutte le altre civiltà, arrivando agli inizi del XX secolo a dominare il mondo?

    Indagando sui processi che hanno permesso la nascita della moderna società industriale e le circostanze che hanno reso possibile l’espansione planetaria dell’Europa, l’autore ritiene inadeguate le due principali teorie sull’origine del capitalismo, quella marxiana dell’accumulazione originaria e quella weberiana dell’etica calvinista.

    La superiorità tecnologica degli europei, dovuta al capitalismo, è invece il risultato delle condizioni politiche pressoché uniche che il vecchio continente ha sperimentato a partire dal Medioevo. In Cina, in India, in Persia, in Russia, nell’Islam e nell’America precolombiana si erano andati formando vasti imperi ultracentralizzati, nei quali il governo controllava tutte le risorse umane e materiali e rendeva impossibile ogni minima autonomia della società civile. In Europa invece, dopo il crollo dell’Impero romano, che nel suo ultimo periodo aveva assunto i caratteri burocratici del “dispotismo asiatico”, non si riformò nessun monopolio concentrato del potere.

    L’autorità politica si frantumò e si disperse in migliaia di unità concorrenti, dando luogo alla cosiddetta anarchia feudale, all’ordine pluricentrico comunale e al successivo sistema degli Stati nazionali.

    Nel vecchio continente la competizione tra le diverse autorità politiche rendeva difficile l’adozione di politiche ostili alla libertà individuale e ai progressi economici. Nessun governante da solo poteva, oltre certi limiti, piegare ai suoi scopi le attività economiche, perché se le imposte e le regolamentazioni di un certo paese erano troppo gravose, seguiva una rapida emigrazione di capitali, innovazioni e attività commerciali in paesi dove gli affari costavano meno.

    Di conseguenza nell’Europa la proprietà privata e la libertà di commercio furono più sicure rispetto al resto del mondo, e gli individui approfittarono di maggiori opportunità d’iniziativa e di sperimentazione. Queste tesi, che esaltano l’importanza delle istituzioni sociali spontanee come il mercato, sono state sviluppate e discusse per lungo tempo da Pellicani sulle pagine della rivista socialista “Mondoperaio” che tuttora dirige, e negli anni Settanta e Ottanta hanno assestato dei duri colpi all’ideologia marxista.

    Alcune parti del libro, per quanto argomentate con grande chiarezza ed erudizione, a causa della loro accentuata impostazione laico-socialista risultano però meno convincenti. La difesa del Welfare State, ad esempio, appare in contraddizione con la lucida critica allo statalismo e alla burocratizzazione.

    Inoltre Pellicani attribuisce alla Chiesa un ruolo quasi esclusivamente negativo, di freno allo sviluppo della scienza e dell’economia. Eppure ci deve essere una ragione se il governo limitato, la rivoluzione scientifica e il capitalismo sono emersi proprio in seno alla Cristianità, in un mondo impregnato fino al midollo dalle concezioni religiose e morali del cristianesimo. Su questi aspetti appaiono più persuasive le conclusioni di quei sociologi, come Rodney Stark, che di recente hanno rivalutato il fondamentale apporto dato dalla Chiesa cattolica all’edificazione della civiltà occidentale.

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