Descrizione
“Fin dagli anni dell’opposizione clandestina alla dittatura, mi ero convinto che l’Italia non era, e ormai nonpoteva più diventare, uno Stato nazionale come la Francia (…). Giudicavo la convivenza possibile soltanto nel quadro di un assetto “federale” o “confederale”, cioè di un ordinamento che riconoscesse le particolarità etniche, storiche, sociali, culturali, economiche e le consuetudini anche giuridiche, delle diverse stirpi, consentendo di mettere in comune soltanto ciò che per tutti fosse utile – o addirittura necessario – gestire informa unitaria.
STATO MODERNO VERSO LA FINE
Io credo che, nello scorcio del XX secolo in cui stiamo vivendo, sia arrivata a conclusione una intera fase
della storia dello Stato moderno: si è esaurito il tempo (quattro secoli buoni) in cui questo organismo ha
dominato tutte le forme associative minori, con la staticità, l’immobilità quasi sacrale della sua imponente
presenza e l’unitarietà delle sue istituzioni. Punto di riferimento, fermo e incrollabile, per ogni azione volta a negare e distruggere qualsiasi disprezzato “particolarismo”, esso ha tenuto a battesimo una grandissima civiltà: la civiltà appunto “moderna”.
Ma oggi – proprio, e in primo luogo, per le sue grandi dimensioni, e per la sua vocazione all’unità – lo Stato
non è più in grado di soddisfare, rendendole prima uniformi, le sempre più diversificate esigenze dei
cittadini: esigenze che, sospinte dall’incoercibile capacità inventiva delle nuove tecniche produttive, si
moltiplicano e si specificano senza posa, a tutti i livelli, sfuggendo a ogni pretesa, appunto, di uniformità, e possono venire fronteggiate soltanto da strutture politico-amministrative incomparabilmente più articolate e diversificate di quelle tradizionali.
Ciò che sta andando in crisi è la nozione dell’unità dei grandi aggregati politici.
In secondo luogo – e ancora più in profondità – tende ormai ad essere contestata la staticità, l’immutabilità della struttura “Stato”. Ciò che qui va in crisi è l’idea che i cittadini debbano essere “inquadrati” una volta per tutte in un determinato (e soprattutto uniforme) contesto istituzionale: che essi non possano variare, nel tempo, l’assetto derivante dalla loro collocazione sul territorio, e scegliere (con le debite garanzie) come e con chi associarsi, rendendo relativi i confini politico- amministrativi e mutando, a seconda delle esigenze, i loro rapporti di dipendenza dalle aggregazioni “superiori”.
LA VOCAZIONE FEDERALISTICA
In un tale contesto, la vocazione del nostro tempo per il Federalismo (…) si rivela come tendenza verso un modello di gran lunga più generale, contraddistinto dalla relatività dei vincoli politici (e quindi delle unità
amministrative) sia per la quantità delle competenze, sia per la durata nel tempo. “Contratti” a termine
regolano (e variano) la dimensione delle convivenze istituzionali – non solo territoriali ma anche categoriali
e il loro inserimento nelle strutture più ampie, egualmente volontarie, pattizie e temporanee: dalla microcomunità e dal piccolo sindacato, alla multinazionale.
MACROREGIONI PER IL FUTURO
Ho già scritto altrove che bisognerà partire da un ormai improrogabile rimaneggiamento dell’attuale
ordinamento regionale, nel senso che le Regioni dovranno essere restituite alla loro fondamentale funzione normativa, e a quella organizzativa dei sottostanti enti locali. Nel rivedere (e aggiornare) l’elenco dei settori di competenza, prescritto dall’articolo 117 della Costituzione (che è ormai superato ed è diventato irrazionale) bisognerà stabilire con chiarezza che le Regioni non sono soltanto autorizzate, ma addirittura tenute a cercare e a favorire accordi tra loro: seguendo e assecondando il naturale intreccio interregionale dei bisogni e degli interessi.
Una ricerca condotta anni fa dal compianto professore Innocenzo Gasparini (e purtroppo mai pubblicata) ha dimostrato che le relazioni economiche fra le Regioni padane, fra quelle dell’Italia centrale e quelle
dell’Italia meridionale configurano l’esistenza di almeno tre potenziali “macroregioni”. Sono probabilmente
proprio queste aggregazioni i futuri soggetti della struttura federale, che potrebbe nascere, pertanto,
spontaneamente, senza traumi ideologici e psicodrammi, soltanto assecondandosi il comportamento dei
cittadini.
Il crisma di un assetto costituzionale formale dovrebbe consacrare, ad un certo punto, questo nuovo modo di essere dell’unità degli Italiani: aggiungendo, alle tre grandi unità particolari di cui ho parlato, le isole, le altre Regioni a statuto speciale, e un “territorio federale” intorno a Roma (anche per risolvere il problema difficile della “città capitale” e del suo statuto).
COMPETENZE SUDDIVISE
Io credo che all’autorità federale o confederale (l’alternativa concerne il grado di coesione che si vorrà dare alla struttura unitaria) dovrebbero in ogni caso spettare: gli affari esteri generali, la difesa esterna (e in parte anche quella interna: cioè una polizia federale accanto a quella macroregionale), la finanza generale, la giustizia (esclusi i giudici di pace), l’istruzione superiore (universitaria) nonché il coordinamento della ricerca scientifica (la scuola – elementare, media e professionale – dovrebbe essere di competenza macroregionale).
L’aggettivo “generale”, che unisco ad alcune materie, significa che alle macroregioni dovrebbe essere
riconosciuta, per esempio, una certa autonomia nella gestione delle relazioni con i Paesi (Regioni)
confinanti: un’idea di politica estera “minore” che mi sembra abbia già trovato accoglienza favorevole. Alle macroregioni toccherebbero altresì il prelievo e l’utilizzazione delle risorse finanziarie (sempre però con budget federale e una finanza sottoposta alle leggi federali).
Analogamente, dove parlo di “coordinamento”, alludo al diritto-dovere delle autorità federali a promuovere (attraverso la normazione, da parte del Parlamento) l’armonizzazione delle competenze, delle iniziative e delle attività macroregionali. La questione della ripartizione delle competenze è tuttavia materia fluida ed opinabile: le opzioni sono molte e tutte da discutere. Del resto, a questo proposito, credo che ci saranno presto nuovi modelli, a livello europeo, da studiare e da utilizzare”.
Tratto dal libro “L’asino di Buridano” di Gianfranco Miglio
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