Marco Faraci, TRA LIBERTA’ E TRADIZIONE: LE DIFFERENZE TRA DESTRA E LIBERTARI

Marco Faraci, TRA LIBERTA’ E TRADIZIONE: LE DIFFERENZE TRA DESTRA E LIBERTARI

Enclave numero 17, dicembre 2002

Il libertarismo è una dottrina politica che riguarda il solo problema dell’utilizzo della forza nella società. Tale dottrina può essere ridotta ad un solo assioma centrale: nessuno ha il diritto di usare per primo la forza contro la persona o la proprietà altrui.

Il libertarismo non pretende, invece, di imporre attraverso la politica un determinato sistema di valori. I singoli libertari possono naturalmente approvare o disapprovare determinati stili di vita ma essi non ritengono che debba essere usata la coercizione legislativa per impedire scelte pacifiche. Evidentemente questo modo di procedere consente di fare convivere all’interno del movimento libertario sensibilità talora anche molto lontane. Accanto al razionalismo ed all’egoismo etico di Ayn Rand trova posto, ad esempio, anche un libertarismo tradizionalista e solidale con il quale anche la destra comunitarista europea può trovare proficuo aprire un confronto.

Un primo tema di dibattito potrebbe essere il rapporto con la modernità. I maggiori teorici della destra comunitarista hanno spesso incarnato una rivolta contro la modernità. I libertari, dal canto loro, rispondono facendo ben attenzione a scindere i concetti di società moderna e di Stato moderno. La prima non li spaventa certo, anzi nella maggior parte dei casi i libertari si trovano perfettamente a loro agio tra internet e new economy.

I libertari sono, invece, particolarmente radicali nella loro critica allo Stato moderno, cioè a quella forma di Stato nata dalla Rivoluzione Francese. Si tratta di una tipologia di organizzazione statuale che nasce forte grazie alle giustificazioni di teorici democratici quali Rousseau secondo cui lo “Stato siamo noi” e quindi qualunque cosa lo Stato faccia è giustificata perché è come se la facessimo noi e qualunque sacrificio lo Stato ci chieda – fino al sacrificio della vita – è giustificato perché è come se lo facessimo per noi.

Negli ultimi 2 secoli lo Stato si è così espanso obbligando i suoi sudditi alla coscrizione, a tasse elevatissime ed irreggimentandoli con un diluvio legislativo in un crescendo che ha portato ai sanguinosi totalitarismi del XX secolo. Uno dei più interessanti esponenti del pensiero libertario contemporaneo, Hans Hermann Hoppe, smaschera le contraddizioni della rappresentatività democratica (1) e giunge persino provocatoriamente ad una parziale rivalutazione relativa delle monarchie assolute settecentesche (2).

Una dei miti più ricorrenti all’interno della destra politica europea è che lo Stato svolga una funzione positiva nella preservazione delle singole comunità e delle loro tradizioni che sarebbero, invece, sradicate dal libero mercato. La storia ci insegna invece che sono sempre stati gli Stati e non i mercati i veri nemici delle comunità tradizionali. Attraverso il monopolio dell’uso legale della violenza gli Stati hanno infatti avuto gioco facile nell’opprimere e nel cercare di rimuovere le culture minoritarie. Dai Balcani alla Cina, dall’Indonesia all’Africa Centrale la diversità è cancellata nel sangue in nome dello Stato nazionale.

Esiste una differenza qualitativa fondamentale tra chi impone una cultura che si impone attraverso l’uso della forza ed una cultura che si espande sulla base di adesioni volontarie.

I libertari, ad esempio, non temono l’inglese. La scelta di apprendere l’inglese è una scelta volontaria che un individuo fa sulla base di una personale valutazione del rapporto costi/benefici. Per noi italiani l’inglese pertanto non è una lingua imposta, ma una lingua che si afferma nel mercato sulla base di scelte che i singoli individui fanno per ridurre i “costi di transazione”.

Al contrario il nuovo super-stato europeo potrebbe teoricamente cancellare per decreto l’italiano imponendo al suo posto l’esperanto e vietando che l’italiano siano insegnato e persino parlato. Del resto questo è esattamente quello che lo Stato italiano storicamente ha fatto distruggendo le lingue delle comunità locali.

La comunità, secondo i libertari, è possibile anche senza lo Stato. Anzi la ricchezza delle relazioni spontanee (cioè delle relazioni di mercato) della società civile non può in nessun modo essere uguagliata dalla pianificazione sociale di qualche burocrate che si crede onnisciente. L’America del secolo scorso offre un ottimo esempio di ciò. Nel XIX secolo lo Stato era virtualmente assente dalla vita degli americani tanto che tanto che si diceva che se non fosse stato per il servizio postale – uno dei pochi servizi “pubblici” – la maggior parte degli americani non si sarebbe nemmeno accorta dell’esistenza di un governo.

Tuttavia in quell’America il senso di comunità era estremamente forte e forte era anche il senso di solidarietà all’interno di una comunità. Praticamente ogni famiglia era membro di qualche associazione religiosa o caritatevole e questo ha reso possibile che la scolarizzazione divenisse pressoché universale – almeno tra i bianchi – ben prima che lo Stato cominciasse ad occuparsi di istruzione.

Nel corso del XX secolo invece lo Stato negli Stati Uniti si è espanso fino a regolare ogni aspetto della vita dei suoi cittadini ed a “prendersi cura” di loro dalla culla alla tomba: scuola pubblica, sanità pubblica, solidarietà pubblica, pensioni pubbliche. E proporzionalmente all’espansione dello Stato si sono ridotti invece gli spazi della società civile. Il senso di comunità si è andato sempre più sfumando così come la memoria dell’eredità politica e sociale dei Padri Fondatori.

I libertari sostengono le comunità volontarie e la comunità volontaria per eccellenza, come spiega Carlo Lottieri (4) è la famiglia. La famiglia svolge un ruolo essenziale nella preservazione culturale perché è il canale privilegiato attraverso il quale si trasmettono le differenze – siano esse culturali, economiche o religiose. E’ per questo che chi sostiene ideologie egualitarie, siano esse di destra o di sinistra, è fortemente interessato a colpire la famiglia e ciò avviene in primo luogo sottraendo ai genitori il potere di educare i figli. Uno dei primi filosofi dello “Stato forte”, Platone, sosteneva in pratica che i bambini dovessero essere subito portati via dalla famiglia e cresciuti in una sorta di grande incubatrice pubblica, progetto sostanzialmente realizzato durante il breve quanto sanguinoso governo di Pol Pot in Cambogia.

Un po’ in tutti i paesi la scuola pubblica risulta essere il primo strumento di omologazione e di massificazione. L’obiettivo della scuola pubblica è quello di annullare le differenze e di indottrinare i giovani con una cultura unica politicamente corretta.

I libertari credono, invece, che i genitori dovrebbero avere la possibilità di fare studiare i loro figli i programmi che giudicano migliori e di comunicare loro i valori in cui credono. Pertanto si oppongono all’idea del controllo pubblico sull’istruzione e sognano una pluralità di scuole cattoliche, protestanti, libertine, padane, italiane, tradizionali, sperimentali, rigorose e blande. Credono anche nella possibilità per i genitori di non mandare i figli a scuola, ma di fare studiare i bambini a casa a modo loro: il cosiddetto homeschooling che sempre più ha successo negli Stati Uniti.

Se lo Stato, come detto, può a suo piacere decidere di cancellare una comunità perché minoritaria, oggi colpisce le comunità anche in modo diverso e più politicamente corretto, cioè attraverso il multiculturalismo obbligato. Lo Stato ricorre infatti a strumenti quali l’integrazione forzata (resa possibile in primo luogo dalla scuola pubblica), quali l’istituzione di discriminazioni di Stato a favore degli alloctoni (es. quote ed azioni affermative) ed infine proibendo il diritto dei privati a discriminare.

E’ bene notare che qualunque relazione un individuo instauri – sia essa economica, sociale ed affettiva – essa consiste in una discriminazione. In quanto prevede che si scelga un partner (e se ne escludano altri) in base a criteri soggettivi. Questi criteri possono essere i più vari. Ad esempio un datore di lavoro potrà discriminare sulla base della presunta capacità di un candidato all’assunzione di svolgere adeguatamente il lavoro. Un uomo eterosessuale compierà una discriminazione nel momento in cui sceglierà di innamorarsi di una donna anziché di un uomo. Poi probabilmente tra le varie donne compierà poi altre discriminazioni, sulla base del loro aspetto fisico, del loro background culturale e dei loro valori.

I libertari sostengono il diritto soggettivo degli individui a discriminare, cioè a scegliere con chi relazionarsi, perché ritengono che proibire il diritto di discriminare significa proibire il diritto a stipulare libere relazioni ed in definitiva opposi alla stessa libertà di associazione (inclusiva della libertà negativa di associazione).

La stessa immigrazione così come la conosciamo attualmente è, secondo molti libertari, fondamentalmente un prodotto statalista. Scrive Rothbard (3): “una società interamente privatizzata non avrebbe assolutamente frontiere aperte. Se ogni pezzo di terra in un paese fosse posseduto da qualche persona, gruppo o società ciò significherebbe che nessun immigrante potrebbe entrarvi se non è stato invitato ad entrare e se non ha ottenuto il consenso ad affittare od acquistare la proprietà. Un paese totalmente privatizzato sarebbe chiuso quanto i singoli abitanti e proprietari desiderano”.

L’analisi di Hoppe (1) ha ulteriormente approfondito la riflessione libertaria in tale ambito. In particolare dall’elaborazione di una teoria contrattuale dell’immigrazione sono scaturite soluzioni che garantiscano effettivamente ai proprietari “libertà di accogliere – diritto di escludere”.

I libertari liquidano come artificiosa la contrapposizione tra la socialità autoritaria della Gemeinschaft e la libertà asociale della Gesellschaft (4) ed affermano che è invece lo Stato a mostrare tutto il suo carattere anti-sociale, tanto nel momento in cui proibisce relazioni e scambi pacifici e volontari tra individui, tanto nel momento in cui impone rapporti (economici o sociali) a persone non consenzienti. E’ proprio dalla progressiva disgregazione delle comunanze imposte e delle solidarietà retoriche e coatte che può però nascere un nuovo ordine che si fondi su una pluralità di ordinamenti competitivi e di liberi rapporti contrattuali e che può trovare la sua espressione in comunità volontarie, zone franche, città private e piccole patrie – “nazioni per consenso” – basate sull’effettivo consenso di chi ci vive.

Dalle ceneri dello Stato moderno potranno in definitiva riemergere la varietà e la ricchezza delle relazioni volontarie di mercato e le potenzialità di una società civile troppo spesso sottovalutata.

Bibliografia:

Per un quadro generale sul libertarismo si veda:

Carlo Lottieri, “Il pensiero libertario contemporaneo”, Liberilibri, 2001 – L.30.000

Gli altri testi citati sono:

(1) Hans Hermann Hoppe, “Abbasso la democrazia”, Leonardo Facco Editore, 1999 – L.15.000

(2) Hans Hermann Hoppe, “Monarchia, democrazia e ordine naturale” in “Anarchici senza bombe”, Stampalternativa, 2001 – L.10.000

(3) Murray Rothbard, “Nazioni per consenso” in AA.VV., “Nazione, cos’è”, Leonardo Facco Editore, 1996. – L. 12.000

(4) Carlo Lottieri, “Denaro e Comunità”, Guida, 2000 – L.19.500

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