ROPKE, WILHELM – Il Vangelo Non E’ Socialista

 15,00

a cura di Carlo Lottieri

Scritti su etica cristiana e libertà economica (1959-1965)

Edizioni: Rubbettino-Facco   Anno: 2006   pag. 165

COD: 018-617 Categorie: ,

Descrizione

 

Wilhelm Ropke è stato interprete di un liberalismo di mercato di netta caratterizzazione morale. Negli scritti raccolti in questo volume, l’autore enfatizza come l’economia libera poggi su quei principi sovra-economici che ci obbligano a rispettare il prossimo e, di conseguenza a difendere la stessa libertà economica. Gran parte della critica dunque è rivolta a coloro che hanno cercato di vedere – in modo semplicistico e del tutto fuorviante – nel messaggio evangelico la giustificazione di politiche interventiste e liberticide. Per Ropke la società di mercato è l’unica davvero compatibile con la grande eredità umanistica dell’Occidenmte cristiano, violata da pianificazione e interventismo statale.

Per Carlo Lottieri, direttore del dipartimento Teoria politica dell’IBL, “Roepke è stato uno dei maggiori liberali del Novecento: un intellettuale che ha pagato di persona la propria fedeltà ai principi della libertà individuale e che in tal modo ha fornito i migliori strumenti intellettuali a quella generazione di intellettuali e uomini politici che, alla fine degli anni Quaranta e durante gli anni Cinquanta, hanno abbracciato le ragioni del libero mercato e hanno reso possibile la formidabile crescita economica dell’economia tedesca”.

1 recensione per ROPKE, WILHELM – Il Vangelo Non E’ Socialista

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Dario Antiseri

    Molti, agguerriti e feroci furono i nemici con cui Wilhelm Röpke – il più influente ispiratore di quella “politica sociale di mercato” che fu alla base della strabiliante ripresa della Germania occidentale, spentosi il 12 febbraio 1966 – dovette confrontarsi: i nazisti, prima; e i comunisti e i socialisti, poi – tutti personaggi che «pretendevano di aver sbirciato le carte della Provvidenza e di avere in tasca l’itinerario della Storia». Scrive Carlo Lottieri – nella sua dotta introduzione a una raccolta di preziosi scritti di Röpke su etica cristiana e libertà economica che esce ora da Rubbettino dal titolo Il Vangelo non è socialista – che «nel corso della sua vita intellettuale Röpke non soltanto ha rigettato la ferocia del regime nazionalsocialista, ma ha ugualmente difeso la libertà di iniziativa e la proprietà privata dinanzi al corporativismo fascista, al collettivismo marxista e al dirigismo socialdemocratico, sempre perfettamente consapevole dei profondi legami che univano queste diverse (e differentemente pericolose) forme di statalismo».

    Nato a Schwarmstadt, vicino ad Amburgo, nel 1899, Röpke compie i suoi studi universitari dapprima a Gottinga, si trasferisce in seguito a Tubinga, e si laurea in Scienze politiche, nel 1922, presso l’Università di Marburgo. Dal 1924 al 1933 insegna successivamente a Jena, Graz e Marburgo. Nel 1933, all’ascesa di Hitler al potere, Röpke lascia la Germania per Istanbul: qui insegna Economia fino al 1937, anno in cui è chiamato a dirigere l’Institut des Hautes Etudes Internationales di Ginevra – dove avrà per colleghi studiosi di grande fama come Ludwig von Mises, Hans Kelsen e Guglielmo Ferrero. E il suo nome è noto, a livello internazionale, grazie soprattutto a tre opere scritte durante la Seconda Guerra Mondiale: La crisi sociale del nostro tempo (1942); Civitas humana. I problemi fondamentali di una riforma sociale ed economica (1944); L’ordine internazionale (1945). Fra i suoi studi usciti in Italia vanno poi ricordati Umanesimo liberale, a cura di M. Baldini (Rubbettino 2003) e Democrazia ed economia, a cura di S. Cotellessa, prefazione di L. Ornaghi e A. Quadrio Curzio (Il Mulino 2004).

    Contro la statizzazione dell’uomo l’opera di Röpke è tesa a favore della umanizzazione dello Stato. Lo Stato sano è quello che si impone dei limiti e favorisce i corpi intermedi; mentre malato è lo Stato interventista, centralistico e burocratico, dove l’uomo «è degradato a supino animale domestico». E come si sa, «la suprema autorità dell’economia di mercato, è il giudice, quella del collettivismo è invece il carnefice».

    È sano lo Stato che favorisce i contrappesi al suo potere – contrappesi che costituiscono l’argine più sicuro contro quella «teologizzazione dello Stato che sopprime ogni libera vita individuale». E Röpke ritiene che più efficaci contrappesi dello Stato possano essere una classe media imprenditrice, una magistratura indipendente, una stampa libera e la religione. La fede religiosa può essere «un’àncora di libertà» per i cittadini, a patto che non si trasformi anch’essa in «uno strumento di schiavitù e di conformismo». Da qui il grande apprezzamento di Röpke per la Chiesa cattolica, in base al fatto che essa, in Occidente, ha da sempre costituito un continuo contrappeso allo Stato, e non tanto per contingenti motivi storici, quanto piuttosto per ragioni profonde che sgorgano dal cuore stesso della dottrina cristiana. Scrive Röpke in Civitas humana: «Contrariamente alla concezione sociale dell’antichità pagana, il cristianesimo pone al centro il singolo individuo con la sua anima immortale desiderosa di raggiungere la salvezza. Davanti allo Stato c’è ora la persona umana e sopra lo Stato il Dio universale, il suo amore e la sua giustizia. Guglielmo Ferrero non ha dunque torto quando afferma che l’azione rivoluzionaria del cristianesimo fu di frantuma re l’esprit pharaonique de l’Etat ancien». E ben si comprende, allora, che l’attenzione che Röpke dedica alle encicliche pontificie è tutt’altro che rituale, giacché – precisa Lottieri – «nel principio di sussidiarietà della Dottrina sociale della Chiesa Röpke coglie soprattutto la valorizzazione della persona e delle associazioni volontarie».

    Nemico di ogni forma di collettivismo, Röpke non ha affatto chiuso gli occhi davanti ai difetti di quella «forma abortiva di economia» tipica di un capitalismo «monopolistico e colossale» carico di violenza e sfruttamento, e ha delineato i tratti di un liberalismo personalistico che – come egli afferma ne La crisi del collettivismo – «si fa avvocato della divisione dei poteri, del federalismo, della libertà comunale, delle sfere indipendenti dallo Stato, dei corpi intermedi, della libertà spirituale, della proprietà come forma normale dell’esistenza economica dell’uomo, della decentralizzazione economica e sociale, del piccolo e del medio, della gara economica e spirituale, dei piccoli Stati, della famiglia, della universalità della Chiesa». Tutto ciò nella persuasione che «il liberalismo non è, nella sua essenza, un abbandono del cristianesimo, quanto piuttosto è il suo legittimo figlio spirituale».

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