Carlo Lottieri, DISINNESCHIAMO LA BOMBA V 

Carlo Lottieri, DISINNESCHIAMO LA BOMBA V 

Il Domenicale, 29 novembre 2003

Ce lo ripetono da più parti: l’ecologia sarebbe la nuova “emergenza”. Un tema – ci viene detto – non di destra né di sinistra, e per questo destinato a farci andare tutti d’accordo. Le risorse scarseggiano e rischiamo di restare presto al buio; i fiumi sono malati come mai nel passato; numerose specie animali scompaiono; l’Italia brucia ogni estate e lo stesso avviene altrove (di recente è toccato alla California). Per non parlare dell’inquinamento dell’aria che ci obbliga ripetutamente a lasciare a casa l’automobile.

Questa è la “litania” (per usare l’espressione efficacemente utilizzata dall’ambientalista scettico Bjørn Lomborg) che tutti conosciamo bene. Ma – in realtà – le cose non stanno così, soprattutto perché la drammatizzazione dei problemi ecologici non ha nulla di neutrale. Quella verde, in effetti, è un’ideologia ben precisa, le cui molteplici origini non sono sempre nobilissime (si veda ad esempio: Anna Bramwell, Ecologia e società nella Germania nazista. Walter Darré e il partito dei verdi di Hitler, Reverdito, 1988). Tale visione del mondo, per giunta, oggi rappresenta la più seria minaccia alla società liberale, oltre che un implicito rigetto dell’antropocentrismo biblico e cristiano. Nel suo ripudio del mercato capitalista, l’ambientalismo è espressione di tutti quegli umori statalisti e collettivisti che ancora pervadono l’Occidente.

Proprio per questo, l’ecologismo è spesso colpevole del degrado in cui si trovano le montagne, le coste e altre aree naturali, che sono state progressivamente sottratte alla cura dei privati e quindi affidate a burocrati distratti e a politici irresponsabili. Mentre ognuno di noi sta bene attento che non sorgano incendi nei pochi metri quadrati del proprio giardinetto, le foreste vanno a fuoco quasi sempre per ragioni politiche: e quando non è l’irragionevolezza di norme che allontanano la gente dalle valli (come avviene nei parchi, a causa di vincoli e proibizioni), è una politica urbanistica o assistenziale che stimola comportamenti criminali altrimenti incomprensibili. Ma l’ideologia della natura ci minaccia in molti altri modi: e fin dalla più tenera età. Basti vedere come ormai essa domini i cartoni animati e i romanzi che oggi “formano” le future generazioni: nei quali gli uomini sono sempre distruttori (e malvagi), mentre gli animali appaiono buoni e – paradossalmente – perfino più “umani” di noi stessi. Piccoli ecologisti crescono, in ogni classe elementare, con l’aiuto di libri di testo ultra-ideologizzati che avversano l’umanità in quanto tale, la tecnologia, i consumi, la crescita demografica, la scienza, la libera iniziativa, e celebrano quali nuove imprescindibili scadenze “liturgiche” la Giornata dell’Albero, quella dell’Acqua, quella del Riciclo e via dicendo.

I suggerimenti del prof. Sartori

Uno degli ultimi miti della vulgata ambientalista vuole che il mondo sia minacciato dal surriscaldamento dell’atmosfera, fenomeno che – naturalmente – sarebbe determinato dall’attività umana. Di conseguenza, per evitare la “catastrofe” (il termine ricorre ossessivamente nella letteratura ecologista, di tono alquanto iettatorio) bisogna al più presto “fermare il mondo”: limitare l’emissione dei gas da parte di industrie e impianti di riscaldamento, bloccare la crescita, evitare che il Sud del mondo segua la nostra stessa strada.

Magari suggerendo ai cinesi di continuare a usare la bicicletta al posto dell’automobile, come ha scritto qualche tempo fa il professor Giovanni Sartori. Per ottenere un simile risultato, il capitalismo deve essere messo sotto il severo controllo di un ceto di burocrati che abbiano a cuore le sorti di Gaia, moltiplicando tasse ecologiche e divieti. E poco importa se ciò questo costerà cifre folli a tutti noi, e se con quelle risorse si sarebbero potute fare cose ben più importanti (finanziare, ad esempio, ricerche in grado di sconfiggere malattie terribili). Di fronte alla sacralità della Madre Terra ogni scrupolo va abbandonato. (È significativo, d’altra parte, che gli ecologisti rigettino sistematicamente ogni analisi costi-benefici, dato che il loro atteggiamento dogmatico e l’adorazione del Divino Cosmo impediscono loro di accettare una serena valutazione dei “pro” e dei “contro”.)

Nel momento in cui drammatizzano la questione della temperatura globale del pianeta, gli ambientalisti ritengono di conoscere, senza alcun valido motivo, quali saranno i problemi che l’umanità dovrà affrontare tra cent’anni. Questo, però, non è mai avvenuto nella storia umana. Basti ricordare che alcuni secoli fa, vi fu chi predisse che se l’Inghilterra avesse superato i dieci milioni di abitanti i risultati sarebbero stati disastrosi, poiché nemmeno tutte le foreste dell’isola avrebbero potuto scaldare le case e, quindi, una gran parte della popolazione sarebbe morta di freddo. Del resto, una proiezione statistica effettuata negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo avrebbe fatto temere che, nel giro di cent’anni, l’intero continente nord-americano sarebbe stato sommerso dal letame di cavallo.

Nuove soluzioni per nuovi problemi

Incapaci di immaginare che i nostri nipoti avranno soluzioni nuove per i problemi vecchi e dovranno fare i conti, invece, con problemi del tutto nuovi che oggi nemmeno sappiamo immaginare, gli ecologisti ripetono quell’errore: come se guidassero un’automobile fissando costantemente lo specchietto retrovisore…

Molte di tali discussioni sull’ambiente e sul global warming stanno per concentrarsi in Italia. Dall’1° al 12 dicembre, infatti, Milano ospiterà la Nona Conferenza delle parti contraenti il Protocollo di Kyoto: il cosiddetto “COP9”. Lo scopo di quest’assemblea cui parteciperanno uomini politici, studiosi e funzionari di ogni parte del mondo è quello di trovare un accordo sulla riduzione dei “gas serra”: un’intesa che – se ratificata – obbligherebbe i Paesi occidentali a ridurre del 5% entro il 2008-2012 le emissioni raggiunte nel 1990.

Fortunatamente, non tutti sono disposti ad accettare in silenzio un simile esito. Sebbene poco ascoltati, in effetti, vi sono prestigiosi studiosi che instancabilmente denunciano l’imbroglio che si cela dietro a simili accordi intergovernativi. E bene ha fatto l’Istituto Bruno Leoni – in collaborazione con il Cespas, e col patrocinio del Ministero dell’Ambiente – a organizzare per il 29 novembre, proprio a Milano (alle Stelline, con inizio alle ore 10), una giornata internazionale di studi con l’obiettivo di far sentire “l’altra campana”: mostrando l’inconsistenza delle tesi ecologiste.

Scopri il Bambi che c’è in noi

Come da anni sostiene S. Fred Singer (la massima autorità in materia), in ambito scientifico si è ben lontani dall’avere non già un’unanimità di posizioni, ma anche solo il prevalere delle tesi che attribuiscono all’attività umana una qualche responsabilità sull’aumento della temperatura terrestre. Innanzitutto non si è affatto sicuri che l’aumento esista, poiché disponiamo di dati certi solo per l’ultimo secolo; e le stesse misurazioni compiute dai satelliti in atmosfera non sembrano rilevare alcuna crescita della temperatura. Ma per di più non abbiamo alcuna prova sulle vere cause del fenomeno. Senza considerare che, anche accettando le tesi ambientaliste, neppure il drastico blocco dell’economia globale che deriverebbe dall’adozione di Kyoto darebbe risultati rilevanti. Secondo Lomborg, ad esempio, nella migliore delle ipotesi l’adozione del Protocollo ci farebbe raggiungere nel 2100 quella temperatura cui, altrimenti, arriveremmo nel 2096.

Per giunta, dal punto di vista economico, le conseguenze dell’adozione delle misure decise a Kyoto sarebbero terrificanti: soprattutto per Paesi come la Germania e la Francia, che fanno un uso massiccio dell’energia prodotta dal nucleare, e in cui quindi la riduzione delle emissioni avrebbe un elevato costo unitario. Ma è stato rilevato che perfino la Gran Bretagna, pur meno coinvolta, nel periodo 2008-2012 subirebbe una diminuzione del 4,5% del proprio Pil, a causa dell’aumento del prezzo del petrolio da riscaldamento (46%) e degli altri combustibili. In questo modo il Regno Unito perderebbe fino a un milione di posti di lavoro e analoghe stime proiettano ombre ancora più scure sull’Italia, che dipende in maniera ben più significativa dall’energia nucleare d’Oltralpe. Non si tratta però solo di un problema (pur gravissimo) di posti di lavoro, né unicamente di mettere a rischio la crescita economica e tecnologica. La logica di Kyoto è pure disastrosa per il futuro delle libertà individuali, come da anni sostiene Fred Smith Jr (anch’egli presente al convegno dell’Istituto Leoni).

L’ideologia emergenzialista dei verdi, in effetti, è destinata a inquinare progressivamente il nostro habitat normativo, conferendo a politici e burocrati la facoltà di intervenire sempre di più nella nostra vita. In questo senso il Protocollo di Kyoto annuncia un’iniezione massiccia di statalismo, regolamentazione, burocrazia, con tutto il suo corredo di pene e sanzioni. L’ecologismo è oggi il cavallo di Troia di uno statalismo fallito in ogni ambito, che ora pretende di reinventarsi in nome della Natura, ma il cui vero obiettivo è sottrarre a imprenditori e consumatori la libertà di agire e di interagire.

Le tesi ambientaliste sul surriscaldamento dell’atmosfera sono quindi soprattutto liberticide, poiché frutto di un’ideologia che nega la dignità dell’uomo e lo mette, sempre e comunque, sul banco degli imputati. Se nell’immaginario ecologista c’è in ogni momento una mamma di Bambi che viene uccisa dai cattivi cacciatori (dagli uomini, quindi, e cioè da tutti noi), non c’è da stupirsi che quell’ideologia ci preannunci un futuro da codice penale.

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