FREDERIC BASTIAT – Sofismi Economici

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Istituto Liberale – 2021, Pagine 249

I più brillanti attacchi al protezionismo che siano mai stati scritti

Prefazione di Guglielmo Piombini

 

COD: 018-1307 Categoria:

Descrizione

Nella Francia di metà Ottocento numerosi economisti portano avanti la stessa battaglia a favore del libero scambio condotta in Inghilterra dalla Scuola di Manchester di Richard Cobden e John Bright, i quali avevano colto un importante successo politico con l’abolizione delle leggi protettive sul grano nel 1846. Tra gli economisti francesi che promuovono le virtù della libertà di commercio risplende la meteora di Frédéric Bastiat, il quale in un arco di tempo molto breve, dal 1844 fino alla morte nel 1850, riesce a scrivere una serie rilevantissima di articoli che colpiscono per il rigore della logica e la chiarezza dello stile. I Sofismi economici, pubblicati in due volumi nel 1845 e nel 1846, raccolgono diversi saggi in difesa della libertà economica, e racchiudono la più brillante critica al protezionismo che sia mai stata scritta

1 recensione per FREDERIC BASTIAT – Sofismi Economici

  1. Guglielmo Piombini

    Recensione di Guglielmo Piombini

    DIETRO OGNI SOFISMA ECONOMICO SI CELA UN’ESTORSIONE

    La grande scuola liberale francese

    Nell’Europa del diciannovesimo secolo i due grandi centri propulsori del liberalismo sono l’Inghilterra e la Francia. Nell’isola britannica la gloriosa Scuola di Manchester di Richard Cobden e John Bright promuove instancabilmente le virtù del libero scambio, cogliendo un importante successo politico con l’abolizione delle leggi protettive sul grano nel 1846. La stessa battaglia viene condotta in Francia da un gran numero di brillanti economisti, che sviluppano una teoria del laissez-faire ben più solida e coerente di quella teorizzata oltremanica da David Ricardo e John Stuart Mill. La grande scuola liberale francese dell’Ottocento ha come precursori Richard Cantillon, i fisiocrati, Jacques Turgot, Jean-Baptiste Say e Destutt de Tracy, e tra i tanti nomi di spicco annovera Charles Dunoyer, Charles Comte, Gustave de Molinari, Jérome-Adolphe Blanqui, Michel Chevalier. Con i loro scritti riescono a convincere il governo francese a concludere, nel 1860, un trattato di libero scambio con l’Inghilterra, negoziato dagli stessi Cobden e Chevalier.

    Fra tutti questi autori risplende la meteora di Frédéric Bastiat, che in un arco di tempo molto breve, dal 1844 (anno della pubblicazione del suo primo articolo) fino alla morte nel 1850, riesce a scrivere una serie rilevantissima di articoli che colpiscono per la chiarezza dello stile e per il rigore teorico. I Sofismi economici, pubblicati nel 1845 e nel 1846 (finalmente ripubblicati in italiano, dopo tantissimi anni, dalla Libreria San Giorgio, con l’ottima traduzione di Michele Liati) raccolgono due serie di saggi in difesa della libertà economica, e racchiudono la più brillante critica al protezionismo che sia mai stata scritta.

    Bastiat è convinto che gli argomenti a favore del libero scambio siano troppo forti, e che per far trionfare la verità basti farli comprendere alla maggioranza delle persone. Per questa ragione si sforza di essere il più logico e persuasivo possibile. Le difficoltà del suo compito nascono però dal fatto che i benefici della protezione sono ben visibili, perché concentrati, mentre i suoi effetti negativi sono poco visibili perché distribuiti sulla massa delle persone. I vantaggi del protezionismo statale, nota Bastiat, si possono vedere con gli occhi, mentre i suoi svantaggi si possono cogliere solo con la mente. Questo fatto dà un vantaggio politico ai sostenitori dell’interventismo statale, perché è più facile mostrare i disagi che accompagnano le riforme a favore del libero scambio, anziché i benefici finali.

    Gli avversari delle liberalizzazioni hanno quindi buon gioco quando si soffermano sulle sofferenze immediate dovute al ricollocamento dei lavoratori delle industrie non più protette, «le esagerano, le ingrandiscono, ne fanno il soggetto principale della questione, le presentano come il risultato esclusivo e definitivo della riforma … I partigiani dell’abuso citano fatti particolari, nominano le persone, i loro fornitori e i loro operai che saranno danneggiati, mentre quel povero diavolo di riformatore non può che fare riferimento al bene generale che deve diffondersi in maniera invisibile fra le masse. Questo non fa, con grande differenza, lo stesso effetto» (p. 175).

    Abbondanza e scarsità

    Per afferrare tutti i benefici della libertà occorre un lungo lavoro d’analisi, che le persone comuni, compresi i legislatori, spesso non hanno tempo di svolgere. Questo compito spetta all’economista, il quale non si deve fermare agli effetti immediati di una determinata causa, ma deve seguirli lungo tutto il concatenamento degli eventi fino agli effetti finali. Coloro che, al contrario, si fermano agli effetti immediati e ristretti, riguardanti solo un uomo o una classe di uomini e non l’intera società, non sono buoni economisti. In altre parole, per comprendere l’economia non basta osservare, ma siamo costretti a ragionare.

    Questo interesse per la logica porta Bastiat a denunciare i sillogismi incompleti, i falsi ragionamenti e i sofismi di ogni genere, usando di frequente i “casi limite” come mezzo per illuminare le leggi dell’economia (“Volete giudicare le due dottrine? Provate ad esagerarle al massimo grado”). Egli si rivela un maestro soprattutto nella tecnica della reductio ad absurdum, come nella celeberrima “Petizione dei fabbricanti di candele”, nella quale i produttori di lampade e candele chiedono al governo l’oscuramento della luce del sole per contrastare la concorrenza sleale di questo concorrente straniero che offre lo stesso bene a un prezzo imbattibile, cioè gratis. Come fa notare Bastiat, i protezionisti non possono respingere la spavalda richiesta dei fabbricanti di candele se non entrando in contraddizione con le teorie che professano.

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    La petizione dei fabbricanti di candele

    «Noi sopportiamo l’intollerabile concorrenza di un rivale straniero posto, a quanto pare, in condizioni talmente superiori alle nostre, riguardo alla produzione della luce, che ne inonda il nostro mercato nazionale a un prezzo incredibilmente basso … Questo rivale, altro non è che il Sole … Noi chiediamo di fare una legge che ordini la chiusura di tutte le finestre … attraverso le quali la luce del sole è solita penetrare nelle nostre case … Prevediamo le vostre obiezioni, signori, ma non potreste utilizzarne una sola che non sia presa dai libri usati dai partigiani della libertà dei commerci … Scegliete, dunque, ma siate logici: fino a quando respingerete, come fate, il carbone, il ferro, il frumento, i tessuti stranieri, in maniera proporzionale a quanto il loro prezzo si avvicina a zero, che incoerenza sarebbe ammettere la luce del sole, il cui prezzo è zero durante tutto il giorno?» (p. 53-57).

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    Bastiat rivolge quindi al pubblico una domanda retorica: per il benessere dell’uomo e della società, è preferibile l’abbondanza o la scarsità? L’abbondanza, ovviamente. Perché allora la teoria contraria, favorevole alla scarsità dei beni, è di gran lunga più popolare nelle conversazioni di piazza, sui giornali e nelle aule legislative? A ben guardare, infatti, le restrizioni legali al commercio che tanti invocano per questo o quel prodotto hanno «per scopo manifesto e per effetto riconosciuto quello di provocare il rincaro dei beni, che non è altro che la rarità dei prodotti» (p. 22).

    All’uomo isolato, spiega Bastiat, non verrebbe mai in mente di sostenere la causa della scarsità. Lo scambio inerente alla vita sociale, però, complica le cose perché crea due interessi divergenti, quello del consumatore e quello del produttore. In quanto consumatore, l’uomo desidera beni abbondanti e a buon mercato; in quanto produttore vuole la scarsità nel proprio ramo d’industria, che gli permette di vendere a prezzi più alti. Occorre quindi stabilire quale dei due interessi coincida con l’interesse generale della società. Per scoprirlo basta domandarsi come sarebbe il mondo se tutti i desideri degli uomini fossero esauditi.

    Come produttori, osserva Bastiat, in cuor nostro facciamo sempre voti antisociali. Un vignaiolo, ad esempio, sarebbe felice se gelassero tutte le vigne del mondo eccetto la sua. Ecco dove nasce la teoria favorevole alla scarsità. Se i desideri segreti di tutti i produttori fossero realizzati, il mondo tornerebbe rapidamente alla barbarie: la vela vieterebbe il vapore, il remo vieterebbe la vela, che a sua volta sarebbe messa fuori legge dal carro, poi dal mulo e dal facchino, fino a quando la scarsità di tutte le cose non farebbe sparire l’uomo dalla faccia della terra. Al contrario, il consumatore può spingere i suoi desideri fino al massimo, può volere l’infinita abbondanza dei beni a costo zero, senza che i suoi sogni cessino di essere umanitari. Ne consegue che l’interesse del consumatore è in perfetta armonia con l’interesse generale. Le leggi dovrebbero prendere la sua parte, invece di favorire il produttore.

    Eliminare o aggiungere ostacoli?

    Un secondo sofisma usato dai protezionisti è quello di valutare il lavoro non dal suo risultato, ma dallo sforzo impiegato. In altre parole, non come un mezzo ma come un fine. Le limitazioni commerciali hanno infatti come fine manifesto ed effetto riconosciuto quello di aumentare il lavoro necessario a produrre la stessa quantità di beni. Al tempo di Bastiat molti uomini politici francesi cercavano di impedire l’arrivo di stoffe a buon mercato dal Belgio o dall’Inghilterra per farle produrre in patria e dare così lavoro ai francesi. Bastiat chiama “sisifismo” (da Sisifo, costretto per l’eternità a spingere pesanti massi su una montagna per vederli poi rotolare a valle e ricominciare da capo) questo modo di pensare, che confonde gli ostacoli da superare con la causa della ricchezza.

    Nelle attività pratiche, nota Bastiat, nessuno adotta il sisifismo; solo i teorici e i legislatori lo seguono. Bastiat fa l’esempio del signor Bugeaud, agricoltore e deputato, che si comporta in maniera opposta a seconda che agisca in veste privata o in veste pubblica. Quando lavora i campi cerca, come tutti lavoratori, di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo; quando vota le leggi cerca invece di moltiplicare gli sforzi e gli ostacoli per “dare alimento all’industria”. In realtà il lavoro aggiuntivo necessario a produrre le stoffe in patria anziché acquistare quelle straniere, migliori e meno care, è del tutto inutile, come quello di Sisifo. Il libero scambio non distrugge mai lavoro, ma lo sposta verso altri impieghi più utili. Il risultato finale è che, a parità di lavoro, gli uomini possono soddisfare un maggior numero di bisogni.

    Il luddismo, cioè l’odio per le nuove tecnologie industriali, si basa sullo stesso errore del protezionismo. Se fosse vero che le invenzioni creano disoccupazione, dice Bastiat, allora dovrebbero esserci più opportunità di lavoro tra i selvaggi cherokee o uroni che tra gli inglesi o i francesi, mentre è vero il contrario. Il luddismo presuppone un’antitesi irrisolvibile tra la forza mentale e la forza fisica dell’uomo, tra il suo progresso intellettuale e il suo benessere materiale. Ma per quale motivo, si chiede l’autore dei Sofismi economici, la natura avrebbe dato all’uomo due facoltà che si distruggono a vicenda?

    Di fatto il protezionismo cerca di intralciare i trasporti delle merci, rendendoli più costosi o difficoltosi. Una tassa doganale, scrive Bastiat, è come una palude, una frana, una laguna, un ripido pendio, cioè un ostacolo artificiale che ha lo stesso effetto di un ostacolo naturale: forzare l’aumento del prezzo, allargando la differenza tra il prezzo di produzione e quello di consumo. Che senso ha, allora, costruire strade, porti e canali, se poi si rifiutano i loro benefici? Il contribuente è beffato due volte: prima paga la costruzione di una nuova via di collegamento, poi paga il dazio per annullare l’utilità dell’opera.

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    Ostacoli naturali e ostacoli artificiali

    «Perché una cosa, fatta per esempio a Bruxelles, quando è arrivata a Parigi costa più cara? … ciò dipende dall’esistenza di ostacoli di diversa natura, fra Parigi e Bruxelles. In primo luogo la distanza … vengono poi i fiumi, le paludi, gli accidenti del terreno, il fango. Sulle strade vi saranno poi dei ladri … Ora, fra questi ostacoli, ve n’è uno che noi stessi abbiamo messo, e con grandi spese, fra Bruxelles e Parigi. Sono gli uomini appostati lungo la frontiera, armati fino ai denti, e incaricati di creare difficoltà al trasporto delle merci fra un paese e un altro. Si chiamano doganieri … Io mi domando come possa essere entrata nei nostri cervelli tanta bizzarria da indurci a pagare molti milioni per distruggere gli ostacoli naturali che si frappongono tra la Francia e l’estero, e pagare allo stesso tempo molti altri milioni per sostituire ad essi degli ostacoli artificiali che hanno esattamente gli stessi effetti» (p. 61-62).

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    Fisiologia della spogliazione
    Il protezionismo non è solo dannoso, ma è anche ingiusto, perché «disporre per legge dei consumatori, riservarli al lavoro nazionale, è invadere la loro libertà, è vietare loro un’azione, lo scambio, che di per sé non ha nulla di contrario alla morale; in una parola, è far loro ingiustizia» (p. 86). Ciononostante i sostenitori del protezionismo lo ritengono necessario per salvaguardare l’economia nazionale e la prosperità pubblica. In questo modo, osserva Bastiat, gli scrittori della scuola protezionista arrivano a questa triste conclusione: Giustizia e Utilità sono radicalmente incompatibili. Nella loro visione, infatti, gli uomini possono raggiungere la prosperità solo attraverso l’ingiustizia, la violenza, la guerra.

    Il commercio crea invece una dipendenza reciproca tra le nazioni, perché «noi non possiamo dipendere dallo straniero, senza che lo straniero dipenda da noi; è questa l’essenza stessa della società. Rompere delle relazioni naturali non significa mettersi in uno stato d’indipendenza, ma piuttosto in uno stato d’isolamento» (p. 99). Di solito si cerca l’indipendenza economica in previsione di una guerra, ma l’atto di isolarsi è già foriero di conflitti, perché un popolo che non partecipa al commercio non ha altro modo di procurarsi le risorse se non con la conquista, o spogliazione, degli altri popoli.

    Infatti, spiega Bastiat, esistono solo due mezzi per procurarsi le cose necessarie alla vita: la produzione e lo scambio, oppure la spogliazione. In questo secondo caso si aspetta che qualcun altro abbia prodotto qualche cosa, per poi strapparglielo con l’inganno o con la forza. Forme di spogliazione sono i furti, le rapine, le frodi commerciali, le conquiste militari, i privilegi monopolistici, i dazi, le tasse.

    Un’opera di spogliazione particolarmente estesa e sistematica viene esercitata dallo Stato attraverso l’abuso dei servizi pubblici. Mentre nelle transazioni ordinarie ciascuno rimane giudice del servizio ricevuto, potendo rifiutare lo scambio o farlo altrove, con lo Stato le cose cambiano perché «noi siamo sempre costretti ad accettare quelli che ci fornisce, e a pagarli al prezzo che egli assegna loro» (p. 140). La tattica dello Stato consiste quindi «nel presentare come servizi effettivi ciò che in realtà non è che un ostacolo; in questo modo la nazione non paga per avere dei servizi, ma dei disservizi. I governi, assumendo proporzioni gigantesche, finiscono per assorbire metà di tutti i redditi» (p. 142). I politici, come tutti gli uomini, hanno l’irresistibile tendenza ad esagerare il valore dei servizi che rendono. L’unico limite a questa pretesa è la libera accettazione o il libero rifiuto di coloro ai quali questi servizi vengono offerti. Per questa ragione «è meglio lasciare il maggior numero possibili di servizi nella categoria in cui le parti interessate commerciano a prezzo dibattuto» (p. 143). Meglio cioè lasciarli al settore privato.

    Ciò che separa l’ordine sociale dalla perfezione, spiega Bastiat, è proprio lo sforzo costante dei suoi membri di vivere e crescere alle spese gli uni degli altri. Se la spogliazione non esistesse, la società sarebbe perfetta, e le scienze sociali non avrebbero alcuno scopo. Dietro ogni sofisma economico, infatti, si cela sempre un’estorsione, perché «per derubare il pubblico, occorre ingannarlo. Ingannarlo è convincerlo che viene derubato per il suo bene; è fargli accettare in cambio dei suoi beni servizi fittizi, e spesso di peggio» (p. 126). L’utilità dell’economia politica è quindi evidente: è come una fiaccola che svela gli inganni e dissipa gli errori, distruggendo così le basi della spogliazione, la fonte maggiore del disordine sociale. Pochi economisti hanno svolto questo compito meglio di Frédéric Bastiat.

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    Il piccolo arsenale del liberoscambista

    «Se vi dicono: “Le altre nazioni hanno su di noi mille vantaggi”. Rispondete: “Col commercio, esse sono costrette a farvene parte”. Se vi dicono: “Con la libertà, noi saremo inondati di pane, di manzo, di carbone, e di cappotti”. Rispondete: “Non avremo né fame né freddo”. Se vi dicono: “Con cosa pagheremo?” Rispondete “La cosa non vi preoccupi. Se saremo inondati significa che con qualcosa avremo pagato; e se non potremo pagare, non saremo inondati” … Se vi dicono: “Anche ammettendo che la protezione sia ingiusta, tutto si è adeguato a questo sistema; vi sono capitali impegnati, diritti acquisiti: non si può uscirne senza sofferenze”. Rispondete: “Ogni ingiustizia avvantaggia qualcuno … Argomentare riguardo ai disagi che la cessazione dell’ingiustizia porterebbe a colui che ne trae ora vantaggio è come dire che un’ingiustizia, solo perché è stata commessa in un dato momento, debba continuare per sempre” (p. 245-250)

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    18 dicembre 2013

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