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RUSSELL KIRK – IL PENSIERO CONSERVATORE

 28,00

DA BURKE A ELIOT

Giubilei Regnani – 2018, Pagine 612

Il libro che ha rilanciato il conservatorismo americano nel dopoguerra

 

Esaurito

Categoria:

Descrizione

Il pensiero conservatore di Russell Kirk è il più importante libro al mondo sul conservatorismo.

Pubblicato negli Stati Uniti nel 1953, fino ad oggi non è mai stato tradotto in italiano.

Il testo ripercorre la storia del pensiero conservatore dalla nascita con Edmund Burke fino al Novecento, organicizzando le idee e le posizioni dei principali autori.

Questo saggio illuminante ha influenzato il pensiero di intellettuali, politici, giornalisti conservatori, inclusi il candidato alla Presidenza degli Stati Uniti Barry Goldwater e i Presidenti Richard Nixon e Ronald Reagan.

1 recensione per RUSSELL KIRK – IL PENSIERO CONSERVATORE

  1. Libreria del Ponte

    Recensione di Andrea Mancia

    Il vaccino che debella il pensiero unico si chiama Russell Kirk.
    Finalmente tradotto “The Conservative Mind” un libro che alla nostra editoria non piaceva. Il pensiero conservatore esiste eccome: da Burke a Eliot, una sfilata di autori imprescindibili

    Sono ormai trascorsi 65 anni dalla prima pubblicazione di The Conservative Mind di Russell Kirk. Ma finalmente il libro che ha dato il via alla rinascita del movimento conservatore negli Stati Uniti è stato tradotto anche in italiano, con il titolo Il pensiero conservatore.

    Da Burke a Eliot, e sta per uscire in libreria per i tipi di Giubilei Regnani. «Si tratta – scrive Francesco Giubilei nell’introduzione – di una lettura imprescindibile per chiunque voglia conoscere la storia del pensiero conservatore dalle sue origini alla metà del Novecento. Un libro necessario per chi si riconosce nei valori conservatori uno strumento utile per comprendere una delle principali correnti di pensiero degli ultimi secoli».

    Ma facciamo un passo indietro. Pur avendo riconquistato, nel 1952, la Casa Bianca con Dwight D. Eisenhower (e il controllo del Congresso), i repubblicani degli anni ’50 erano una realtà assai distante dal movimento conservatore che conosciamo oggi (se Donald Trump faccia o meno parte di questa tradizione è tuttora oggetto di serrato dibattito). Ike era favorevole al contenimento della «minaccia rossa», ma non a uno scontro frontale. E non cercò in alcun modo di scalfire il nocciolo duro del New Deal. I conservatori avevano dovuto accettare la sconfitta del senatore Robert Taft («Mr. Republican») e assistere alla crescita d’influenza dei repubblicani «moderati», conquistavano regolarmente tutte le nomination alle presidenziali ed esercitavano un controllo diretto su alcuni strategici centri di potere mediatico, come Time, Life e il New York Herald.

    Nello stesso periodo, i liberal controllavano almeno otto settimanali a larga diffusione, mentre i conservatori dovevano accontentarsi di una esile newsletter come Human Events, lanciata nel 1944 con una tiratura appena superiore alle cento copie. Il mondo accademico era insomma largamente dominato dall’intellighenzia liberal. Ma un fuoco stava covando sotto la cenere.

    Alla Old Right non erano mancati, nel dopoguerra, intellettuali di grande peso e impatto. Basterebbe fare i nomi di Albert J. Nock, con il suo Our Enemy, the State (1935) o dell’esule russa Ayn Rand che, con i suoi romanzi e le sue intuizioni filosofiche, influenza ancora oggi il mondo libertarian. Poi, nel 1952, The Witness di Whittaker Chambers, ex-giornalista del Time e spia sovietica pentita, aveva fornito alla «maggioranza silenziosa» la testimonianza definitiva della necessità di combattere il pericolo comunista e l’espansionismo genocida dell’Unione Sovietica. Si trattava, però, di casi isolati. Come isolati erano i pensatori che in quegli anni lavoravano alla costruzione delle fondamenta culturali di quello che sarebbe diventato il moderno movimento conservatore.

    Friedrich A. von Hayek aveva sconvolto il mondo accademico ed editoriale nel 1944 con il suo Road to Serfdom (La via verso la schiavitù) e rappresentava l’anima incorruttibile di una destra liberale che non voleva piegarsi ai cedimenti della cultura liberal nei confronti del collettivismo marxista e socialista. Se Hayek parlava all’area del movimento più vicina al pensiero liberale classico, addirittura restìa a definirsi conservatrice, Richard Weaver era il campione indiscusso del tradizionalismo, capace di conquistare sia i conservatori che i libertari con la geremiade lancinante del suo Ideas Have Consequences (1948).

    È soltanto con la pubblicazione di The Conservative Mind nel 1953, però, che la destra americana riesce a compiere un salto di qualità, potente e inaspettato. «Kirk – ha scritto Marco Respinti nel decennale della sua scomparsa – è stato il padre, l’anima e il cuore della rinascita del conservatorismo negli Stati Uniti d’America a metà degli anni Cinquanta, ovvero l’uomo che ha ridato dignità politica e cittadinanza a un termine allora desueto e sgradito all’orecchio dei più (…) colui che, ripercorrendo una storia lunga e complessa, ha battezzato conservatorismo quella forma mentis che (…) descrive la volontà caparbia e ostinata di chi prima di disfarsi del retaggio e del fardello della civiltà occidentale ci pensa bene e poi, comunque, rinuncia». Kirk si erge a difensore della tradizione americana, riserva «coloniale» dell’ethos europeo e della civiltà classica e giudeo-cristiana e diventa, sempre utilizzando le parole di Respinti, «uno degli interpreti più coscienti, seri e fecondi del filone tradizionalista del conservatorismo statunitense».

    Compilando una genealogia assolutamente originale, ma perfettamente inserita nell’identità culturale nordamericana e britannica, Kirk accompagna il lettore in un viaggio lungo due secoli alla ricerca dei pensatori che, sulle due sponde dell’Atlantico, avevano rappresentato l’eredità intellettuale di Edmund Burke e della «rivolta» contro le ideologie della Rivoluzione francese. Scritto dall’autunno del 1948 alla primavera del 1952, The Conservative Mind nasce proprio come una dissertazione sul pensiero di Burke. Ma durante la stesura Kirk sente l’esigenza di affrontare anche il pensiero di quel gruppo di statisti, romanzieri, filosofi e poeti che a suo giudizio componevano l’ossatura della tradizione conservatrice anglo-americana. Insieme (tra gli altri) a John Adams, John Calhoun, Benjamin Disraeli, George Santayana e T.S. Eliot, in questo pantheon trova il suo posto naturale anche l’anglofono d’adozione Alexis de Tocqueville.

    The Conservative Mind piomba come un ciclone sul sonnecchiante mondo accademico americano. Pubblicato da Henry Regnery (dopo che Alfred Knopf aveva proposto all’autore di dimezzarlo), il libro di questo semi-sconosciuto professore della Michigan State University si guadagna critiche inaspettatamente lusinghiere e un’attenzione che non si limita alla rive droite del mondo accademico e politico.

    Quando, nel 1955, fonda la National Review (ancora oggi imprescindibile punto di riferimento per la destra statunitense), William F. Buckley – proprio grazie a Kirk – sceglie di utilizzare il termine «conservatore» (dopo aver a lungo abbracciato quello di «individualista»). Kirk, insieme a Chambers, Chodorov, Röpke, Eastman e Meyer, diventerà uno dei principali animatori della rivista che avrebbe cambiato per sempre le sorti del movimento conservatore. Allo stesso modo, Barry Goldwater – che da candidato al Senato nel 1952 si era definito «repubblicano jeffersoniano» e «progressista» – dopo aver assorbito il pensiero di Kirk intitola il suo manifesto politico The Conscience of a Conservative.

    Un pensiero politico giudicato come «non esistente», diventa – grazie a The Conservative Mind – il simbolo di una rimonta: la lunga ed esaltante impresa in cui un manipolo di uomini, guidati da una visione del mondo e dalla tenace insofferenza nei confronti di una visione del mondo «altra», riesce a bilanciare le sorti di un confronto politico epocale, conquistando la maggioranza delle menti e dei cuori nella più antica democrazia mondiale. «Un solo uomo non può cambiare la coscienza di una nazione – ha scritto sempre Marco Respinti – ma Russell Kirk c’è andato vicino». Oggi, finalmente, possiamo leggerlo anche in italiano.

    (Il Giornale, 13 maggio 2018)

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