Ludwig von Mises – Lo Stato onnipotente

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La nascita dello Stato totale e della guerra totale

Introduzione di Lorenzo Infantino

Edizioni: Società Aperta Anno: 2021   pag. 405

COD: 018-45 Categoria:

Descrizione

Com’è possibile che un regime come quello nazista sia riuscito a conquistare il potere? Uscito nel 1944, il testo di Ludwig von Mises rigetta facili spiegazioni e punta il dito contro lo statalismo. Per il grande economista liberale, il nazismo ha sviluppato precedenti tendenze stataliste, già avviate nelle epoche bismarckiana e guglielmina. Convinto delle profonde relazioni tra interventismo statale e nazionalismo, tra protezionismo e guerra, von Mises, nel presente libro, sostiene la somiglianza tra comunismo e nazismo, una somiglianza che si fonda su configurazioni economiche e pratiche politiche analoghe. Introduzione di Lorenzo Infantino.

1 recensione per Ludwig von Mises – Lo Stato onnipotente

  1. Carlo Zucchi

    Pubblicato nel 1944, questo volume è dedicato all’allora recente storia della Germania, descrivendone gli aspetti relativi all’evoluzione storica, politica ed economica che porterà al nazismo e allo scoppio della II Guerra Mondiale. Accanto a una disamina della storia tedesca, Mises sviluppa una critica poderosa delle ideologie politiche, sociali ed economiche che hanno plasmato la storia dell’Europa negli ultimi 200 anni. Riguardo alla storia tedesca, Mises fa risalire la causa dei mali che portarono al nazismo alla mancanza di una compiuta rivoluzione liberale da parte della Germania. La tacita alleanza tra gli Hoenzhollern e i socialisti di Lassalle, alla fine degli anni ’60 del XIX secolo, consentì di strangolare il liberalismo tedesco nella culla. Fu così che, dal 1870 in poi, la cultura tedesca, specie in ambito economico, fu dominata dai “Socialisti della cattedra” capitanati da Gustav Schmoller, i cui alterchi con Carl Menger diedero luogo a pubblicazioni quali “Sul metodo delle scienze sociali”, che Menger scrisse in contrasto con le idee della scuola storica di economia allora imperante in Germania.

    Ebbene, quella Germania che aveva dato nel Settecento i natali a personaggi quali Schiller, Goethe, e Beethoven (e purtroppo anche a Hegel!), piombò via via nella barbarie socialista. L’individualismo e il liberalismo cedettero il passo al nazionalismo e al socialismo, sradicando così quel clima di cooperazione pacifica tra le nazioni europee presente fino al 1914. Il bellicismo di cui gli Hoenzhollern impregnarono la nazione tedesca si fece sempre più forte fino a che scoppiò la guerra nel 1914. Quello spirito bellicoso si estese a tutta l’Europa, e le ferite che provocò non si cicatrizzarono con la fine del conflitto. Sempre quello spirito d’odio la fece da padrone a Versailles, come pure in molte cancellerie d’Europa, ma, soprattutto, fece breccia nel cuore dei tedeschi. Decenni di cultura statolatrica e bellicista aveva fatto nascere il mito della “Pugnalata alla schiena” e aveva seminato il germe dell’antisemitismo, che vedeva nell’ebreo, lo straniero senza patria, un cospiratore al servizio di fantomatiche plutocrazie che complottavano contro la nazione tedesca. Decenni di propaganda militarista infusero nella mente dei tedeschi il mito dell’invincibilità della Germania, la cui sconfitta non poteva che essere causata da qualche traditore. E chi se non l’ebreo? Non è davvero difficile comprendere come, da premesse simili, un personaggio del calibro di Adolf Hitler potesse giungere al potere per via democratica.

    La vulgata antifascista che vede il nazismo e il fascismo quali manifestazioni del capitalismo reazionario viene del tutto confutata da Mises, il quale ravvede, anzi, nel nazifascismo una delle tante manifestazioni del socialismo (Hitler e Mussolini non provenivano forse dalla grande famiglia socialista?), che aveva messo pian piano radici un po’ ovunque, in forme più o meno violente. Mises non manca di collegare l’esperienza nazista a quella bolscevico-marxista, in quanto entrambi i regimi furono illiberali e totalitari. E se il bolscevismo abolì del tutto la proprietà privata, il nazismo trasformò via via gli imprenditori e i proprietari di industrie in manager di Stato, e le aziende private che producevano per il mercato in aziende con obiettivi fissati dallo Stato (seppure sotto la direzione dei “proprietari manager”). Anche questo è un modo tutt’altro che ininfluente di abolire la proprietà privata, perché come si fa a dirsi proprietario se, pur rimanendo tale, non puoi disporre dei tuoi beni?

    L’immane tragedia delle due guerre, quindi, è stato il risultato inevitabile di dottrine olistiche e di politiche ancor oggi tutt’altro che impopolari. È così, osservava Mises, che gli uomini vogliono il totalitarismo, vale a dire situazioni in cui tutte le faccende umane sono gestite dallo Stato. Essi salutano ogni passo verso “più stato” come “progresso” verso un mondo più perfetto e adorano lo Stato con tutti i suoi metodi di costrizione e coercizione, di minaccia e di violenza. Come disse Hans Senholz: “La responsabilità, ad avviso di Mises, dell’attuale situazione mondiale è da attribuirsi a quelle dottrine e a quei partiti che hanno dominato il corso della politica degli ultimi decenni”. Quest’opera di Mises è un autentico capolavoro in grado di gettare potenti fasci di luce sulla situazione politica nazionale e internazionale di uno dei periodi più bui del già nero Novecento.

     

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