1995-2015: L’ITALIA VERSO IL MODELLO STALINISTA SOVIETICO

1995-2015: L’ITALIA VERSO IL MODELLO STALINISTA SOVIETICO

 

di Guglielmo Piombini

(13 maggio 2015)

Negli ultimi vent’anni l’Italia si è progressivamente allontanata dai sistemi ad economia di mercato per abbracciare un modello che presenta numerose analogie con il regime sovietico nella fase stalinista di consolidamento del comunismo. La pressione fiscale effettiva sulle imprese, tenendo conto di ogni imposta e contributo, ha raggiunto un livello ufficiale vicino al 70 % degli utili, che in alcuni casi arriva fino all’85 %. Ci sono anche stati casi di imprenditori che, dovendo pagare il 110 % di imposte sugli utili prodotti, si sono indebitati con le banche. Questo livello di tassazione è in linea con quello applicato dal regime sovietico tra la fine degli Venti e i primi anni Trenta, quando Stalin decise di collettivizzare l’intera economia eliminando i ceti produttivi privati.

Le entrate fiscali italiane, aumentate da 450 miliardi a oltre 750 miliardi negli ultimi due decenni, hanno trasferito 300 miliardi aggiuntivi dalle tasche dei ceti produttivi privati al ceto burocratico. Si tratta di una confisca di ricchezza privata che rivaleggia per rapidità e imponenza con quella realizzata in quegli anni dalle autorità sovietiche. Anche le modalità operative e propagandistiche con cui le autorità comuniste perseguitavano e depredavano i produttori privati avevano inquietanti similitudini con gli attuali sistemi di “lotta all’evasione fiscale”. Un sintomo rivelatore della vicinanza ideologica tra i due sistemi è il fatto che in Italia i membri della casta politico-burocratica hanno adottato, in difesa dei propri interessi, lo stesso frasario utilizzato dalla nomenklatura staliniana per denigrare e criminalizzare i ceti produttivi: “ricchi”, “egoisti”, “evasori”, “speculatori”, “parassiti”.

Oggi come allora gli accertamenti fiscali vengono eseguiti con metodi terroristici e arbitrari, e accompagnati da una martellante propaganda di regime contro il nemico del popolo, “l’evasore fiscale”. Lo Stato italiano inoltre, attraverso gli studi di settore, i redditi presunti o gli obblighi contributivi svincolati dagli utili prodotti, usa anche la collaudata tecnica sovietica di rovinare i produttori privati esigendo dei tributi di entità assolutamente irraggiungibile. Ad un certo punto le autorità sovietiche ipotizzarono come metodo di lotta nei confronti dei “ricchi” kulaki l’abolizione del contante: un’idea che i governi italiani accarezzano da tempo, e che finora hanno realizzato solo parzialmente abbassandone il limite di utilizzo a 1000 euro, il livello più basso del mondo. 

L’adozione su vasta scala di questi sistemi di lotta alla presunta evasione fiscale dei contadini provocò in Ucraina, negli anni 1932 e 1933, un spaventosa carestia con parecchi milioni di vittime. Oggi gli storici considerano questa tragedia come un vero e proprio genocidio pianificato a tavolino dalle autorità statali per eliminare un’intera classe di produttori privati. Anche qui sono evidenti le analogie con la situazione italiana, nella quale, a fronte di un crescente aumento dei privilegi per la casta politico-burocratica, comparabili a quelli che godeva la nomenklatura sovietica rispetto al resto della popolazione, si sta verificando un vero e proprio annientamento dei ceti produttivi privati perseguito con gli strumenti dell’accanimento fiscale e burocratico. 

La distruzione del 25 % del settore produttivo privato ha provocato infatti il risultato desiderato dalla casta statale: la chiusura di centinaia di migliaia di aziende, il suicidio di migliaia di imprenditori, commercianti, artigiani o lavoratori privati che hanno perso il posto al ritmo di due o tre al giorno, il ritorno in grande stile dell’emigrazione degli italiani all’estero. Ai nostri politici non interessa nulla se le aziende chiudono o espatriano. Intendono infatti sostituire questi occupati con orde di nuovi assunti come insegnanti, forestali, dipendenti di municipalizzate e partecipate, impiegati di ministeri. 

La persecuzione fiscale e burocratica contro le partite IVA mira a indebolire e alla lunga a distruggere la classe dei lavoratori autonomi, considerati pericolosi e inaffidabili perché si mantengono da soli, senza dipendere dalla politica o dalla spesa pubblica. Al contrario, i dipendenti pubblici sono spesso elettori docili e inquadrati, che votano in massa a sostegno del regime che li mantiene e li protegge. Si tratta di una strategia folle e perversa dal punto di vista economico, ma perfettamente razionale dal punto di vista politico, perché conduce al dominio assoluto del ceto politico-burocratico sulla società civile. 

L’uso sistematico e martellante della propaganda, della menzogna e dell’occultamento della verità costituisce un’altra somiglianza tra il comportamento del governo sovietico di allora e dei governi italiani di oggi. Così come il regime sovietico cercava di nascondere al mondo la terribile situazione che si stava verificando in Ucraina, oggi i media italiani, quasi tutti sussidiati dallo Stato e quindi controllati dal regime, evitano sistematicamente di parlare di un fenomeno di enorme portata sociale come quello dei suicidi dei lavoratori autonomi perseguitati da Equitalia o dall’Agenzia delle Entrate. 

Oggi tutti riconoscono che la propaganda staliniana contro i contadini ucraini, accusati dal regime staliniano di occultare i raccolti e fatti morire di fame a milioni in quanto “evasori”, era falsa, perché le immense quantità di grano o di denaro nascoste dai contadini ucraini non esistevano. Erano pura propaganda, pretesti per colpire delle categorie sociali considerate inaffidabili e poco controllabili. Allo stesso modo, anche oggi le iperboliche cifre sull’evasione sbandierate dalla casta politico-burocratica, e prontamente riprese dai media sussidiati, sono inventate di sana pianta, sono numeri privi di fondamento reale, dedotti da accertamenti gonfiati che, nella grande maggioranza dei casi, si rivelano infondati. 

Del resto, con le decine di strumenti di controllo sempre più invasivi che sono stati creati nel corso degli ultimi anni, quasi più nulla ormai sfugge all’occhio del fisco. Attraverso gli studi di settore, il redditometro, lo spesometro, le segnalazioni al 117, Serpico (il supercervellone elettronico che incrocia decine di migliaia di informazioni al secondo), l’abolizione del segreto bancario, i 400mila controlli all’anno sulle piccole imprese, i blitz contro la mancata emissione di scontrini, il limite all’utilizzo dei contanti fino a 999 euro, l’utilizzo del pos per le transazioni commerciali sopra i 30 euro, il Grande Fratello fiscale conosce praticamente morte, vita e miracoli di ogni contribuente. Com’è possibile che possano sfuggirgli ogni anno centinaia di miliardi?

Nessuno dovrebbe prendere sul serio questi numeri sull’evasione fiscale, perché provengono da una delle parti direttamente interessate e non da un organo terzo e indipendente. I funzionari del fisco hanno un forte interesse a diffondere le cifre più alte possibili, perché più numerosi e scaltri sono gli evasori, maggiori sono le probabilità di ottenere dal governo un potenziamento di organici, mezzi, risorse e poteri. Il ceto politico, da parte sua, accondiscende volentieri, perché la favola del tesoro nascosto dai perfidi evasori gli offre un facile capro espiatorio da dare in pasto al popolino credulone e indottrinato. In questo modo la casta politica può mascherare dietro all’evasione le proprie immense responsabilità nella rovina finanziaria dello Stato, e perpetuare indisturbata il saccheggio e lo sperpero del denaro pubblico. 

Negli anni Trenta l’evasione dei contadini rappresentava una piccola goccia nell’oceano di sprechi e privilegi che caratterizzava lo stato sovietico. Qualcuno pensa che l’odierna situazione italiana sia diversa? Eppure anche oggi, come nell’Ucraina di quel tempo, la lotta all’evasione viene condotta in maniera spietata, senza alcun riguardo per la rovina dell’economia nazionale, la distruzione delle aziende o la disperazione delle vittime. Non una parola di rammarico, di rispetto, o anche solo di pietà umana è uscita dalla bocca dei politici o dei funzionari statali per le migliaia di lavoratori privati che si sono suicidati a causa di una pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro che non ha eguali nel mondo. Anzi, com’è tipico dei regimi totalitari, spesso alle vittime si è aggiunto l’insulto, la beffa e lo sberleffo: i commenti sarcastici sui suicidi degli imprenditori lasciati dai funzionari ministeriali sui social forum sono particolarmente significativi. 

Per la scarsa resistenza opposta dai contadini, durante la grande carestia che colpì l’Ucraina il numero di vittime tra i aguzzini armati fu quasi irrilevante. Anche oggi in Italia i privati produttori di reddito soffrono terribilmente (negli ultimi cinque anni hanno chiuso 400.000 partite iva e 75.500 imprese artigiane), mentre nessun consumatore di tasse statale ha perso il lavoro, è stato indotto a emigrare o si è suicidato per ragioni economiche. Come mai? Una “crisi economica” non dovrebbe colpire in maniera più o meno equilibrata tutte le fasce della popolazione? 

Così come il genocidio dei contadini ucraini non fu una carestia naturale, ma una guerra studiata a tavolino dal governo sovietico con l’intento di liquidare un’intera classe sociale, allo stesso modo i ceti produttivi italiani non sono stati vittime di una “crisi” economica, come continuano a ripetere i giornali, ma di un deliberato attacco sferrato dal ceto parassitario che controlla l’apparato statale. È questa la ragione per cui, oggi come allora, le vittime si contano da una sola parte. Non è ancora chiaro chi sono i perseguitati e chi sono i persecutori? 

 

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