Descrizione
Tra tutti i sistemi politico-economici, il liberalismo è quello che più volte nella sua storia ha subito sconfitte epocali e rinascite inaspettate. Già «orfana» dell’Ottocento, secolo del trionfo della cultura e delle abolizioni di antichi privilegi, con l’affermarsi dei totalitarismi e di ambiziosi progetti di ingegneria sociale, l’idea di una rigida limitazione dei compiti e degli strumenti della politica apparve del tutto anacronistica, così come l’ambizione di fondare la pace fra nazioni attraverso il libero scambio di merci e persone. In questo contesto l’economista austriaco Friedrich von Hayek (1899-1992) fu tra i primi a comprendere la necessità di rifondare una teoria politica in cui non solo il mercato, ma anche il diritto e il suo linguaggio fossero considerati istituzioni in continua evoluzione, regolate dall’incontro fra domanda e offerta e non da governi o intellettuali. Dal trasferimento in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale al premio Nobel, in questo ritratto a tutto tondo Alberto Mingardi prende spunto dalla biografia dell’autore della “Via della schiavitù” per raccontare il percorso del pensiero liberale dal secondo dopoguerra a oggi, in cui il riaffacciarsi di nuove forme di nazionalismo sembra mettere a repentaglio ancora una volta un modello di società aperto e plurale.
Angelo Panebianco –
I sentieri virtuosi di Hayek
Un saggio di Alberto Mingardi, uscito da Marsilio, sull’economista che contestava l’idea di giustizia sociale.
Perché la libertà, secondo il Nobel austriaco, è frutto dei mercati concorrenziali
Per tanti occidentali la «giustizia sociale» è una bellissima cosa e chiunque la osteggi è una persona «cattiva», indifferente di fronte alle sofferenze dei meno fortunati. Non è l’unica ma è una delle ragioni per le quali un genio che ha attraversato il XX secolo, l’austriaco Friedrich von Hayek (1899-1992), sia così poco apprezzato dal pubblico colto, poco letto al di fuori di qualche cerchia ristretta (specialisti di scienze umane e/o studiosi del pensiero liberale). Fu uno dei compiti che si attribuì dimostrare quanta fallacia ci sia nelle diffuse invocazioni a una «maggiore» giustizia sociale. Economista e premio Nobel per l’Economia, filosofo, scienziato sociale e forse il più profondo pensatore liberale del XX secolo, Hayek non è un autore semplice. È sempre stato più facile criticarlo che leggerlo.
Alle sue idee sulla giustizia sociale ha dedicato un saggio fresco di stampa Alberto Mingardi, uno dei maggiori studiosi italiani del pensiero di Hayek. Il titolo Contro la tribù. Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna (Marsilio) chiarisce il taglio del lavoro.
Non si tratta di una ricostruzione dell’opera di Hayek. Ma di un libro che mostra come e perché la sua scelta di provare l’inconsistenza e la pericolosità dell’idea di giustizia sociale (e delle dottrine derivate) discenda dalla sua visione della evoluzione sociale. Per Hayek le società sono passate, attraverso i millenni, dalle bande e dalle tribù preistoriche (società semplici e chiuse) alle complesse società contemporanee, una parte delle quali relativamente libere e aperte. Quell’evoluzione non è stata guidata da una «mano visibile», non ci sono architetti o progettisti che ne abbiano indirizzato i processi. I «sentieri di montagna» citati nel titolo del libro di Mingardi evocano questo fatto.
Chiariscono anche quale sia il contributo di Hayek alle scienze sociali. I sentieri di montagna non sono stati deliberatamente «voluti» da nessuno; si sono formati nel tempo grazie alle tante, anonime persone, che attraversando boschi e prati e calpestando l’erba hanno, ciascuna, contribuito, inconsapevolmente e involontariamente, a farli nascere. Allo stesso modo tanti importanti processi sociali sono «a mano invisibile», sono opere degli uomini, ma senza che ci sia stata alcuna deliberata volontà umana di crearli. Ispirandosi allo scozzese Adam Smith e all’economista austriaco Carl Menger, Hayek ha mostrato che le società non sono solo il prodotto di scelte deliberate (di re e altri potenti) ma anche, in larga misura, l’effetto non previsto né voluto da alcuno di innumerevoli, anonimi (e spesso umili), frequentatori di «sentieri di montagna».
Deriva da questa concezione l’idea che le società «libere» contemporanee siano il fragile e fortuito risultato di complessi processi sociali dispiegatisi nel lungo periodo. Non possono esistere senza mercati concorrenziali guidati da norme generali che non ne distorcano gli esiti a favore di questa o quella categoria sociale.
Per Hayek l’indispensabilità della concorrenza di mercato dipende dalla particolare distribuzione delle conoscenze nelle società complesse. In tali società le conoscenze sono disperse. Ciascuno di noi, per vivere, si serve di conoscenze che non possiede ma che sono di altri.
È la ragione che rende indispensabile, per orientare molte scelte quotidiane di ciascuno, farsi guidare dai prezzi così come sono stabiliti mediante la concorrenza di mercato. «I prezzi (…) sintetizzano un vasto ammontare di conoscenze che ci sono lontane». La visione di Hayek dei processi evolutivi nonché dei meccanismi di mercato è complessa. Mingardi ha il merito di ricostruirla con un linguaggio semplice, comprensibilissimo anche dai non addetti ai lavori.
Hayek non pensa affatto che non si debbano prendere misure a favore dei poveri. È favorevole a garantire ai meno fortunati un reddito minimo. Ma ciò non deve interferire con il meccanismo concorrenziale e la formazione dei prezzi. Che è invece esattamente quanto invocano, ogni giorno, i fautori della «giustizia sociale». Costoro hanno sempre diffuso idee false. Come quella secondo cui il capitalismo di mercato avrebbe prodotto, accanto a grandi ricchezze, anche grandi povertà. Ma la verità storica è che la società di mercato ha generato una ricchezza complessiva assai maggiore di qualunque società del passato, assicurando la sopravvivenza e anche standard di vita più elevati a un numero di persone che non è mai stato altrettanto ampio.
Ma nondimeno si tratta di una società fragile. Funziona al meglio quando è guidata da regole impersonali, generali. Nonché da governi con poteri limitati. Ma questa non è la condizione in cui ha vissuto l’umanità per la gran parte della sua storia. È la ragione per cui, nel mondo occidentale fior di intellettuali, politici (di sinistra e di destra) e uomini di Chiesa (fortunatamente non tutti), si oppongono alla società libera trovando consensi in settori non irrilevanti dell’opinione pubblica.
Mingardi ricostruisce brillantemente le loro tesi. Costoro sono gli inconsapevoli campioni di una distopia, di una utopia negativa: propongono — lo sappiano o no — di fare rinascere, sulle ceneri della società libera, la tribù, la società chiusa. Dietro a tante «generose» perorazioni in favore della giustizia sociale si intravvedono pulsioni autoritarie e nostalgie pauperiste. Il pensiero di Hayek è una risorsa da opporre a quella distopia.
Angelo Panebianco
dal Corriere della Sera, 2 novembre 2020