Michael Polanyi – La logica della libertà

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Pubblicato nel 1951, il libro sostiene la superiorità di ogni ordine economico e politico policentrico sull’ordine centralizzato e pianificato

Edizioni: Rubbettino   Anno: 2002   pag. 395

COD: 018-370 Categoria:

Descrizione

A partire da una discussione intorno alla natura della conoscenza scientifica e della comunità scientifica, Polanyi mira con lucidità e rigore a dimostrare l’importanza di un sistema economico e sociale non pianificato centralmente, contro ogni ipotesi dirigista. Critico verso ogni forma di totalitarismo, Polanyi arriva ad illustrare la superiorità di ogni ordine economico e politico lasciato alla libertà e creatività di iniziative spontanee policentriche, rispetto a un ordine organizzato secondo i rigidi canoni di una pianificazione diretta centralmente da un’unica autorità. Nel pieno delle sue riflessioni di sociologia della ricerca, si possono infatti scovare alcuni dei punti fondamentali della sua visione politica, parallela e in alcuni casi accostabile a quelli di alcuni esponenti della Scuola austriaca come von Mises e von Hayek (ma anche Popper), tuttavia mantenendo originalità di pensiero e capacità di critica verso questi autori. La sua è una voce autorevole e rigorosa, alternativa ad altre più popolari anche in epistemologia.

1 recensione per Michael Polanyi – La logica della libertà

  1. Carlo Zucchi

    Recensione di Carlo Zucchi

    Pubblicato nel 1951, raccoglie studi compiuti nel decennio precedente. Critico verso ogni forma di totalitarismo, Polanyi arriva ad illustrare la superiorità di ogni ordine economico e politico lasciato alla libertà e creatività di iniziative spontanee policentriche, rispetto a un ordine organizzato secondo i rigidi canoni di una pianificazione diretta centralmente da un’unica autorità. Dal punto di vista metodologico, Polanyi si differenzia dagli storicisti e da Max Weber, negando ogni discontinuità tra lo studio della natura e lo studio dell’uomo, in quanto la conoscenza si basa sulla comprensione e in tal senso la conoscenza é dello stesso tipo a tutti i livelli di esistenza. In particolare, Polanyi rimprovera a Max Weber e agli storicisti di aver relegato la scienza naturale nell’ambito del puro determinismo ritenendola incapace di partire da orizzonti valoriali. Per dirla con Kant, in Polanyi abbiamo il primato della ragion pratica (della morale, delle scelte e dei valori) nei confronti della ragion pura.

    Alla luce di questi assunti metodologici Polanyi istituisce un’essenziale continuità tra riflessione epistemologica e teoria politica. A differenza di teorici del comportamento politico come Weber e Rickert, che riconoscono la funzione dei valori unicamente nella vita privata (escludendo che i giudizi di valore possano essere di competenza della scienza e della scienza politica), Polanyi ritiene del tutto inconsistente la dottrina del neutralismo morale, sia perché anche lo scienziato della politica (come tutti gli scienziati) non può mai essere del tutto neutrale e distaccato e non può non partire da un orizzonte di valori per la spiegazione dei comportamenti politici, sia perché ogni scienza che pretenda di spiegare le azioni umane, e quindi anche i comportamenti politici, non riesce a cogliere (anzi discredita) i motivi morali e gli obiettivi di coloro che combattono per fini giusti quale é la libertà.

    Sotto l’aspetto strettamente epistemologico, la posizione di Polanyi é essenzialmente anti-illuministica e anti-positivistica. Egli ripete spesso che “possiamo conoscere più di quello che possiamo esprimere”. Ogni comunicazione concettuale e linguistica esprime perciò una parte – forse minima – di quello che effettivamente conosciamo, il momento esplicito di una realtà molto più ampia, di una dimensione tacita, che precede e fonda tutta la conoscenza. Inoltre. Polanyi invita ad abbandonare l’ideale laplaceano di assoluto distacco dai condizionamenti del soggetto conoscente e dell’assoluto dominio della realtà oggetto di conoscenza per ritornare a Platone e a Sant’Agostino (magari laicizzati), secondo i quali l’uomo non raggiunge mai il pieno possesso della verità, così che il suo atteggiamento non può mai essere quello di dominio critico e intellettualistico. Fondamentale è a tal riguardo il concetto di responsabilità personale (del tutto opposto all’impersonalismo e al neutralismo di stampo cartesiano), secondo il quale “un atto personale investe la personalità di chi dispone di tale conoscenza”. “Chi fa la scoperta è pervaso da un urgente senso di responsabilità per impadronirsi di una verità nascosta, la quale esige il suo aiuto per manifestarsi”. Un processo di scoperta che ritroviamo sia in Hayek, sia in Bruno Leoni nella sua concezione giurisprudenziale giusnaturalistica di una legge che esiste in natura e che l’uomo ha il compito di scoprire, così come lo scienziato deve scoprire una verità esistente, ma allo stesso tempo celata.

    Il ricercatore non può non essere condizionato dalla realtà che lo circonda e ciò conduce a un esito comunitario della nozione di conoscenza personale, che ribadisce l’intrinseco legame tra conoscenza scientifica e convivenza. La comunità degli scienziati è organizzata in modo da assomigliare per certi aspetti a un corpo politico e lavora secondo principi economici simili a quelli da cui è regolata la produzione dei beni materiali. Infatti, Polanyi sostiene che: “L’originalità nella scienza é un dono che deriva da una credenza solitaria in una linea di esperimenti o ipotesi, che nessun altro al momento considera utile”. Ciò che Polanyi descrive come “credenza…che nessun altro al momento considera utile” altro non é che la trasposizione in campo scientifico dell’azione imprenditoriale consistente nella “scoperta” di informazioni e di occasioni in un contesto di informazione incompleta e dispersa. Il fatto che qualcuno consideri utile qualcosa a cui nessun altro aveva pensato costituisce il segreto del successo imprenditoriale. La comunità degli scienziati deve avere inoltre una qualche forma di conoscenza e di valori condivisi e accettati, dato che ogni nuova scoperta deve incontrare l’approvazione della comunità scientifica e anche per coloro che “sfidano” il paradigma dominante deve esistere una qualche forma di conoscenza condivisa per poterla se non altro confutare.

    L’analogia della Repubblica della Scienza ipotizzata da Polanyi si riferisce essenzialmente a una società libera frutto delle iniziative indipendenti degli individui che debbono porsi in mutuo rapporto tra loro. “Tali iniziative debbono accettare per loro guida un’autorità tradizionale che rafforza il proprio rinnovamento coltivando l’originalità dei suoi seguaci”. Ciò che descrive l’evoluzione dell’ordine spontaneo tanto cara ad Hayek e ai più autorevoli esponenti della Scuola Austriaca.

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