LA GLORIOSA EPOCA DEL LIBERALISMO CLASSICO. 1776-1914

LA GLORIOSA EPOCA DEL LIBERALISMO CLASSICO. 1776-1914

Il MiglioVerde, gennaio 2015

di Guglielmo Piombini

Il fatidico anno 1776

Nel 1776 tre eventi, la Dichiarazione d’Indipendenza americana, l’invenzione della macchina a vapore di James Watt, la pubblicazione de La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, cambiarono per sempre la storia del mondo segnando simbolicamente l’inizio dell’era del liberalismo classico, un periodo prolungato di sviluppo, pace e prosperità che terminerà solo nel 1914 con lo scoppio della prima guerra mondiale. La Dichiarazione d’Indipendenza pose le basi morali di un ordine politico rispettoso dei diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà degli individui; la macchina a vapore testimoniò il fenomenale progresso tecnologico della rivoluzione industriale inglese; La ricchezza delle nazioni spiegò a tutto il mondo le ragioni della superiorità di quello che Smith chiamò “l’ovvio e semplice sistema di libertà naturale”.

Il movimento liberale classico rappresentò quindi, in tutto il mondo occidentale, una potente rivoluzione libertaria contro l’ancien régime che aveva dominato i propri sudditi per secoli. Come ha scritto Murray N. Rothbard, a partire dal sedicesimo secolo questo regime aveva imposto uno Stato centralizzato e un re con poteri assoluti che governava su una stretta rete di monopoli feudali sulle terre e di limitazioni imposte dalle corporazioni urbane. Ne risultò un’Europa che ristagnava sotto una cappa paralizzante di controlli, tasse e privilegi. Questa alleanza tra lo Stato moderno burocratico e guerrafondaio con i mercanti privilegiati (il mercantilismo) e con la classe dei potenti proprietari terrieri feudali costituì il Vecchio Ordine, contro il quale si ribellò il nuovo movimento di liberali classici e radicali nel diciassettesimo e diciottesimo secolo.

Lo scopo dei liberali classici era quello di veder realizzata la libertà individuale in tutti i suoi aspetti. Nell’economia le tasse dovevano essere drasticamente ridotte, e i controlli e le restrizioni eliminate; gli imprenditori dovevano sentirsi finalmente liberi di competere, di svilupparsi e di creare; dovevano essere rimosse le catene restrittive che immobilizzavano terre, manodopera e capitale. Dovevano essere garantite la libertà personale e quella civile; la religione, fonte di guerre sanguinose nei secoli in cui le sette combattevano per conquistare il controllo dello Stato, doveva essere separata completamente dallo Stato. La pace rappresentava l’elemento fondamentale del programma di politica estera dei nuovi liberali classici; il vecchio sistema dell’espansionismo, finalizzato alla conquista di potere e ricchezze, doveva essere sostituito da una politica estera ispirata alla pace e al libero commercio con tutte le nazioni. Di conseguenza gli strumenti del potere militare, gli eserciti e le flotte permanenti, andavano sostituite con milizie locali di carattere volontario composte da cittadini disposti a combattere solamente in difesa delle proprie case (M. N. Rothbard, Per una nuova libertà, 1973, p. 19-20).

Il miglior sistema economico della storia

Durante l’epoca del liberalismo classico l’Occidente ebbe il miglior sistema economico della storia, capace di generare una crescita economica senza precedenti, fenomenali innovazioni tecnologiche e una straordinaria crescita della popolazione. A livello internazionale si impose gradualmente la piena libertà di circolazione delle merci, dei capitali e delle persone; l’inflazione fu inesistente e i prezzi stabili; in Europa e in America le condizioni di vita delle persone migliorarono, la vita media si allungò, molte malattie vennero sconfitte, e l’istruzione si diffuse tra la gente comune; inoltre i cent’anni che seguirono la fine delle guerre napoleoniche furono più pacifici rispetto ai secoli precedenti, dato che i conflitti rimasero localizzati senza divampare in guerre su vasta scala.

L’era liberale classica rappresentò dunque una “grande deviazione”, una netta cesura storica con il passato. Il Pil pro-capite mondiale era sceso leggermente dall’anno 1 d.C all’anno 1000, ed era salito solo del 47 % dal 1000 al 1820. Nel corso del diciannovesimo secolo, invece, la ricchezza media cominciò ad andare alle stelle. L’economia mondiale crebbe di tre volte, ma nei due paesi capofila del liberalismo, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, la crescita economica sorpassò di gran lunga quella del resto del mondo. Dal 1820 al 1913 il prodotto interno lordo inglese aumentò di sei volte, quello americano di quarantun volte! (www.theworldeconomy.org).

Anche i dati sull’aumento demografico sono impressionanti: nei secoli che precedettero la rivoluzione industriale la popolazione europea era cresciuta molto lentamente, ma a partire da quel momento si registrò una vera e propria esplosione. L’aumento della produttività permise infatti di sfamare un numero incomparabilmente più alto di persone. La popolazione inglese quadruplicò, passando dai 10 milioni di abitanti del 1801 ai 40 milioni del 1910. In America le tredici colonie avevano una popolazione di 2,6 milioni di abitanti nel 1770; meno di un secolo dopo, nel 1860, gli americani erano diventati 32 milioni e addirittura 92 milioni nel 1914. L’espansione demografica dell’Occidente nell’epoca del liberalismo classico fu così imponente, che agli inizi del Novecento un abitante della Terra su tre era di origine europea. Significativamente, la fine dell’epoca liberale coincise con l’inizio del rapido declino demografico dell’Occidente a livello mondiale: nel 1960 gli abitanti della terra di origine europea si erano ridotti a circa uno su quattro (750 milioni su 3 miliardi); nel 2000 la popolazione di origine europea è diventata un sesto di quella mondiale, e sarà solo un decimo nel 2050.

L’epoca delle invenzioni

L’era del liberalismo classico fu incredibilmente feconda di scoperte e invenzioni. Quasi tutte le cose che oggi vengono usate quotidianamente sono state inventate in questo periodo. Ecco un elenco parziale: la pila (nel 1800), i cibi in scatola (1802), l’illuminazione a gas (1804), la locomotiva a vapore (1804), la nave a vapore (1807), l’accendisigari (1823), l’impermeabile (1824), il fiammifero (1827), la macchina per scrivere (1829), la dinamo (1831), il campanello elettrico (1831), il frigorifero (1834), la pistola (1836), il telegrafo (1837), la vulcanizzazione della gomma (1839), la fotografia (1839), l’anestesia (1846), la macchina da cucire (1851), i grandi magazzini (1852), le fibre artificiali come il rayon (1855), il latte pastorizzato (1856), l’ascensore (1857), l’industria del petrolio (1859), la lavatrice (1860), le serrature di sicurezza (1861), la celluloide (1865), la dinamite (1866), il cemento armato (1867), il semaforo (1868), il telefono (1876), la lampadina (1879), la carta igienica (1880), il ventilatore elettrico (1882), le fabbriche di automobili (1883), la penna stilografica (1883), il water closet (1883), la turbina (1884), la bicicletta (1884), i grattacieli (1885), la sigaretta (1885), le bibite gassate come la Coca Cola (1886), la lavastoviglie (1886), il grammofono (1887), il radar (1887), le lenti a contatto (1887), il sommergibile (1888), lo pneumatico (1888), il ferro da stiro elettrico (1891), il motore diesel (1892), la radio (nel 1893), la chiusura lampo (1893), il cinema (1895), l’aeroplano (1903), il rasoio a lametta (1903), l’aspirapolvere (1908), il cellophane (1908).

 

Le grandi esposizioni erano l’occasione per mostrare e celebrare queste meraviglie dell’inventiva e del lavoro umano. Per gli inglesi il 1851, l’anno in cui si aprì la prima Grande Esposizione Internazionale al Crystal Palace di Londra, fu talmente esaltante che molti giovani vittoriani lo ricordarono con nostalgia per tutto il resto della loro vita. Più di sei milioni di visitatori parteciparono a un evento che proclamava trionfalmente la visibilità del progresso umano e i benefici della pace e del libero scambio tra le nazioni. Come disse uno scrittore del tempo, Henry Cole, «La storia del mondo non annovera evento paragonabile, nella promozione dell’industria umana, a quello della Grande Esposizione delle opere dell’industria di tutte le nazioni, nel 1851. Un grande popolo invitava tutte le nazioni civili a una festa, per mettere a confronto i prodotti dell’abilità umana. Tutto era stato organizzato con mezzi privati, in maniera autonoma e senza ricorrere a tasse e a quell’impiego di schiavi che avevano imposto le grandi opere dell’antichità» (Asa Briggs, Personaggi vittoriani, 1954, p. 20).

Le tre chiavi del miracolo economico: bassa tassazione, libero scambio, moneta aurea.

1. Bassa tassazione

La Rivoluzione Americana nacque da una rivolta fiscale, e per lungo tempo gli americani si mantennero fedeli all’ideale dello Stato minimo. Nel corso dei suoi due mandati presidenziali, dal 1800 al 1808, Thomas Jefferson perseguì questo obiettivo riducendo al minimo le imposte, le spese e il debito. Nel secondo discorso inaugurale fu in grado di affermare che «la soppressione di uffici superflui e di spese e strutture inutili ci ha permesso di eliminare le nostre imposte interne che, disseminando nel paese gli esattori e aprendo loro le porte di ogni casa, avevano dato inizio a un processo di vessazione. Oggi invece un americano può chiedersi con soddisfazione quale contadino, quale artigiano, quale lavoratore abbia mai visto un esattore negli Stati Uniti».

Per tutto il resto dell’Ottocento gli Stati Uniti non ebbero imposte sul reddito, sugli utili d’impresa e sulle eredità. L’America divenne così il luogo ideale per chi voleva vivere pacificamente del proprio lavoro senza avere a che fare con un governo. Ciò che rimaneva più impresso a tutti i primi viaggiatori europei negli Stati Uniti, a partire dal celebre Alexis de Tocqueville era infatti la capacità degli americani di risolvere ogni genere di problema attraverso l’associazione volontaria, unendosi per un fine comune (come la costruzione di strade, le opere caritatevoli o la mutua protezione) senza l’intervento di istituzioni statali.

Anche l’Inghilterra, che era uscita dalle guerre napoleoniche con un debito pubblico enorme e tasse altissime, seguì un percorso simile. Nel 1815 il parlamento inglese ridusse fortemente le imposte abolendo l’imposta sul reddito e altre tasse interne. Questa audace decisione favorì la Rivoluzione Industriale e innescò una grande espansione economica, grazie alla quale la Gran Bretagna divenne un impero mondiale, leader nell’industria, nel commercio e nella finanza.          

2. Libero scambio

Gli americani aderirono subito ai principi del libero scambio teorizzati da Fisiocrati francesi e da Adam Smith, stabilendo nella Costituzione il divieto da parte dei singoli stati di introdurre dazi e tariffe protettive. In questo modo si formò negli Stati Uniti la più vasta area mondiale di libero mercato, con enormi guadagni di produttività. Da parte sua l’Inghilterra, dopo decenni di agitazione da parte della Lega liberoscambista capeggiata da Richard Cobden e John Bright, arrivò ad abolire nel 1846 le leggi protezioniste sul grano, che avvantaggiavano ingiustamente i proprietari terrieri aumentando il prezzo del pane per le classi popolari. Nei decenni successivi l’Inghilterra ridusse il numero il numero delle merci soggette a dazi da 1152 a 48. Tra il 1846 e il 1914, in 68 anni di politica fondata sul libero scambio, il reddito nazionale britannico quadruplicò, la popolazione e lo standard di vita raddoppiarono, le esportazioni aumentarono di otto volte e mezzo.

Nel frattempo la tendenza alla liberalizzazione degli scambi era diventata internazionale. Già nel 1834 i diciassette staterelli tedeschi avevano stabilito un’area di libero scambio in Germania attraverso un’unione doganale (zollverein), mentre la Francia, l’Italia e la Russia ridussero i loro dazi negli anni Quaranta e Cinquanta. L’affermazione del libero scambio su scala internazionale fu alla base del lungo periodo di pace e sviluppo che caratterizzò tutto il diciannovesimo secolo. Durante questo periodo l’economia mondiale raggiunse un alto livello di integrazione, realizzando un’avanzata forma di globalizzazione.

3. Moneta aurea

Il gold standard, un sistema nel quale la base monetaria è data da una quantità fissa di oro, ha ricevuto poca attenzione fra gli storici, ma fu uno dei fenomeni più straordinari nei cento anni che precedettero il 1914. Anche qui furono gli Stati Uniti a fare da apripista, adottando uno standard bimetallico basato sull’oro e sull’argento nella propria costituzione. Gli Stati Uniti, che passarono allo standard aureo di fatto nel 1834 e ufficialmente nel 1900, non ebbero una banca centrale fino al 1913. I dollari erano monete d’oro o banconote convertibili in oro emesse da banche commerciali private.

L’Inghilterra adottò formalmente il gold standard nel 1819, anche se di fatto esisteva già nel 1717. Tutti gli altri maggiori paesi del mondo entrarono nello standard aureo durante gli anni Settanta dell’800 (l’Italia vi entrò nel 1873). Il periodo che va dal 1880 al 1914 viene quindi considerato il periodo classico del gold standard internazionale. Il mercato regolava automaticamente l’afflusso di merci e oro tra i vari paesi del mondo senza variazione tra i tassi di cambio tra le varie valute. L’adozione del gold standard diede vita a un periodo prolungato di espansione economica senza inflazione, con cambi stabili e bassi tassi d’interesse. Per tutto questo periodo, si disse, “la moneta continuò ad essere buona come l’oro e solida come la rocca di Gibilterra”. Anche i risparmiatori più umili potevano conservare il denaro sotto il materasso sapendo che non avrebbe mai perso potere d’acquisto: ai primi del ‘900 un pezzo di pane costava esattamente come nel 1815, se non di meno.

Gli Stati Uniti e l’Inghilterra all’alba della prima guerra mondiale.

Nel suo importante studio sugli eventi che favorirono la crescita dell’interventismo statale in America, lo storico Robert Higgs ha descritto con nostalgia l’America del XIX secolo:

«È esistita un’epoca, molto tempo fa, in cui l’americano medio poteva svolgere i suoi affari quotidiani senza quasi accorgersi dell’esistenza del governo, specialmente del governo federale. Come agricoltore, mercante o industriale poteva decidere cosa, come quando e dove produrre e vendere i suoi beni, guidato solo dalle forze del mercato. Pensateci: non c’erano sussidi all’agricoltura, sostegni ai prezzi, controlli sull’estensione delle coltivazioni; non c’era la Commissione sul Commercio Federale; non c’erano leggi antitrust; non c’era la Commissione per il Commercio Interstatale. Come datore di lavoro, dipendente, consumatore, investitore, prestatore, mutuatario, studente o insegnate poteva procedere largamente secondo il proprio giudizio. Pensateci: non c’era il Consiglio Nazionale per i Rapporti di Lavoro; non c’erano leggi federali per la “protezione” del consumatore; non c’era la Commissione Titoli e Scambi; non c’era la Commissione per le Uguali Opportunità; non c’era il Dipartimento della Sanità. Poiché mancava una banca centrale che emettesse una valuta nazionale, la gente solitamente faceva acquisti con monete d’oro. Non c’erano tasse indirette a livello generale, non c’erano contributi sociali, non c’era l’imposta sul reddito. Anche se i funzionari governativi erano corrotti quanto oggi, se non di più, c’erano molte meno occasioni di corruzione. I cittadini privati spendevano quindici volte più di tutti i governi statali e federali messi insieme. Quei tempi, ahimè, sono passati da tempo» (R. Higgs,  Crisis and Leviathan, 1987, p. ix).

Ed ecco la splendida descrizione della vecchia Inghilterra dello storico A.J.P. Taylor:

«Fino all’agosto del 1914, non fossero esistiti uffici postali e poliziotti, un inglese giudizioso e osservante delle leggi avrebbe potuto trascorrere la vita senza quasi accorgersi dell’esistenza dello Stato. Poteva abitare dove e come gli pareva. Non aveva numero ufficiale né carta d’identità. Poteva viaggiare all’estero o lasciare il suo paese per sempre senza aver bisogno di passaporto o di autorizzazione di qualsiasi genere; poteva convertire il suo denaro in qualsiasi tipo di moneta senza restrizioni né limiti. Poteva acquistare merci da tutti i paesi del mondo alle stesse condizioni che in patria. Quanto a questo, uno straniero poteva passare tutta la vita in Inghilterra senza autorizzazione e senza neanche informarne la polizia. Diversamente da quanto accadeva nei paesi del continente europeo, lo Stato non chiedeva ai suoi cittadini di prestare servizio militare. Un inglese poteva arruolarsi di sua volontà nell’esercito regolare, nella marina o nei territoriali. Ma poteva anche, se voleva, ignorare le necessità della difesa nazionale. Agiati capifamiglia erano occasionalmente chiamati a far parte di una giuria. Per il resto, aiutava lo Stato solo chi voleva farlo. Gli inglesi pagavano tasse in misura molto modesta: meno dell’8% del reddito nazionale. Il cittadino adulto era lasciato a se stesso. Tutto questo fu mutato dal contraccolpo della Grande Guerra. La massa del popolo diventò, per la prima volta, un insieme di cittadini attivi. La loro vita venne forgiata dagli ordini superiori e si chiese loro di servire lo Stato anziché occuparsi esclusivamente degli affari propri» (A.J.P. Taylor, Storia dell’Inghilterra contemporanea, 1975, pp. 1-2)

La fine del liberalismo classico.

Gli esponenti della grande scuola liberale francese nata nell’epoca della Restaurazione, come Jean-Baptiste Say, Benjamin Constant, Charles Dunoyer, Charles Comte, Augustin Thierry, Adolphe Blanqui, Frédéric Bastiat, Gustave de Molinari, avevano sviluppato una visione ottimista della storia, detta “industrialismo”, secondo cui i principi del liberalismo classico si sarebbero estesi in tutto il globo, portando alla dissoluzione dei governi, alla scomparsa dell’oppressione statale, e quindi a una società senza classi interamente basata sulla produzione e gli scambi volontari. Purtroppo la storia prese una direzione opposta, e l’inarrestabile progresso della libertà immaginato dai liberali francesi non si realizzò. Gli anni Sessanta del XIX secolo rappresentarono forse l’ultimo decennio di egemonia culturale degli ideali liberali, ma a partire dal 1870 il clima culturale nel mondo occidentale cominciò a cambiare profondamente. Le nuove ideologie emergenti, come il socialismo, il nazionalismo, l’imperialismo e il militarismo, richiedevano l’edificazione di uno Stato onnipotente in vista della guerra o di altri obiettivi. L’esaltazione della forza e della potenza statale si diffuse come un virus nella cultura europea in maniera sempre più parossistica, fino al delirio guerrafondaio che incendiò la mente dell’intera generazione intellettuale vissuta nei primi decenni ‘900.

Improvvisamente, nell’agosto del 1914, con lo scoppio della Grande Guerra il mondo forgiato dalle idee liberali classiche cessò di esistere. Si aprì l’epoca delle guerre mondiali, dei totalitarismi, dei lager e dei gulag, dei genocidi, dei bombardamenti nucleari, dei 170 milioni di vittime civili per mano dei governi, dell’inflazione perenne, delle depressioni economiche, della crescita inarrestabile della tassazione, della spesa pubblica e dell’indebitamento statale. Il rifiuto del liberalismo classico aveva sprigionato i demoni dello statalismo, e le catastrofi che si abbatterono sul mondo occidentale nella prima metà del XX secolo superarono ogni più pessimistica previsione. Come sarebbe oggi il mondo se l’epoca liberale classica non fosse stata bruscamente interrotta da queste immani distruzioni di vite, di libertà e di proprietà? Quali inimmaginabili vette di progresso l’umanità avrebbe raggiunto?

Il futuro del liberalismo

Purtroppo la dottrina liberale classica, malgrado i suoi successi, conteneva al proprio interno un tarlo che l’ha lentamente erosa fino a distruggerla. Il suo errore originario fu quello di sottovalutare l’estrema pericolosità dell’entità alla quale i liberali avevano lasciato il monopolio della forza: lo Stato. Una volta mutato il clima culturale, gli argini costituzionali che dovevano limitare l’espansione del potere politico crollarono rapidamente, e lo Stato minimo liberale impiegò pochi decenni a diventare uno Stato massimo. Le quattro centralizzazioni nazionali avvenute tra il 1860 e il 1870 in Italia, Giappone, Stati Uniti e Germania rafforzarono infatti in maniera decisiva le tendenze verso la concentrazione del potere e l’idea dello Stato-potenza.

Alla luce di questi avvenimenti, gli studiosi libertari hanno suggerito una revisione dottrinale capace di correggere quei difetti che portarono alla fine dell’epoca liberale classica. Il potere politico andrebbe decentralizzato il più possibile, anche attraverso secessioni territoriali, per favorire la nascita di una vera concorrenza fra istituzioni o imprese private anche nel campo della sicurezza, della giustizia e di tutti gli altri servizi pubblici. Secondo Jesus Huerta De Soto oggi l’anarco-capitalismo rappresenta il naturale aggiornamento del liberalismo classico alla luce degli insegnamenti storici e dei progressi della teoria economica (J. Huerta De Soto, “Liberalismo classico contro anarco-capitalismo”, in Teoria dell’efficienza dinamica, 2014, p. 413). Come ha scritto Hans-Hermann Hoppe, l’anarco-capitalismo è semplicemente un liberalismo coerente, il liberalismo pensato attraverso la sua definitiva conclusione, il liberalismo portato al suo intento originario (H.H. Hoppe, Democrazia: il dio che ha fallito, 2001, p. 325).

 

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